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Al Jazeera A Juliano e Vittorio, Con Amore 01/05/2011 La recente uccisione di due noti attivisti in Palestina rivela l’esistenza di una deformità, limitata ma distruttiva, all’interno della società palestinese; la sfida che attende i palestinesi è accogliere e onorare l’appello di Vittorio: ‘Restare umani’ scrive l’analista Lamis Andoni *** Juliano Mer Khamis e Vittorio Arrigoni erano umanisti che hanno creduto nella lotta del popolo palestinese. Hanno sfidato l’occupazione israeliana ed erano pronti a sacrificare la loro vita per la libertà. Ma a differenza degli attivisti Rachel Corrie e Tom Hurndall dell’International Solidarity Movement (ISM), uccisi dalle forze di occupazione israeliane mentre cercavano di proteggere le famiglie palestinesi, Juliano e Vittorio sono stati uccisi da membri delle comunità palestinesi che essi avevano imparato a conoscere e nelle quali nutrivano fiducia. Il primo ucciso da ignoti assalitori, presumibilmente palestinesi, il secondo da fanatici palestinesi. Il 4 aprile, uomini armati e col volto coperto hanno sparato a Juliano di fronte al ‘Teatro della Libertà’ che egli aveva fondato nel campo profughi di Jenin. Dieci giorni dopo, Vittorio, un attivista dell’ISM, è stato rapito e poi trovato strangolato in un appartamento nella Striscia di Gaza. Gli attivisti della solidarietà sono stati tradizionalmente accettati, e addirittura praticamente adottati, dalle loro comunità di accoglienza. Il fatto che due di loro siano stati uccisi da coloro che essi stavano cercando di difendere ha generato un’ondata di emozione che ha risuonato in profondità nel cuore delle comunità palestinesi in tutto il mondo. A molti palestinesi piacerebbe credere che i due uomini siano stati uccisi da collaboratori di Israele. Dopotutto è Israele che non ha mai nascosto la sua avversione per gli attivisti, siano essi israeliani o meno che trae i maggiori benefici dall’intimidazione dei membri del movimento di solidarietà. Gli attivisti della solidarietà sono testimoni dei crimini di Israele contro i palestinesi: molti di loro sono diventati cronisti della lotta palestinese, voci potenti che diffondono la parola dei palestinesi in tutto il mondo. Di solito essi intrecciano forti e intimi legami con le persone con cui condividono la loro vita quotidiana trionfi e sconfitte, gioie e dolori. Juliano e Vittorio sono diventati parte integrante della comunità palestinese, legandosi a coloro con i quali vivevano. Sebbene abbiano seguito strade diverse, hanno condiviso l’impegno per una resistenza nonviolenta e una pace giusta. La storia di Juliano Nato da padre cristiano palestinese e da madre ebrea, Juliano era diventato un noto attore israeliano. Suo padre, Saliba Khamis, era membro del Partito Comunista israeliano, una formazione politica che, durante i primi vent’anni di esistenza di Israele, diede una voce ai palestinesi che erano rimasti dopo la Nakba. In alcune fasi della loro vita, i poeti palestinesi Mahmoud Darwish e Samih Qassem avevano fatto parte del partito, che ha prodotto alcuni grandi leader palestinesi, tra cui Tawfiq Ziad, il coraggioso sindaco di Nazareth. Ziad scrisse il famoso poema/canzone ‘Ti sto chiamando’, che riaffermò l’identità palestinese degli arabi israeliani. La giovinezza di Juliano fu come quella di tanti giovani israeliani fece parte dell’esercito israeliano prima di intraprendere una carriera nel settore del cinema. Inizialmente sembrava distaccato dalle sue radici palestinesi ma, sotto l’influenza di sua madre, ebrea che trascorse gran parte dei suoi ultimi anni a lavorare con i bambini palestinesi, egli subì una trasformazione. Arna Mer-Khamis, madre di Juliano, si impegnò con i palestinesi durante la prima intifada. Giunse a comprendere quanto profondamente i bambini palestinesi fossero stati traumatizzati dall’occupazione e avviò programmi che miravano a far guarire attraverso l’arte e, in particolare, la recitazione. Arna creò un teatro nel campo profughi di Jenin, dove i suoi legami con molti dei bambini del posto furono tali che essi divennero noti come ‘i bambini di Arna’. Vi furono 10 di essi a cui era particolarmente vicina. Anni dopo, Juliano andò a Jenin per cercare i 10 ‘bambini’ di Arna. Tutti erano diventati militanti di Fatah, ed eroi locali durante l’infame assedio israeliano del campo. Sei erano stati uccisi, due catturati, e gli ultimi due erano ricercati da Israele. Il film che ne è venuto fuori, ‘Arna’s children’, è un tributo estremamente commovente sia alla madre che alla gente del campo. Arna morì nel 1994, e nel 2006 Juliano decise di continuare il suo lavoro attraverso la creazione di un teatro insieme a Zakaria Zubeidi, uno dei ‘bambini di Arna’ ed ex leader delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa. Juliano, o Jul, come era conosciuto, è diventato molto amato tra i palestinesi, e il suo Teatro della Libertà divenne un atto di resistenza culturale nei confronti degli sforzi israeliani di cancellare l’identità palestinese. La storia di Vittorio Lontano dalla Palestina e dalle lotte della vita sotto l’occupazione, Vittorio crebbe vicino al pittoresco Lago di Como, in Italia. Ma anche in quella località apparentemente idilliaca, il giovane fu profondamente influenzato dalla storia della sua famiglia: il nonno e la nonna erano stati membri della resistenza contro il regime fascista in Italia, durante la Seconda Guerra Mondiale. Fu quando si trasferì a Gerusalemme, che Vittorio riconobbe la propria causa nella lotta palestinese. In seguito egli si unì all’International Solidarity Movement (ISM). Molti membri dell’ISM hanno messo a rischio la vita, in particolare durante la seconda intifada, agendo in qualità di scudi umani per i civili palestinesi. Nel 2008, l’impegno di Vittorio lo portò a Gaza, a bordo di una delle navi del movimento ‘Free Gaza’ che cercò di rompere l’assedio israeliano della Striscia. Una volta laggiù, Vittorio si mise al servizio della comunità e divenne rapidamente popolare, in particolare con i bambini locali. Aveva la parola Muqawama che in arabo significa resistenza tatuato sul braccio, ma rimase un ardente pacifista. Vittorio, o Vik, come lo chiamava la gente, era conosciuto perché navigava con i pescatori palestinesi, nel tentativo di proteggerli dalla marina israeliana. Come altri attivisti dell’ISM, è stato in una prigione israeliana, è stato ferito, ed è stato una volta estradato in Italia solo per poi ritrovare la strada per tornare dal popolo che amava, in Palestina. Scriveva per il giornale italiano di sinistra ‘Il Manifesto’ e teneva un blog che raccontava la sua lotta, e che si concludeva sempre con la firma “restiamo umani”. Vittorio era determinato a conservare la sua umanità e l’umanità degli altri, nella tradizione di un vero umanista essendo al di sopra di tutte fratture religiose, etniche e razziali. Quando i suoi carcerieri lo hanno definito un “infedele”, hanno inferto una pugnalata nel cuore del popolo palestinese. ‘Restare umani’ Juliano e Vittorio, due persone i cui cuori erano pieni di amore per i palestinesi, hanno dovuto essere testimoni dell’odio negli ultimi momenti della loro vita. Juliano ha affrontato i suoi assassini mascherati per pochi secondi, mentre Vittorio ha avuto più tempo per guardare negli occhi del pregiudizio e del fanatismo. Mi chiedo cosa devono aver pensato. Quale shock deve aver afferrato Juliano nei suoi ultimi momenti. Che cosa deve essere successo al cuore pieno d’amore di Vittorio, mentre i suoi aguzzini lo trattavano come “il nemico”? Molte lacrime sono state versate, e continueranno ad essere versate per questi due uomini. Sono state scritte poesie e canzoni, e certamente altre ne seguiranno. La nostra unica consolazione è che sia Juliano che Vittorio facevano parte di un’attiva resistenza popolare palestinese, che continuerà a crescere e diffondersi. La loro causa rimane viva. Ma i palestinesi devono ora affrontare il fatto che questi omicidi fanno emergere una deformità e una distorsione presenti nella società palestinese, che potranno essere minime in termini di dimensioni, ma che sono enormi e altamente distruttive nei loro effetti. Non basta catturare i colpevoli. La sfida è più grande e più difficile. La sfida è ora assicurarsi che la società palestinese e gli individui al suo interno non perdano la loro umanità. “Restiamo umani” era l’appello di Vittorio alla fine di ogni post del suo blog ed è ora l’unico modo in cui noi possiamo onorare lui e Juliano. topAl Jazeera Lamis Andoni: To Juliano and Vittorio With Love The deaths of the two activists reveal a small but hugely destructive deformity in Palestinian society Juliano Mer-Khamis and Vittorio Arrigoni were humanists who believed in the struggle of the Palestinian people. They braved the Israeli occupation and were prepared to sacrifice their lives for freedom. But unlike International Solidarity Movement (ISM) activists Rachel Corrie and Tom Hurndall, who were murdered by Israeli occupation forces as they tried to shield Palestinian families, Juliano and Vittorio were killed by members of the Palestinian communities they had come to know and trust. The first killed by unknown, presumably Palestinian, assailants; the second by Palestinian fanatics. On April 4, masked gunmen shot Juliano in front of the Freedom Theatre he had founded in the Jenin refugee camp. Ten days later Vittorio, an ISM activist, was abducted and later found strangled to death in an apartment in the Gaza Strip. Solidarity activists have traditionally been embraced, virtually adopted even, by their host communities. That they should be killed by those they were trying to defend generated shockwaves that reached deep into the heart of Palestinian communities across the world. Many Palestinians would like to believe that the two men were killed by Israeli collaborators. After all it is Israel which has never hidden its distaste for activists, whether Israeli or otherwise that benefits the most from intimidating members of the solidarity movement. Solidarity activists are witnesses to Israeli crimes against Palestinians; many of them have become chroniclers of the Palestinian struggle, powerful voices spreading the word across the world. They usually weave strong and intimate ties with the people with whom they share their daily lives the triumphs and defeats, joys and sorrows. Juliano and Vittorio became an integral part of the Palestinian community, bonding with those they lived among. Despite taking very different paths to their destination, they shared a commitment to non-violent resistance and a just peace. Juliano’s story Born to a Palestinian Christian father and a Jewish mother, Juliano became a well-established Israeli actor. His father, Saliba Khamis, was a member of the Israeli Communist Party, a group which, during the first two decades of Israel’s existence, gave a voice to the Palestinians who had remained after the Nakba. At stages in their lives, the Palestinian poets Mahmoud Darwish and Samih Qassem belonged to the party, which produced some great Palestinian leaders, including Tawfiq Ziad, the courageous mayor of Nazareth. Ziad wrote the famous poem-turned-song I’m calling you, which reaffirmed the Palestinian identity of Israeli Arabs. Juliano’s youth was typical of that of many young Israeli men he joined the Israeli army before embarking on a career in the Israeli film industry. He initially seemed detached from his Palestinian roots but, under the influence of his Jewish mother who spent much of her later years working with Palestinian children, he was transformed. Arna Mer-Khamis, Juliano’s mother, became involved with Palestinians during the first intifada. She came to understand how deeply traumatised Palestinian children were by the occupation and started programmes that aimed to heal them through art and, in particular, acting. She established a theatre in the Jenin refugee camp, where her bonds with many of the local children were such that they became known as ‘Arna’s children’. There were 10 with whom she was particularly close. Years later, Juliano went to Jenin to search for Arna’s 10 ‘children’. All of them had become Fatah militants and local heroes during the infamous Israeli siege of the camp. Six had been killed, two captured and the remaining two were wanted by Israel. The resulting film, Arna’s children, was a deeply moving tribute to both his mother and the people of the camp. Arna died in 1994 and in 2006 Juliano decided to continue her work by establishing a theatre with Zakaria Zubeidi, one of ‘Arna’s children’ and a former leader of Fatah’s Al-Aqsa Martyrs’ Brigades. Juliano, or Jul as he was known, became much loved by Palestinians and his Freedom Theatre became an act of cultural resistance in the face of Israeli efforts to obliterate Palestinian identity. Vittorio’s story Far from Palestine and the struggles of life under occupation, Vittorio grew up near Italy’s scenic Lake Como. But even in that seemingly idyllic location, the young man was deeply influenced by his family’s history: His grandfather and grandmother were members of the resistance against Italy’s fascist regime during World War II. It was when he moved to Jerusalem that Vittorio found his own cause in the Palestinian struggle. He later joined the ISM, many members of which risked their lives, particularly during the second intifada, while acting as human shields for Palestinian civilians. In 2008, Vittorio’s commitment took him to Gaza on board one of the Free Gaza Ships that sought to break the Israeli siege of the Strip. Once there, he placed himself at the service of the community and quickly became popular, particularly with the local children. He had the word Moqawama, Arabic for resistance, tattooed on his arm, but remained an ardent pacifist. Vittorio, or Vik as people called him, was known for sailing with Palestinian fishermen in an attempt to protect them from the Israeli navy. Like other ISM activists he spent time in an Israeli jail, sustained injury and was once deported to Italy only to find his way back to the people he loved in Palestine. He wrote a column for the leftist Italian Il Manifesto newspaper and kept a blog chronicling the struggle that ended with the signature “let us stay human”. Vittorio was determined to preserve his humanity and the humanity of others in the tradition of a true humanist crossing all religious, ethnic and racial fault lines. When his captors called him an “infidel”, they drove a dagger into the heart of the Palestinian people. To ‘stay human’ Juliano and Vittorio, two people whose hearts were full of love for the Palestinians, had to witness hate in the last moments of their lives. Juliano faced his masked killers for just seconds, while Vittorio spent longer looking into the eyes of prejudice and zealotry. I wonder what they must have thought. What shock must have gripped Juliano in his last moments? What must have happened to Vittorio’s loving heart as his tormentors treated him as “the enemy”? Many tears have been shed and will continue to be shed for the two men. Poems have been written and songs are sure to follow. Our only consolation is that both Juliano and Vittorio were part of an active popular Palestinian resistance that will continue to grow and spread. Their cause remains alive. But Palestinians must now face the fact that these murders expose a societal deformity and distortion which may be slight in size but which is huge and highly destructive in its impact. It is not enough to capture the perpetrators. The challenge is bigger and harder. The challenge is now to make sure that Palestinian society and the individuals within it do not lose their humanity. To “stay human” was Vittorio’s appeal at the end of every blog and that is now the only way that we can honour him and Juliano.
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