http://it.peacereporter.net Il disegno di Erdogan
Una continua escalation di dichiarazioni, ma non sono chiari gli obiettivi del governo turco
L'attacco è in atto. Diplomatico, s'intende. Ma davvero le relazioni tra la Turchia e Israele, dalla nascita dello Stato ebraico nel 1948, non sono mai state così tese. La cronaca è nota: la fine dei lavori della commissione d'inchiesta Onu presieduta dall'ex primo ministro neozelandese Geoffrey Palmer non inchioda Israele alle sue responsabilità per la morte degli attivisti turchi della Mavi Marmara nel 2010. La stampa turca rilancia le dichiarazioni del premier Recep Tayyip Erdogan, che salgono di tono ogni giorno che passa, come una mareggiata che monta piano piano. Detto come nulla fosse: l'autorizzazione data a navi da guerra turche di scortare convogli di aiuti umanitari turchi a Gaza. ''Navi da guerra turche - ha detto ieri Erdogan alla tv satellitare al-Jazeera - sono autorizzate a proteggere le nostre navi che portano aiuti umanitari a Gaza. D'ora in poi non lasceremo che queste navi vengano attaccate da Israele come avvenne con la Freedom Flottilla''. Non dice quando, non dice se questi aiuti partiranno. Conferma che visiterà Gaza, presto, ma non dice quando. Come una minaccia sospesa, come una promessa di fuoco. Erdogan, è bene capirlo subito, non scherza. Non è detto, però, che sia interessato a portare a termine le sue promesse. Il prossimo round, ancora diplomatico, è all'Onu. La discussione sull'indipendenza della Palestina si arricchirà di una nuova polemica? Non è garantito. Ma, secondo la stampa turca, Erdogan ha una strategia pronta all'uso. Ankara potrebbe porre a livello internazionale la questione dell'arsenale atomico israeliano. L'ipotesi è contenuta in un 'piano' per mettere in difficoltà Israele se continua a non scusarsi per i morti della Mavi Marmara. Erdogan ha accennato all'esistenza di questo Piano C, che seguirebbe uno, detto B, incentrato sugli annunciati - ma non ancora ordinati - pattugliamenti navali nelle acque internazionali del Mediterraneo. Il piano B prevede l'intenzione turca di far inserire nell'agenda dell'Agenzia atomica internazionale (Aiea) e dell'Onu, con richiesta di sanzioni, la questione dell'arsenale atomico israeliano mai dichiarato dallo Stato ebraico. Scuse, indennizzi, alleggerimento blocco su Gaza. Altrimenti dossier nucleare, pattugliamenti, scorte militari, rottura relazioni diplomatiche e fascicolo Gaza all'Aja per crimini contro l'umanità. Cosa vuole davvero Erdogan? Fin dove vuole arrivare? Non è un mistero che Israele - secondo l'intelligence turca - appoggia i separatisti curdi. Iran e Turchia, assieme, bombardano i campi militari curdi sui monti iracheni. Baghdad ha chiesto all'Onu la fine dei raid militari nel suo territorio. Può essere questo elemento di pressione reciproca la posta in palio? Oppure potrebbe essere altro. Magari tutto questo polverone nasce dalle dure critiche mosse oggi dall'Iran nei confronti della Turchia per la sua scelta di dotarsi di uno scudo anti missilistico Nato. ''Ci aspettiamo che i Paesi amici e vicini non promuovano politiche che creino tensione e che avranno conseguenze complicate e definitive'', ha detto il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Ramin Mehmanparast, citato dall'agenzia di stampa Irna. ''Riteniamo che l'installazione di alcune parti del sistema missilistico Nato in Turchia non aiuterà per niente la sicurezza e la stabilità della regione, e nemmeno dello stesso Paese ospitante'', ha aggiunto Mehmanparast. L'ambasciatore turco a Roma, Hakki Akil, ha chiarito in un colloquio con i giornalisti che lo scudo antimissile della Nato che sarà installato sul suo territorio ''non è contro un paese specifico'' e, in particolare, contro l'Iran. La crisi tra Ankara e Tel Aviv procede. Non è chiaro, adesso, dove voglia arrivare Erdogan. Nella tensione generale c'è solo da sperare che non sia l'ennesimo caso di un leader politico - Erdogan appunto - che si legittima per una leadership del mondo islamico sulla pelle dei palestinesi. Che vivono sotto occupazione da sessanta anni e aspettano il 20 settembre per capire se, dopo tutto, il mondo ha deciso di accorgersi del loro diritto a vivere.
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