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04/04/2011 11:50

La “primavera araba” fra autoritarismo e islamismo
di Samir Khalil Samir

Roma (AsiaNews) - Nei mesi scorsi il Nordafrica e il Medio oriente sono stati scossi e trasformati dal vento della cosiddetta “primavera araba”. Soprattutto in Egitto si sono avute dimostrazioni di unità nazionale fra cristiani e musulmani, desiderio di vedere più democrazia, più rispetto dei diritti umani, più lavoro.

Ora, a qualche settimana dalla caduta di Mubarak, pare esservi un ritorno alla “normalità” o forse alla “normalizzazione”: il referendum sulla nuova costituzione non ha cambiato molto la carta; l’esercito ha proibito manifestazioni pubbliche; i Fratelli musulmani divengono più assertivi…

Anche in Tunisia esiste la stessa difficoltà a trovare una via di governo che non sia segnata dalla passata corruzione e intanto si è aperto il fronte di una guerra in Libia che per la prima volta vede coinvolto l’occidente in modo ambiguo. Ecco quanto ci ha detto il nostro esperto sull’Islam.

 

Non c’è futuro per questa primavera araba?

Per rispondere a queste domande cerco di concentrarmi soprattutto sul caso dell’Egitto, che conosco di più. Da una parte è normale che dopo i rivolgimenti dei mesi passati, si cerchi di ritrovare il quotidiano: la riapertura delle scuole per non far perdere l’anno agli studenti; il lavoro per far crescere l’economia ancora in crisi. L’atteggiamento dell’esercito è normale ed era prevedibile: Noi vi sosteniamo – dicono – ma adesso il Paese deve riprendere a marciare per non fallire dal punto di vista economico.

Anche il referendum sulla costituzione era inevitabile nei suoi risultati. Va precisato che all’interno del referendum non era previsto il cambiamento dell’articolo 2, quello sulla sharia come fondamento della legislazione egiziana, anche se i giovani vogliono sottometterlo a referendum in un prossimo futuro.

Ma se oggi ci fosse un referendum su questo, ci sarebbe solo un 30% di persone che lo vogliono cancellare. Non perché il resto, il 70% sono islamisti, ma perché la gente non è informata e conclude che, essendo l’Egitto un Paese a maggioranza islamica, deve essere governato da leggi islamiche. Va detto che in Egitto non vige una sharia così stretta come in Arabia saudita, Iran o Pakistan. Questo problema perciò è sentito solo dalle sensibilità più acute. Nel mondo arabo si discute sì sulla laicità, ma molti non sanno nemmeno cosa sia. I cristiani sentono la questione in modo forte, ma i musulmani non vi vedono alcun problema.

 

I giovani che hanno fatto la rivoluzione non sono organizzati

In Egitto, gli unici partiti organizzati sono quello di Mubarak e i Fratelli musulmani. Loro hanno fatto votare i dieci punti del referendum, fatto varare la nuova costituzione, programmato le nuove elezioni legislative per il mese di settembre 2011. Purtroppo, per i giovani che hanno fatto la rivoluzione, sei mesi sono troppo pochi per organizzarsi e ancora oggi non riescono a darsi un leader. Questo li penalizzerà nelle elezioni. D’altronde questo è inevitabile: il Paese non poteva rimanere troppo tempo senza costituzione e senza nuove elezioni. In generale, perciò, posso dire che non vedo un boicottaggio della rivoluzione, ma un semplice tentativo di incanalamento nella normalità.

È vero però il timore di un’involuzione islamica. I Fratelli musulmani fanno propaganda per islamizzare di più la società attraverso segni visibili: fanno pressione sulle ragazze che vanno senza velo, oppure scandalizzano la popolazione mostrando El Baradei [candidato alla presidenza in Egitto – ndr] come il fautore di una laicità “atea” e “immorale”. Secondo un video che gira su internet, se la laicità viene in Egitto, il Paese sarà anno dopo anno invaso dalle minigonne, dal bere alcolici, dalla droga, dal matrimonio fra omosessuali, ecc..: tutti aspetti che non c’entrano per nulla con la laicità. Questa propaganda tocca la gente. Nelle reazioni al video, da me consultate, solo un commento afferma: ma questo non è la laicità.

Purtroppo il partito che ha fatto la rivoluzione non sa da che parte andare. Devono trovare un leader capace di guidare, altrimenti, sì, c’è il rischio di un passo indietro. Il futuro è dunque un’incognita.

 

I partiti islamici vogliono sequestrare la rivoluzione

In Tunisia va meglio, da un certo punto di vista, ma anche lì il partito islamico Ennahdha, fondato da Rached Ghannouchi e vietato dal 1991, è stato riconosciuto il 1° marzo 2011. Con il partito Ettahrir (non autorizzato) stanno cercando di cancellare la laicità. Il primo gesto che hanno richiesto era di permettere il volto velato sui documenti d’identità delle donne, che prima era vietato. Ieri, 2 aprile, è stato votato questo “diritto”.

Anche molti tunisini si sentono “musulmani” e alcuni tra i giovani rifiutano la “laicità”. Fra gli intellettuali è diverso: essi vogliono la laicità. Ma la maggior parte di loro vede questo problema attraverso il sentimento degli immigrati in Francia: vivere in un Paese laico limita le feste musulmane, proibisce il velo, permette la promiscuità…

 

La preoccupazione dei cristiani per il futuro: democrazia e laicità

La preoccupazione per il futuro dei cristiani si pone soprattutto in Iraq, Siria, Egitto, Libano, Giordania, Palestina, dove esistono cristiani locali. Negli altri Paesi vi sono cristiani, ma si tratta di stranieri e lavoratori immigrati.

In Egitto la questione è molto seria. Quando ci sarà il referendum sull’articolo 2 [la sharia come fondamento di tutte le leggi – ndr], vedremo se ci saranno dei progressi. Alcune settimane fa ho parlato con Tarek Heggy [scrittore liberale egiziano e imprenditore- ndr], e lui mi ha confidato che “occorreranno almeno 10 anni per cancellare questo articolo”. E questo sarà certo una delusione per i cristiani.

In Siria, pur con tutte le rivolte, forse non cambierà nulla. Va detto che i vescovi cristiani non vogliono che cambi nulla: il regime di Assad (alauita) garantisce sicurezza e laicità, perché con il suo autoritarismo mette fuori legge l’islamismo radicale. Chi è contrario agli Assad non sono le minoranze; non sono i cristiani, che temono l’avvento di un regime sunnita. Chi sta lottando (e sono la maggioranza), sono i nemici degli Assad e cioè i sunniti – che si sentono esclusi dal potere – e i Fratelli musulmani, che sono repressi da decenni.

Noi cristiani vogliamo la libertà, la democrazia, la giustizia, ma anche la laicità, cioè la neutralità religiosa, vogliamo che tutti siano considerati solo come cittadini, e non in quanto musulmani, cristiani o altro. Purtroppo in Medio oriente, dovendo governare su gruppi forti e fanatici, la laicità può essere imposto solo con la forza. Così è per gli Assad, per l’Iraq di Saddam Hussein, per Mubarak, per la Tunisia.

Lì dove c’è un regime meno forte, deve per forza fare concessioni all’islamismo. Siamo quindi presi fra due opposti: la democrazia con la laicità, o l’islamismo. Noi cristiani vogliamo entrambi, cioè democrazia e laicità; ma in pratica per ora in Medio Oriente non si riesce ad affermarli insieme. Così i cristiani alla fine preferiscono avere un regime autoritario, ma che garantisca loro almeno un minimo di libertà religiosa.

Questo è il dramma del Medio oriente. In Europa democrazia e laicità sono andate di pari passo; in Medio oriente vanno in opposizione.

 

Un esempio positivo: il Libano

Di fronte a questa situazione, mi sembra importante citare l’unico esempio positivo: quello del Libano, dove c’è democrazia e insieme una laicità rispettosa delle religioni, totalmente diversa dalla laicità occidentale. Nei giorni scorsi (il 2 aprile) il mufti sunnita Muhammad Rachid Kabbani è salito a Bkerké – sede del patriarca maronita dal 1823 – per incontrare il nuovo patriarca maronita Bechara Rahi (v. foto). Il mufti ha proposto che vi sia presto a Bkerké, un grande incontro islamo-cristiano “perché Bkerké – ha detto - è la sede nazionale e spirituale attorno a cui convergono tutti i libanesi, cristiani e musulmani”. Siccome in Libano non c’è ancora il governo, il mufti pensa che in questo modo si può rafforzare “la comunione spirituale e sociale per riedificare il tessuto sociale”.

L’unico Paese dove c’è simbiosi fra i due elementi, è il Libano. E benché i cristiani siano oggigiorno caduti al 35% circa della popolazione totale, i musulmani sono d’accordo nel mantenere la loro presenza politica al 50% dei seggi. Il motivo: si sono accorti che la presenza dei cristiani è benefica per la società, e perciò li invitano a non emigrare in Occidente!

 Fra i Paesi dove c’è calma, vi è la Siria, dove c’è autoritarismo, ma laicità; e la Giordania, dove grazie al re vi è un certo equilibrio. In Egitto vi sono molti che vogliono la convivenza e fanno manifestazioni mostrando insieme la croce e il Corano, ma vi sono anche coloro che aizzati dagli imam possono distruggere le chiese in un batter d’occhio.

 

Riflessione finale

Il problema è che il popolo arabo non è maturo per la democrazia. Temo che dovrà passare attraverso guerre civili o dittature islamiche (come in Iran) per rendersi conto che quelle non sono soluzioni. C’è però qualche speranza: chi in Egitto vuole una società ispirata all’islam, rifiuta però un’immagine come quella dell’Arabia saudita o dell’Iran.

Finora, l’unico Paese dove cristiani e musulmani parlano e dialogano alla pari è il Libano. Altrove non esiste perché sono ancora troppo poche le voci musulmane che difendano la democrazia e la neutralità in ambito religioso. Soprattutto sono rarissime le voci degli imam che difendono la separazione tra politica e moschea, religione e Stato.

Infine, l’educazione religiosa nelle scuole è ancora troppo legata alla cultura del passato e ai schemi del primo millennio. Manca l’apertura alla modernità collegata colla rilettura delle fonti religiosi. Una nuova ermeneutica dei testi fondatori è urgente. Ma ci sono i maestri ? …

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