di Lettera22 per il Fatto
23 novembre 2011

Egitto, continua la battaglia attorno a piazza Tahrir, “salvata” dagli ultras del calcio
di Paola Caridi

Ancora scontri nella capitale egiziana, Amnesty e Human Rights Watch denunciano l'uso di armi da fuoco e di potenti lacrimogeni. Mentre cresce il ruolo delle tifoserie delle due squadre cittadine del Cairo, unite contro l'intervento dei militari. Organizzate, salutate dalla folla come eroi, sono state loro a proteggere la folla che manifesta

Non accenna a finire la battaglia che oppone i dimostranti di Tahrir alle forze di polizia, sulle varie prime linee attorno alla piazza. Durante la giornata, si era tentato di por fine agli scontri, e nel primo pomeriggio era sembrato che la tregua potesse tenere. Le speranze, però, sono state subito soffocate dal lancio dei lacrimogeni che, sempre di più, preoccupano non solo i manifestanti, ma anche le organizzazioni internazionali per i diritti umani. Amnesty International si dichiara preoccupata, dopo aver raccolto le testimonianze di molti medici, che ritengono i gas all’origine di molte delle morti per asfissia. La conta delle vittime, peraltro, è aumentata sino a 35 morti, 31 dei quali solo al Cairo. Moltissimi i feriti e i contusi anche oggi, curati nell’ospedale da campo allestito nel cuore di piazza Tahrir.


A sparare è la polizia, mentre ancora da definire è il ruolo delle forze armate, che comunque Human Rights Watch condanna senza appello, in un durissimo comunicato. Sembra, però, che ci sia una spaccatura crescente tra la Centrale della sicurezza, e cioè la polizia che gestisce l’ordine pubblico, e gli ufficiali dell’esercito, alcuni dei quali hanno tentato di fermare la battaglia.


A esattamente cento ore dall’inizio degli scontri, uno spiraglio si era aperto. A via Mohammed Mahmoud, prima linea e cuore degli scontri, la polizia militare si era frapposta tra la polizia e i manifestanti. Manifestanti, e in gran parte ultras. Sì, perché la prima linea di Tahrir, proprio lungo la vecchia sede dell’American University del Cairo, è stata difesa dalle tifoserie delle due squadre della megalopoli egiziana. “Onore e rispetto per gli shabab el ultras”, hanno scritto i giovani egiziani su twitter. Gli ultras continuano a fronteggiare la polizia, e i terribili gas lacrimogeni sulla cui composizione ancora ci si interroga, mentre si raccolgono i candelotti per condurre indagini alternative. Tifosi sono stati feriti, alcuni sono morti, mentre continuano a lanciare pietre gli uni accanto agli altri gli ultras che si combattono dagli spalti contrapposti, gli ahlawy, i tifosi di Al Ahly, e quelli che tifano lo Zamalek.


C’è, dunque, una storia nascosta (ma solo in Italia…) sulla rivoluzione egiziana, ed è quella delle “curve”, dei tifosi duri e puri delle squadre di calcio egiziane. Facciamo prima un passo indietro. Chi è stato al Cairo – non da turista – sa bene che c’è un appuntamento, sempre lo stesso, che si ripete da anni. Il derby locale, che in una megalopoli da 20 milioni di abitanti è ben diverso dalle nostre stracittadine. Zamalek contro Ahly, e il confronto è serio, perché le due squadre del Cairo sono le migliori in Egitto. Solo tallonate dagli ismaili, il team di Ismailiya. Zamalek, Ahly e Ismailiya hanno le loro tifoserie, e fin qui tutto sembra normale.


L’anno scorso avevano fatto parlare di sé dopo una partita della nazionale egiziana, durante il periodo di fuoco della qualificazione ai campionati mondiali (usata, malamente, dai figli di Hosni Mubarak per guadagnare consensi). I tifosi diedero vita, per la prima volta, a una particolare guerriglia urbana  al centro del Cairo. Compreso il quartiere bene di Zamalek. In quelle immagini, c’era qualcosa di diverso: una violenza che non era solo contro la polizia, ma contro il regime Mubarak. Qualcosa stava bollendo in pentola, e a farlo capire erano gli ultras, a pochi mesi dalla rivoluzione del 25 gennaio. Quando le gang al soldo della polizia hanno attaccato piazza Tahrir, tra fine gennaio e inizio febbraio, a difenderla non c’erano solamente i ragazzi attivisti, poco usi a lanciare pietre e molto di più a lavorare con computer e telefonini. C’era chi si era già scontrato con la polizia. Non solo i fratelli musulmani, con quello che appariva una sorta di servizio d’ordine. C’erano gli ultras. E hanno salvato la piazza.


E’ per questo che i ragazzi di Tahrir sono stati molto contenti quando, in questi quattro giorni, di nuovo a difendere la piazza e i manifestanti sono arrivati loro. Gli ultras. Ahlawy, zamalky e ismaili. Organizzatissimi. In centinaia alla volta hanno lanciato attacchi contro la polizia. Famosi, ormai, i loro canti e le percussioni, che riecheggiavano anche dentro la piazza. Sono stati loro, in questi giorni, a fermare la polizia su via Mohammed Mahmoud, il cuore della battaglia, e a impedire l’ingresso a piazza Tahrir. La questione è che gli ultras fanno parte a pieno titolo di quella città dimenticata, di questo Cairo palcoscenico della rivoluzione, che tra le pieghe nasconde molto. Comprese le classi subalterne che, in una megalopoli, sviluppano modelli di vita propri, paralleli, per riuscire a campare. La famosa società informale che, in questi ultimi giorni, si è sentita scippata della “sua” rivoluzione.


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