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Scritto il 27/7/11

Le vittime di Utøya volevano boicottare Israele

Le vittime di Utøya, nuove leve della sinistra al governo della Norvegia fatte a pezzi il 22 luglio dal “pazzo” fanatico Anders Behring Breivik, non sapevano di avere un nemico armato e pronto a sterminarli, ma erano perfettamente consapevoli dell’ostilità assoluta di un altro “avversario”, ben più attrezzato: Israele. I nostri media non ne parlano, mentre loro erano addirttura usciti sui giornali norvegesi, per proporre la più drastica delle soluzioni contro Tel Aviv: l’embargo contro lo Stato ebraico, in risposta al genocidio inflitto ai palestinesi. Una minaccia esplicita, formulata dal loro giovane leader, Eskil Pedersen: «Diffidiamo di Israele, che non ascolta le proteste del mondo; chiediamo alla Norvegia di adottare l’embargo economico contro Tel Aviv, anche unilaterale».

«Quali erano i valori dei ragazzi e delle ragazze norvegesi dell’isola di Utøya?», si domanda Pino Cabras, che su “Megachip” pubblica il testo integrale dell’ultima intervista di Pedersen rilasciata il 19 luglio all’importante quotidiano “Dagbladet”. Cosa si legge di così clamoroso in questa intervista? Proprio alla vigilia dell’incontro con il ministro degli esteri di Oslo, il laburista Jonas Gahr Store, quali temi di politica internazionale va a proporre Pedersen? Il giovanissimo politico della sinistra di governo norvegese, in modo inequivocabile, punta tutto su un solo tema: no al dialogo con Israele, sì all’embargo.

«I nostri media non ne hanno fatto cenno», sottolinea Cabras. Ma, «nel pieno del seminario estivo del movimento giovanile laburista Arbeidernes Ungdomsfylking (Auf)», il suo leader – il primo gay dichiarato a capo dei giovani laburisti di Oslo – attacca a testa bassa Israele, come se Tel Aviv si ponesse ormai al di fuori del consesso civile fondato sul dialogo democratico. E un giudizio così duro non viene da frange palestinesi estremiste, da Hezbollah o da Hamas, ma dalla “meglio gioventù” della civilissima Norvegia, laica e democratica, storico baluardo della Nato nel Nord Europa. «I lettori – scrive Cabras – potranno così vedere sotto un’ulteriore luce il massacro perpetrato da Anders Behring Breivik, alias “ABB”, con i suoi complici. E si potranno porre domande fin qui sopite soprattutto se si accenderà poi un’altra luce, quella sul lungo documento di Breivik, che proclama in molti punti una viscerale fedeltà alla causa sionista, e quando si riveleranno i contatti organici di “ABB” con l’estrema destra sionista europea».

“Il dialogo non serve, Jonas!”: così “Dagbladet” titola l’intervista di di Alexander Stenerud ad Eskil Pedersen, alla vigilia del previsto incontro col ministro degli esteri norvegese Jonas Gahr Store per dibattere di Medio Oriente. Se il responsabile della politica estera di Oslo crede ancora nel dialogo per porre fine al conflitto israelo-palestinese, scrive “Dagbladet”, il giovane leader dell’Auf lancia un chiaro messaggio di segno opposto: «Ci piace che si parli ma, da come abbiamo visto, Israele non è interessata, e non ha ascoltato nessuna delle rimostranze che le sono state fatte». Per Pedersen, «il processo di pace è un vicolo cieco, e sebbene il mondo intero strepiti affinché gli israeliani vi si conformino, loro non lo fanno». Di qui la proposta-bomba: «Noi della Gioventù Laburista vogliamo un embargo economico unilaterale contro Israele da parte norvegese», dichiara Pedersen.

Il leader dei giovani laburisti, continua il quotidiano di Oslo, sostiene che il dialogo non ha più nulla da offrire di fronte a Israele, e ritiene che sia l’ora che si adottino nuovi tipi di misure. Pedersen considera che le autorità israeliane si sono spostate così tanto a destra che risulta impossibile avere alcun colloquio con loro. «La Norvegia ha poche opportunità di esercitare in qualche modo un’influenza, e non siamo vicini ad alcuna pace in questo conflitto. Semmai il contrario. Israele – continua Pedersen – si è spostata estremamente a destra, il che fa sì che scarseggino i partner dialoganti». Secondo il leader dei giovani laburisti, perfino i responsabili della politica estera del Partito del progresso, la formazione conservatrice liberale norvegese, «faticheranno assai per trovare interlocutori in Israele».

«Non c’è più alcun filo diretto», insiste Eskil Pedersen: «Quel che intendo dire è che dovremmo parlare con chiunque, ma non possiamo sacrificare i nostri principi e le nostre politiche tanto per parlare». La Gioventù Laburista, ricorda  “Dagbladet”, è stata a lungo in favore del boicottaggio di Israele, ma la decisione all’ultimo congresso, che richiedeva che la Norvegia imponesse un embargo economico unilaterale del paese, era più netta che in precedenza. «Riconosco che questa sia una misura drastica – ammette il giovane leader della sinistra norvegese – ma ritengo che essa dia una chiara indicazione del fatto che siamo stanchi del comportamento di Israele. Larghe parti del mondo reagiscono in ogni momento, ma Israele non ascolta. Penso che la decisione sia un segno che noi dell’Auf diffidiamo di Israele, semplicemente».

Parole che non anticipano in alcun modo la conclusione delle indagini sulla spaventosa strage, ma certo la illuminano, arricchendo il quadro di nuovi, sconcertanti contenuti: «L’“anti-islamico” ABB non ha consumato il suo piombo in una moschea», scrive Pino Cabras. «Ha invece sterminato le giovani leve di un’intera nuova classe dirigente sgradita». L’unica, peraltro, che in Europa abbia puntato in dito in modo così esplicito contro i massacratori di Gaza, inutilmente condannati dall’Onu. Il “mostro” Breivik sarà anche pazzo, conclude Cabras, «ma i pazzi come lui spesso sono in mano a manovratori e agenti d’influenza con una visione precisa». Peccato che i media mainstream, per ora, non ne abbiano fatto parola.

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