http://unanuovafrontiera.blogspot.com Manifesto per la soppressione dei partiti politici La parola partito e’ qui usata nel significato che ha nel continente europeo. Solo nei paesi anglosassoni lo stesso termine designa una realta’ affatto differente. Affonda le sue radici nella situazione inglese, e non e’ possibile trasporlo. Un secolo e mezzo d’esperienza lo mostra a sufficienza. E’ presente, nei partiti angolosassoni, un elemento di gioco, di sport, che non puo’ esistere che in un’istituzione di origine aristocratica: tutto e’ serio in un’istituzione che, in origine, e’ plebea. L’idea di partito non rientrava nella concezione politica francese del 1789, se non come quella di un male da evitare. Ma giunse il momento del club dei giacobini. Era questo, inizialmente, soltanto un luogo di libera discussione. A trasformarlo non una qualche specie di meccanismo fatale: fu soltanto la pressione della guerra e della ghigliottina a farne un partito totalitario. Le lotte tra fazioni nel periodo del terrore furono governate dal pensiero cosi’ ben formulato da tomskij: “un partito al potere e tutti gli altri in prigione”. Cosi’, sul continente europeo, il totalitarismo e’ il peccato originale dei partiti. Furono da un lato l’eredita’ del terrore, dall’altro l’influenza dell’esempio inglese a insediare i partiti nella vita pubblica europea. Il fatto che esistano non e’ in alcun modo un motivo per conservarli. Soltanto il bene e’ un motivo legittimo di conservazione. Il male dei partiti politici salta agli occhi. La questione da esaminare e’ se ci sia in essi un bene che abbia la meglio sul male e renda cosi’ la loro esistenza desiderabile. Ma e’ molto piu’ sensato chiedersi: c’e’ in loro anche solo una particella infinitesimale di bene? Non sono forse un male allo stato puro, o quasi? Se sono un male, e’ certo che nei fatti e nella pratica non possono produrre altro che male. E’ un articolo di fede. “un albero buono non puo’ produrre frutti cattivi, ne’ un albero cattivo produrre frutti buoni”. Ma bisogna innanzitutto riconoscere quale sia il criterio del bene. Non puo’ essere rappresentato che dalla verita’, dalla giustizia e, in seconda battuta, dall’utilita’ pubblica. La democrazia, il potere della maggioranza non sono un bene. Sono mezzi in vista del bene, stimati efficaci a torto o a ragione. Se la repubblica di weimar, al posto di hitler, avesse deciso, per vie piu’ rigorosamente parlamentari e legali, di mettere gli ebrei nei campi di concentramento e di torturarli con metodi raffinati fino alla morte, le torture non avrebbero avuto un atomo di legittimita’ in piu’ di quanto ne abbia adesso. E un tale fatto non e’ in alcun modo concepibile. Solo cio’ che e’ giusto e’ legittimo. Il crimine e la menzogna non lo sono in nessun caso. Il nostro ideale repubblicano deriva interamente dalla nozione di volonta’ generale dovuta a rousseau. Ma il senso della nozione e’ andato perso quasi immediatamente, perche’ il concetto e’ complesso e richiede un grado di attenzione elevato. Con l’eccezione di alcuni capitoli, pochi libri sono belli, forti, lucidi e chiari come il contratto sociale. Si dice che pochi testi siano stati altrettanto influenti, ma in effetti tutto e’ accaduto e continua ad accadere come se non fosse mai stato letto. Rousseau partiva da due certezze. Una che la ragione discerne e sceglie la giustizia e l’utilita’ innocente, e che qualunque crimine ha per movente la passione. L’altra, che la ragione e’ identica in tutti gli uomini, mentre le passioni, il piu’ delle volte, differiscono. Di conseguenza se, su un problema generale, ognuno riflette in solitudine ed esprime un’opinione, e se in seguito le opinioni sono confrontate tra loro, probabilmente esse coincideranno per cio’ che di giusto e ragionevole c’e’ in ognuna e differiranno per le ingiustizie e gli errori. E’ unicamente in virtu’ di un ragionamento di questo genere che si ammette che il consenso universale indica la verita’. La verita’ e’ una. La giustizia e’ una. Gli errori, le ingiustizie, sono indefinitamente variabili. Cosi’ gli uomini convergono nel giusto e nel vero, mentre la menzogna e il crimine li fanno indefinitamente divergere. Poiche’ l’unione e’ una forza materiale, si puo’ sperare di trovarvi una risorsa che permetta di rendere quaggiu’ la verita’ e la giustizia materialmente piu’ forti del crimine e dell’errore. Per raggiungere questo fine e’ necessario un meccanismo adatto. Se la democrazia costituisce tale meccanismo, e’ buona. Altrimenti no. Agli occhi di rousseau che era nel giusto un volere ingiusto, comune a tutta una nazione, non era in alcun modo superiore al volere ingiusto di un singolo uomo. Rousseau pensava solamente che, nella maggioranza dei casi, un volere comune a tutto un popolo e’ conforme nei fatti alla giustizia, per via della mutua neutralizzazione e compensazione delle passioni particolari. Era questo, per lui, l’unico motivo per preferire il volere del popolo a un volere particolare. Allo stesso modo una certa massa d’acqua, benche’ costituita da particelle che si muovono e si urtano tra loro senza sosta, si mantiene in uno stato di equilibrio e riposo perfetti. Rinvia agli oggetti la loro immagine con un’esattezza impeccabile. Indica perfettamente il piano orizzontale. Dice senza errore la densita’ degli oggetti che vi sono immersi. Se individui appassionati, inclini per via della passione al crimine e alla menzogna, si compongono allo stesso modo in un popolo vero e giusto, allora e’ bene che il popolo sia sovrano. Una costituzione democratica e’ buona se per prima cosa realizza nel popolo questo stato di equilibrio, e soltanto in seguito fa in modo che le volonta’ del popolo siano eseguite. Il vero spirito del 1789 consiste nel pensare non che una cosa sia giusta perche’ il popolo la vuole, ma che a determinate condizioni il volere del popolo abbia maggiori possibilita’ di qualsiasi altro volere di essere conforme alla giustizia. Esistono numerose condizioni necessarie perche’ si possa ricorrere alla nozione di volonta’ generale. Due, in particolare, meritano attenzione. La prima e’ che nel momento in cui il popolo prende coscienza di una delle sue volonta’ e la esprime non sia presente alcuna specie di passione collettiva. E’ del tutto evidente che il ragionamento di rousseau viene a cadere non appena sia in atto una passione collettiva. Rousseau lo sapeva bene. La passione collettiva e’ un impulso al crimine e alla menzogna infinitamente piu’ potente di qualunque passione individuale. In questo caso gli impulsi nocivi, lungi dal neutralizzarsi, si innalzano vicendevolmente all’ennesima potenza. La pressione e’ quasi irresistibile, tranne che per i santi autentici. Un’acqua messa in moto da una corrente violenta, impetuosa, non riflette piu’ gli oggetti, non ha piu’ una superficie orizzontale, non indica piu’ la densita’. E poco importa che sia mossa da una sola corrente o magari da cinque o sei correnti che si urtano e creano vortici. In entrambi i casi, e’ ugualmente mossa. Se un’unica passione collettiva si impadronisce di tutto un paese, il paese intero e’ unanime ne crimine. Se due o quattro o cinque o dieci passioni collettive lo dividono, il paese sara’ spaccato in varie bande criminali. Le passioni divergenti non si neutralizzano, come avviene per la polvere delle passioni individuali fuse in una massa. Il loro numero e’ decisamente troppo piccolo, la forza di ognuna e’ decisamente troppo grande, perche’ sia possibile una neutralizzazione. La lotta le esaspera. Si urtano con un clangore infernale, che rende impossibile sentite anche per un secondo la voce della giustizia e della verita’, sempre quasi impercettibile. Quando un paese e’ in preda a una passione collettiva, e’ probabile che qualunque volonta’ popolare sia piu’ vicina alla giustizia e alla ragione della volonta’ generale, o piuttosto di cio’ che ne costituisce la caricatura. La seconda condizione e’ che il popolo sia chiamato ad esprimere il proprio volere riguardo ai problemi della vita pubblica, e non solamente a operare una scelta di persone. Meno ancora la scelta di collettivita’ irresponsabili. Poiche’ la volonta’ generale non ha alcuna relazione con una scelta di questo genere. Se nel 1789 c’e’ stata una certa espressione della volonta’ generale, nonostante si fosse adottato il sistema rappresentativo non sapendone immaginare un altro, questo e’ accaduto perche’ si era verificato qualcosa di ben diverso da un’elezione. Tutto cio’ che c’era di vivo in tutto il paese e il paese straripava, a quel tempo, di vita aveva cercato di esprimere il proprio pensiero attraverso l’organo dei cahiers de revendications. I rappresentanti si erano in gran parte fatti conoscere nel corso di questa cooperazione del pensiero: ne serbavano il calore, sentivano il paese attento alle loro parole, ansioso di controllare se queste traducessero con esattezza le sue aspirazioni. Per qualche tempo poco tempo furono semplici organi di espressione del pensiero pubblico. Un simile fatto non si sarebbe prodotto mai piu’. La sola enunciazione di queste due condizioni indica che non abbiamo mai conosciuto nulla che assomigli, neppure da lontano, a una democrazia. Nella cosa a cui attribuiamo questo nome, in nessun caso il popolo ha l’occasione o i mezzi per esprimere un parere su alcun problema della vita pubblica. E tutto cio’ che sfugge agli interessi particolari e’ dato in pasto alle passioni collettive, le sono sistematicamente, istituzionalmente incoraggiate. L’uso stesso dei termini democrazia e repubblica obbliga a esaminare con attenzione i due problemi seguenti: - come dare realmente agli uomini che compongono il popolo di francia la possibilita’ di esprimere, talvolta, un giudizio sui grandi problemi della vita pubblica? - come impedire, nel momento in cui il popolo e’ interrogato, che vi circoli all’interno una qualunque specie di passione collettiva? Se non si riflette su questi due punti, e’ inutile parlare di legittimita’ repubbblicana. Non e’ facile concepire delle soluzioni. Ma e’ evidente, dopo un attento esame, che qualunque soluzione implicherebbe innanzitutto la soppressione dei partiti politici. Per apprezzare i partiti politici secondo il criterio della verita’, della giustizia, del bene pubblico, conviene cominciare distinguendone i caratteri essenziali. E’ possibile elencarne tre: - un partito politico e’ una macchina per fabbricare passione collettiva. - un partito politico e’ un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte. - il fine primo, e in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico e’ la propria crescita, e questo senza alcun limite. Per via di questa tripla caratteristica, ogni partito e’ totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo e’ nei fatti, questo accade solo perche’ quelli che lo circondano non lo sono di meno. Queste tre caratteristiche sono verita’ di fatto, evidenti a chiunque si sia avvicinato alla vita dei partiti. La terza caratteristica e’ un caso particolare di un fenomeno che si verifica ovunque la collettivita’ prenda il sopravvento sugli esseri pensanti. E’ il rovesciamento della relazione tra fine e mezzo. Dappertutto, senza eccezione, tutte le cose generalmente considerate come fini sono per natura, per definizione, per essenza e nel modo piu’ evidente unicamente mezzi. Sarebbe possibile citarne esempi a profusione in qualunque ambito: denaro, potere, stato, prestigio nazionale, produzione economica, diplomi universitari, e cosi’ via. Solamente il bene e’ un fine. Tutto cio’ che appartiene all’ambito dei fatti rientra nell’ordine dei mezzi. Ma il pensiero collettivo e’ incapace di innalzarsi al di sopra dell’ambito dei fatti. E’ un pensiero animale. Possiede la nozione di bene in quantita’ appena sufficiente a commettere l’errore di confondere un qualsiasi mezzo con il bene assoluto. Lo stesso accade con i partiti. Un partito e’, in linea di principio, uno strumento destinato a servire una certa concezione del bene pubblico. Questo fatto e’ vero anche per quelli che sono legati agli interessi di una categoria sociale, poiche’ esiste sempre una certa concezione tra il bene pubblico e quegli interessi. Ma e’ una concezione estraneamente vaga. Questo e’ vero senza eccezione e quasi senza differenza di grado. I partiti piu’ inconsistenti e quelli piu’ rigidamente organizzati sono identici quanto a vaghezza della dottrina. Nessun uomo, per quanto profondamente abbia studiato la politica, sarebbe capace di fornire un’esposizione chiara e precisa di alcun partito compreso, ove si dia il caso, il proprio. Le persone non ammettono questo fatto neppure a se stesse. Se lo facessero, sarebbero ingenuamente inclini a vedervi una traccia di incapacita’ personale, non essendosi rese conto che l’espressione dottrina di un partito politico non puo’ mai, per la natura delle cose, avere alcun significato. Un uomo, passasse l’intera vita a scrivere e a esaminare problemi intellettuali, non ha che molto di rado una dottrina. Una collettivita’ non ce l’ha mai. La dottrina non e’ una merce collettiva. Si puo’ parlare, e’ vero, di dottrina cristiana, dottrina indu’, dottrina pitagorica, e cosi’ via. Cio’ che allora e’ designato con questo termine non e’ ne’ individuale ne’ collettivo, e’ una cosa situata infinitamente al di sopra dell’uno e dell’altro campo. E’, puramente e semplicemente, la verita’. Il fine di un partito politico e’ cosa vaga e irreale. Se fosse reale, esigerebbe un enorme sforzo d’ attenzione, in quanto una concezione del bene pubblico non e’ cosa facile da elaborare. L’esistenza del partito e’ palpabile, evidente, e non esige alcuno sforzo per essere riconosciuta. E’ inevitabile, cosi’ che in realta’ il partito sia esso stesso il proprio fine. C’e’ quindi idolatria, dato che solamente dio e’ legittimamente un fine in se stesso. Il passaggio e’ facile. Si pone come assioma che la condizione necessaria e’ sufficiente, soprattutto una volta che la si sia ottenuta. Il partito si trova quindi, per effetto dell’assenza di pensiero, in un continuo stato d’impotenza, che attribuisce sempre all’insufficienza del potere di cui dispone. Se anche fosse padrone assoluto del paese, le necessita’ internazionali gli imporrebbero limiti troppo ristretti. Cosi’ la tendenza essenziale dei partiti e’ totalitaria, non solo relativamente a una nazione, ma relativamente al globo terrestre. E’ precisamente perche’ la concezione del bene pubblico propria all’uno o l’altro partito e’ una finzione, una cosa vuota, irreale, che essa impone la ricerca della potenza totale. Qualunque realta’ implica, di per se stessa, un limite. Solo cio’ che non esiste del tutto non e’ mai limitabile. E’ per questo che c’e’ affinita’, alleanza, tra il totalitarismo e la menzogna. Molte persone, e’ vero, non pensano mai a una potenza totale. Questo pensiero le spaventerebbe. E’ vertiginoso, ed e’ necessaria una sorta di grandezza per sostenerlo. Quelle persone, quando si interessano a un partito, si accontentano di desiderarne la crescita, ma come qualcosa che non comporti alcun limite. Se quest’anno ci sono tre membri in piu’ dell’anno scorso, o se l’autofinanziamento ha permesso di raccogliere cento franchi in piu’, sono contente. Ma desiderano che questo andamento continui indefinitamente nella stessa direzione. Mai potrebbero concepire che il loro partito possa avere in alcun caso troppi membri, troppi elettori, troppo denaro. Il temperamento rivoluzionario porta a concepire la totalita’. Il temperamento piccolo-borghese porta a convivere con l’immagine di un progresso lento, continuo e illimitato. Ma nei due casi la crescita materiale del partito diviene l’unico criterio rispetto al quale si definiscono in ogni caso il bene e il male. Esattamente come se il partito fosse un animale all’ingrasso, e l’universo fosse stato creato per farlo ingrassare. Non si puo’ servire contemporaneamente dio e mammona. Se si possiede un criterio del bene diverso dal bene, si perde la nozione di bene. Nel momento in cui la crescita del partito costituisce un criterio del bene, ne consegue inevitabilmente una pressione collettiva del partito sui pensieri degli uomini. Questa pressione, in effetti, esiste. Viene mostrata pubblicamente. E’ ammessa, proclamata. Questo fatto ci farebbe orrore se l’abitudine non ci avesse talmente induriti. I partiti sono organismi pubblicamente, ufficialmente costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della verita’ e della giustizia. La pressione collettiva e’ esercitata sul grande pubblico attraverso la propaganda. Lo scopo manifesto della propaganda e’ la persuasione, non la comunicazione della luce. Hitler aveva capito perfettamente che la propaganda e’ sempre un tentativo di asservimento dello spirito. Tutti i partiti fanno propaganda. Chi non ne facesse scomparirebbe, in virtu’ del fatto che gli altri ne fanno. Tutti ammettono di fare propaganda. Nessuno e’ tanto audace nella menzogna al punto da affermare che intraprende l’educazione del pubblico, che forma le opinioni del popolo. I partiti parlano, e’ vero, di educazione nei confronti di quelli che sono venuti a loro: simpatizzanti, giovani, nuovi aderenti. Questa parola e’ una menzogna. Si tratta di un addestramento che serve a preparare l’influenza ben piu’ rigorosa esercitata dal partito sul pensiero dei suoi membri. Immaginiamo il membro di un partito deputato, candidato al parlamento o semplicemente militante che prenda in pubblico il seguente impegno: “ogniqualvolta esaminero’ un qualunque problema politico o sociale, mi impegno a scordare completamente il fatto che sono membro del mio gruppo di appartenenza, e a preoccuparmi esclusivamente di discernere il bene pubblico e la giustizia”. Questo linguaggio sarebbe accolto in modo molto negativo. I suoi, e anche molti altri, lo accuserebbero di tradimento. I meno ostili direbbero: “perche’ allora, ha aderito a un partito?”, ammettendo cosi’ ingenuamente che entrando in un partito si rinuncia a cercare unicamente il bene pubblico e la giustizia. Quell’uomo sarebbe escluso dal suo partito, o per lo meno ne perderebbe l’investitura, non sarebbe certamente eletto. Ma, a dirla tutta, non sembra nemmeno possibile che un linguaggio di questo genere sia adottato. In effetti, salvo errori, non lo e’ mai stato. Se parole apparentemente simili a queste sono state pronunciate, e’ stato solamente da parte di uomini desiderosi di governare con partiti diversi dal loro. Parole di questo tipo suonavano allora come una sorta di infrazione a un codice d’onore. D’altro canto si trova del tutto naturale, ragionevole e onorevole, che qualcuno dica: “in quanto conservatore…”, “come socialista, ritengo che…”. Questo ftto, e’ vero, non e’ appannaggio dei soli partiti. Non si arrossisce di piu’ dicendo: “come francese, penso che…”, o “come cattolico, penso che…”. Alcune ragazzine, che dicevano attaccate al “gollismo” come all’equivalente francese dell’”hitlerismo”, aggiungevano: “la verita’ e’ relativa, anche in geometria”. Toccavano il punto centrale. Se non esiste verita’, e’ ugualmente legittimo pensare in un modo o in un altro, dal momento che ci si trova a essere fatti in una maniera o nell’altra. Dato che abbiamo i capelli nei, bruni, rossi o biondi, poiche’ siamo fatti in un certo modo, emettiamo anche certi o certi altri pensieri. Il pensiero, come i capelli, e’ il prodotto di un processo fisico di eliminazione. Se riconosciamo che esiste una verita’, allora non ci e’ permesso di pensare ad altro che a cio’ che e’ vero. Pensiamo allora una determinata cosa non perche’ ci troviamo a essere effettivamente francesi, cattolici o socialisti, ma perche’ la luce irresistibile dell’evidenza obbliga a pensare cosi’ e non altrimenti. Se non esiste evidenza, se c’e’ dubbio, e’ allora evidente che, nello stato di conoscenze di cui disponiamo, la questione e’ incerta. Se c’e’ una debole probabilita’ da un lato, e’ evidente che c’e’ una debole probabilita’, e cosi’ via. In ogni caso, la luce interiore concede sempre a chiunque la consulti una risposta manifesta. Il contenuto della risposta e’ piu’ o meno affermativo, poco importa. E’ sempre suscettibile di revisione, ma nessuna correzione puo’ essere apportata, se non attraverso una maggior quantita’ di luce interiore. Se un uomo, membro di un partito, e’ risolutamente deciso ad essere fedele in ogni suo pensiero unicamente alla luce interiore e a null’altro, non puo’ far conoscere questa risoluzione al suo partito. E’ allora, di fronte a esso, in stato di menzogna. Questa situazione non puo’ essere accettata che a causa della necessita’, che obbliga a entrare in un partito per prendere parte efficacemente agli affari pubblici. Ma allora questa necessita’ e’ un male, e bisogna mettervi fine sopprimendo i partiti. Un uomo che non abbia preso la risoluzione di fedelta’ esclusiva alla luce interiore insedia la menzogna al centro stesso dell’anima. Le tenebre interiori sono la sua punizione. Sarebbe vano tentare di uscire dal dilemma attraverso la distinzione tra la liberta’ interiore e la disciplina esteriore. Perche’ allora bisogna mentire al pubblico, verso il quale qualunque candidato, qualunque eletto, ha un obbligo particolare di verita’. Se mi appresto a dire, in nome del mio partito, cose che stimo contrarie alla verita’ e alla giustizia, lo indichero’ con un avvertimento preliminare? Se non lo faccio, mento. Di queste tre forme di menzogna al partito, al pubblico, a se stessi la prima e’ di gran lunga la meno nociva. Ma se l’appartenenza a un partito obbliga sempre, in ogni caso, alla menzogna, l’esistenza dei partiti e’ assolutamente, incondizionatamente, un male. Era frequente vedere, nei manifesti che annunciavano dibattiti politici, frasi quali: “il signor x esporra’ il punto di vista comunista”(sul problema oggetto dell’assemblea). “il signor y esporra’ il punto di vista socialista”. “il signor z esporra’ il punto di vista radicale”. Come facevano quei poveretti a conoscere il punto di vista che dovevano esporre? Chi potevano consultare? Quale oracolo? Una collettivita’ non ha lingua ne’ penna. Gli organi di espressione sono tutti individuali. La collettivita’ socialista non risiede in alcun individuo. La collettivita’ radicale nemmeno. La collettivita’ comunista risiede in stalin, ma stalin e’ lontano: non gli si puo’ telefonare prima di parlare a un dibattito. No, i signori x, y e z consultavano se stessi. Ma poiche’ erano onesti, si mettevano in uno stato mentale speciale, uno stato simile a quello in cui li aveva trasportati cosi’ spesso l’atmosfera degli ambienti socialista, comunista, radicale. Se una volta, raggiunto questo stato, ci si lascia andare alle proprie reazioni, si produrra’ naturalmente un linguaggio conforme ai “punti di vista” socialista, comunista, radicale. A condizione, beninteso, di proibirsi rigorosamente qualunque sforzo di attenzione rivolto a discernere la giustizia e la verita’. Se si compisse un tale sforzo, si rischierebbe colmo dell’orrore di esprimere “un punto di vista personale”. Perche’ ai giorni nostri la tensione verso la giustizia e la verita’ come rispondente a un punto di vista personale. Quando ponzio pilato ha domandato a cristo: “che cos’e’ la verita’?”, cristo non ha risposto. Lo aveva gia’ fatto prima, dicendo: “sono venuto per rendere testimonianza alla verita’”. Non c’e’ che un’unica risposta. La verita’ e’ costituita dai pensieri che sorgono nello spirito di una creatura pensante unicamente, totalmente, esclusivamente desiderosa della verita’. La menzogna, l’errore termini sinonimi sono i pensieri di chi non desidera la verita’, o di chi desidera la verita’ e, assieme ad essa, qualcos’altro. Per esempio, di chi desidera la verita’ e in piu’ la conformita’ a un determinato pensiero prestabilito. Ma come desiderare la verita’ senza saperne nulla? E’ questo il mistero dei misteri. Le parole che esprimono una perfezione inconcepibile all’uomo dio, verita’, giustizia pronunciate interiormente con desiderio senza essere unite ad alcun’altra concezione, hanno il potere di elevare l’anima e di inondarla di luce. A questo si riduce l’intero meccanismo dell’attenzione. E’ impossibile esaminare i problemi spaventosamente complessi della vita pubblica prestando attenzione contemporaneamente da un lato a discernere la verita’, la giustizia, il bene pubblico, dall’altro a conservare l’atteggiamento che si conviene a un certo membro di un raggruppamento. La facolta’ d’attenzione umana non e’ capace di rispondere simultaneamente a queste due preoccupazioni. In effetti, chiunque si dedichi a una di esse, esclude l’altra. Ma nessuna sofferenza attende chi abbandona la giustizia e la verita’. Mentre il sistema dei partiti comporta le pene piu’ severe per l’indocilita’. Penalita’ che toccano quasi tutto: carriera, sentimenti, amicizie, reputazione, onore, talvolta addirittura la vita di famiglia. Il partito comunista ha portato questo sistema alla perfezione. Anche in colui che internamente non cede, l’esistenza di penalita’ falsa inevitabilmente la riflessione. Perche’ se si vuole reagire all’influenza del partito, questa volonta’ di reazione e’ in essa stessa un movente estraneo alla verita’ e di cui bisogna diffidare. Ma lo stesso si puo’ dire di questa sfiducia, e cosi’ via. La vera attenzione e’ uno stato talmente difficile per l’uomo, talmente violento, che qualunque turbamento personale della sensibilita’ e’ sufficiente a ostacolarla. Ne risulta l’obbligo imperioso di proteggere per quanto possibile la facolta’ di discernimento che portiamo in noi stessi contro il tumulto delle speranze e dei timori personali. Un uomo che esegue calcoli numerici molto complessi sapendo che ricevera’ una frustata ogni volta che otterra’ come risultato un numero pari si trova in una situazione molto difficile. Qualche cosa nella parte carnale dell’anima lo portera’ a dare una piccola spinta ai calcoli per ottenere sempre un numero dispari. Volendo reagire rischiera’ di trovare un numero pari anche dove non dovrebbero essercene. Presa in questa oscillazione, la sua attenzione non e’ piu’ intatta. Se i calcoli sono complessi al punto da esigere da parte sua la pienezza dell’attenzione, inevitabilmente sbagliera’ molto spesso. Non servira’ a nulla che sia molto intelligente, molto coraggioso, molto attento alla ricerca della verita’. Che cosa deve fare? E’ molto semplice. Se puo’ sfuggire alle persone che lo minacciano con la frusta, deve scappare. Se ha potuto evitare di cadere nelle loro mani, doveva evitarlo. Le cose funzionano esattamente allo stesso modo per i partiti politici. Quando in un paese esistono i partiti, ne risulta prima o poi uno stato delle cose tale che diventa impossibile intervenire efficacemente negli affari pubblici senza entrare a far parte di un partito e stare al gioco. Chiunque si interessi alla cosa pubblica desidera interessarsene efficacemente. Cosi, chiunque abbia un’inclinazione a interessarsi al bene pubblico o rinuncia a pensarci e si rivolge ad altro, o passa dal laminatoio dei partiti. Anche in questo caso sara’ preso da preoccupazioni che escludono quella per il bene pubblico. I partiti sono un meraviglioso meccanismo in virtu’ del quale, in tutta l’estensione di un paese, non uno spirito dedica un’attenzione allo sforzo di discernere negli affari pubblici, il bene, la giustizia, la verita’. Ne risulta che eccezion fatta per un piccolo numero di coincidenze fortuite vengono decise e intraprese soltanto misure contrarie al bene pubblico, alla giustizia e alla verita’. Se si affidasse al diavolo l’organizzazione della vita pubblica, non saprebbe immaginare nulla di piu’ ingegnoso. Se la realta’ e’ stata un po’ meno cupa, questo e’ accaduto perche’ i partiti non avevano ancora divorato ogni cosa. Ma e’ stata realmente un po’ meno cupa? Non era cupa esattamente quanto il quadro qui delineato? La storia non l’ha mostrato? Si deve ammettere che il meccanismo di oppressione spirituale e mentale proprio dei partiti e’ stato introdotto nella storia dalla chiesa cattolica, nella sua lotta contro l’eresia. Un convertito che fa il suo ingresso nella chiesa o un fedele che delibera con se stesso e decide di rimanervi ha visto nel dogma il vero e il bene. Ma varcando la soglia professa allo stesso momento di non essere colpito dagli anathema sit, ovverossia di accettare in blocco tutti gli articoli “di stretta fede”. Questi articoli non li ha studiati. Persino a chi fosse dotato di un alto grado di intelligenza e cultura, una vita intera non basterebbe a questo studio, dato che implica anche quello delle circostanze storiche di ogni condanna. Come aderire ad affermazioni che non si conoscono? E’ sufficiente sottomettersi incondizionatamente all’autorita’ che le ha emanate. E’ il motivo per cui san tommaso vuole sostenere le proprie affermazioni solamente attraverso l’autorita’ della chiesa, escludendo qualunque altro argomento. Poiche’, dice, non e’ necessarion null’altro per chi l’accetta, e nessun argomento persuaderebbe chi la rifiuta. In questo modo la luce interiore dell’evidenza, questa facolta’ di discernimento concessa dall’alto all’anima umana come risposta al desiderio di verita’, e’ scartata, condannata a un ruolo servile come quello di fare addizioni, esclusa da tutte le ricerche relative al destino spirituale dell’uomo. Il movente del pensiero non e’ piu’ il desiderio incondizionato, indefinito, della verita’, ma il desiderio della conformita’ a un insegnamento prestabilito. Che in questo modo la chiesa fondata da cristo abbia in cosi’ grande misura soffocato lo spirito di verita’ e se, nonostante l’inquisizione, non lo ha fatto totalmente e’ perche’ la mistica offriva un rifugio sicuro sembra una tragica ironia. Lo si e’ spesso sottolineato. Ma si e’ sottolineata con minore frequenza un’altra tragica ironia. Che il moto di ribellione contro il soffocamento degli spiriti, avvenuto sotto il regime inquisitorio, ha preso un orientamento tale da proseguire quella stessa opera di soffocamente degli spiriti. La riforma e l’umanesimo rinascimentale, doppio prodotto di questa rivolta, hanno largamente contribuito a formare, dopo tre secoli di maturazione, lo spirito del 1789. Ne e’ risultata, dopo un certo intervallo, la nostra democrazia fondata sul gioco dei partiti, ognuno dei quali e’ una piccola chiesa profana armata della minaccia della scomunica. L’influenza dei partiti ha contaminato l’intera vita mentale della nostra epoca. Un uomo che aderisce a un partito ha verosimilmente visto nell’azione e nella propaganda di quel partito cose che gli sono parse giuste e buone. Ma non ha mai studiato la posizione del partito relativamente a tutti i problemi della vita pubblica. Entrando a far parte del partito, accetta posizioni che ignora. Sottomette cosi’ il suo pensiero all’autorita’ del partito. Quando, poco a poco, conoscera’ le posizioni che oggi ignora, le accettera’ senza esaminarle. E’ esattamente la stessa situazione di chi aderisce all’ortodossia cattolica concepita come fa san tommaso. Se un uomo dicesse, richiedendo la sua tessera di membro: “sono d’accordo con il partito su questo, questo e quest’altro punto. Non ho studiato le sue altre posizioni e riservo interamente la mia opinione fino a che non ne avro’ portato a termine lo studio”, lo si pregherebbe probabilmente di ripassare in seguito. Ma in realta’, al di la delle eccezioni molto rare, un uomo che entra in un partito adotta docilmente la disposizione d’animo che esprimera’ piu’ tardi con le parole: “come monarchico, come socialista, penso che…”. E’ una posizione cosi’ confortevole! Perche’ equivale a non pensare. Non c’e’ nulla di piu’ confortevole del non pensare. Quanto alla terza caratteristica dei partiti, ossia il fatto che sono macchine per fabbricare passioni collettive, e’ cosi’ evidente che non merita di essere spiegata. La passione collettiva e’ l’unica energia di cui dispongono i partiti per la propaganda diretta all’esterno e per la pressione esercitata sull’anima di ogni membro. Si ammette che lo spirito di partito acceca, rende sordi alla giustizia, spinge anche le persone oneste all’accanimento piu’ crudele contro gli innocenti. Lo si ammette, ma non si pensa a sopprimere gli organismi che fabbricano un tale spirito. Ciononostante, si vietano gli stupefacenti. Esistono ugualmente persone che consumano stupefacenti. Ma il loro numero sarebbe piu’ alto se lo stato organizzasse la vendita di oppio e cocaina in tutti i tabaccai, con cartelloni pubblicitari per incoraggiare i consumatori. La conclusione e’ che l’istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal punto di vista pratico lo sono i loro effetti. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro. E’ perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre, a livello pratico, che effetti positivi. I candidati non direbbero agli elettori: “ho quest’etichetta” il che, dal punto di vista pratico, non spiega rigorosamente nulla al pubblico sul loro atteggiamento concreto relativo a problemi concreti ma: “penso tale, tale e tale cosa riguardo a tale, tale e tale grande problema”. Gli eletti si assocerebbero e si dissocerebbero secondo il gioco naturale e mobile delle affinita’. Posso facilmente essere in accordo con il signor a sul colonialismo e in disaccordo con lui sulla proprieta’ rurale, e avere posizioni opposte nei confronti del signor b. Se si parla di colonialismo, andro’, prima della seduta, a conversare un po’ con il signor a. Se si parla di proprieta’ rurale, con il signor b. La cristallizzazione artificiale in partiti e’ coincisa poco con le affinita’ reali che un deputato poteva essere in disaccordo, per tutti gli atteggiamenti concreti, con un collega del suo partito e in accordo con un uomo di un altro partito. Quante volte, in germania, nel 1932, un comunista e un nazista, parlando per la strada, devono essere stati colti da vertigini mentali constatando che erano d’accordo su ogni punto! Fuori dal parlamento, dato che esistono riviste di opinione, si creano attorno ad esse, in modo del tutto naturale, altrettanti circoli. Ma questi circoli dovrebbero essere mantenuti in stato di fluidita’. E’ la fluidita’ che distingue dal partito un circolo costruito sull’affinita’ e gli impedisce di avere un’influenza nociva. Quando si frequenta in amicizia chi dirige una data rivista e chi vi scrive spesso, quando vi si scrive a propria volta, si sa che si e’ in contatto con il circolo creatosi intorno a quella rivista. Ma non si sa se si fa parte di questo circolo, non esiste una divisione netta tra interno ed esterno. Piu’ distanti, ci sono coloro i quali leggono la rivista e conoscono una o due delle persone che vi scrivono. Piu’ distanti ancora, i lettori regolari che ne traggono ispirazione. Piu’ distanti, i lettori occasionali. Ma nessuno potrebbe arrivare a pensare o a dire: “in quanto legato a questa rivista, penso che….”. Quando i collaboratori di una rivista si presentano alle elezioni, dovrebbe essere loro vietato fare riferimento alla rivista. Dovrebbe essere vietato, alla rivista, di dare un’investitura, di favorire direttamente o indirettamente la loro candidatura, o anche solo di menzionarla. Qualunque gruppo di “amici” di questa rivista dovrebbe essere proibito. Se una rivista impedisse ai suoi collaboratori, sotto pena di allontanamento, di collaborare con altre pubblicazioni, di qualunque genere esse siano, la rivista dovrebbe essere soppressa non appena fosse possibile provare il fatto. Questo implica un regime della stampa tale da rendere impossibili le pubblicazioni alle quali e’ disonorevole collaborare. Ogni volta che un circolo tentasse di cristallizzarsi conferendo un carattere definito allo statuto di membro, dovrebbe esserci repressione penale non appena il fatto fosse stabilito. Naturalmente, esisterebbero partiti clandestini. Ma i loro membri avrebbero cattiva coscienza. Non potrebbero piu’ fare pubblica professione di servilita’ dello spirito. Non potrebbero fare alcuna propaganda in nome del partito. Il partito non potrebbe piu’ trattenerli in una rete senza buchi di interessi, di sentimenti e di obblighi. Ogni volta che una legge e’ imparziale, equa e fondata su una concezione del bene pubblico facilmente assimilabile dal popolo, indebolisce tutto cio’ che vieta. Lo indebolisce per il semplice fatto di esistere, e indipendentemente dalle misure repressive ad assicurarne l’applicazione. Questa maesta’ intrinseca della legge e’ un fattore della vita pubblica dimenticato da tempo, e di cui bisogna ripristinare l’uso. Sembra non esserci nell’esistenza di partiti clandestini alcun inconveniente che non si ritrovi in un grado ben piu’ elevato nel fatto compiuto dai partiti legali. In linea generale, un esame attento non sembra lasciar intravedere a nessun proposito nessun inconveniente di nessun tipo legato alla soppressione dei partiti. Per un singolare paradosso le misure di questo genere, che non presentano inconvenienti, sono in realta’ quelle che hanno le minori possibilita’ di essere attuate. Ci si dice: se questa soluzione e’ davvero cosi’ semplice, come mai non e’ stata applicata gia’ da tempo? Eppure, in linea generale le grandi cose sono semplici e immediate. Questa soppressione estenderebbe la propria virtu’ di risanamento ben al di la’ degli affari pubblici. Perche’ lo spirito di partito e’ arrivato a contaminare ogni cosa. In un paese le istituzioni che determinano lo svolgersi della vita pubblica influenzano sempre la totalita’ del pensiero, a causa del prestigio del potere. Siamo arrivati al punto da non pensare quasi piu’, in nessun ambito, se non prendendo posizione “pro” o “contro” un’opinione e cercando argomenti che, secondo i casi, la confutino o la supportino. E’ esattamente la trasposizione dell’adesione a un partito. Come, nei partiti politici, esistono democratici che ammettono diversi partiti, allo stesso modo nell’ambito delle opinioni le persone di ampie vedute riconoscono un valore alle opinioni con le quali si dicono in disaccordo. Significa aver perso completamente il senso stesso del vero e del falso. Altri, una volta presa posizione per un’opinione, non accettano di esaminare nulla che le sia contrario. E’ la trasposizione dello spirito totalitario. Quando einstein venne in francia, tutti gli appartenenti ai circoli piu’ o meno intellettuali, compresi gli scienziati stessi, si divisero in due campi: i favorevoli e i contrari. Qualunque pensiero scientifico innovativo ha negli ambienti scientifici i suoi partigiani e i suoi avversari, animati gli uni e gli altri, a un grado deplorevole, dallo spirito di partito. Esistono d’altronde, in questi ambienti, numerose tendenze, diverse conventicole, a uno stato piu’ o meno cristallizzato. Nell’arte e nella letteratura, il fenomeno e’ ancora piu’ visibile. Cubismo e surrealismo sono stati delle specie di partiti. Si era “gidiani” cosi’ come si era “maurrasiani”. Per avere un nome, e’ utile essere circondati da una banda di ammiratori animati da spirito di partito. Allo stesso modo non c’e’ grande differenza tra l’attaccamento a un partito e l’attaccamento a una chiesa o all’attitudine antireligiosa. Si e’ pro o contro la fede in dio, pro o contro il cristianesimo, e cosi’ via. Si e’ giunti, in materia di religione, a parlare di “militanza”. Anche nelle scuole non si sa piu’ stimolare il pensiero dei ragazzi se non invitandoli a prendere partito pro o contro un determinato pensiero. Si cita una frase di un grande autore e si chiede loro: “siete d’accordo o no?” all’esame i poveretti, dovendo terminare la loro dissertazione nel giro di tre ore, non possono passare piu’ di cinque minuti a chiedersi quale sia la loro opinione in merito. E sarebbe cosi’ facile dire loro: “meditate su questo testo ed esprimete le riflessioni che vi suscita”. Quasi dappertutto e anche, di frequente, per problemi puramente tecnici l’operazione di prendere partito, di prendere posizione pro o contro, si e’ sostituita all’operazione del pensiero. Si tratta di una lebbra che ha avuto origine negli ambienti politici e si e’ espansa, attraverso tutto il paese, alla quasi totalita’ del pensiero. Non e’ certo che sia possibile rimediare a questa lebbra, che ci sta uccidendo, senza cominciare dalla soppressione dei partiti politici.
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