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22/03/2011

Francesca Borri intervista a Danilo Zolo

In Libia la comunità internazionale, per una volta, ha agito rapida e unita.

L'espressione "comunità internazionale" è totalmente priva di senso. Le Nazioni Unite non esprimono le aspettative di alcuna "comunità", poiché sono un'istituzione autocratica, che non rappresenta in alcun modo le popolazioni del mondo e che attribuisce il potere politico e militare alle cinque potenze che hanno vinto la Seconda Guerra mondiale. Oggi, di fatto, il potere di decidere all'interno del "Consiglio di Sicurezza" è un privilegio degli Stati Uniti d'America, che utilizzano costantemente il loro "diritto di veto" per fare valere i propri interessi. Quanto alla risoluzione 1973 del 17 marzo che ha deciso l'intervento militare contro la Libia, essa è stata voluta, oltre che dagli Stati Uniti, da due paesi occidentali loro alleati, Francia e Gran Bretagna, mentre Germania, Russia, India, Cina e Brasile si sono astenuti e hanno deprecato, sia pure tardivamente, l'aggressione sanguinaria che Francia, Inghilterra e Stati Uniti hanno scatenato contro la popolazione libica in nome della tutela dei diritti umani. Una autentica impostura, tardiva e criminale nello stesso tempo, della quale si è ovviamente macchiato anche il governo italiano.

Ma il Consiglio di Sicurezza ha comunque titolo per intervenire. Ha la responsabilità principale, dice lo Statuto delle Nazioni Unite, del mantenimento della pace e della sicurezza.

Questo è un punto centrale e delicatissimo. Occorre tenere presente che il comma 7 dell'articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite stabilisce che "nessuna disposizione del presente Statuto autorizza le Nazioni Unite a intervenire in questioni che appartengano alla competenza interna di uno Stato". È dunque indiscutibile che la guerra civile di competenza interna alla Libia non era un evento di cui poteva occuparsi militarmente il Consiglio di Sicurezza. Oltre a questo, l'articolo 39 della Carta delle Nazioni Unite prevede che il Consiglio di Sicurezza può autorizzare l'uso della forza militare soltanto dopo avere accertato l'esistenza di una minaccia internazionale alla pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione (da parte di uno Stato contro un altro Stato). Questa è dunque una seconda ragione che rende illegale la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza, visto che nessuno può pensare che la guerra civile in atto in Libia possa essere una minaccia internazionale contro la pace.

Però i tempi cambiano. Questo è un intervento a sostegno di chi si batte per libertà e democrazia. I diritti umani non possono più essere considerati come una questione interna dei singoli stati.

Certo, i tempi cambiano e dovrebbe cambiare anche lo Statuto delle Nazioni Unite e attribuire all'Assemblea Generale, al Consiglio di Sicurezza e alla Corte internazionale di Giustizia ben altre funzioni, molto più prossime ai valori che si pretende di fare valere, come ad esempio la libertà, la democrazia e l'eguaglianza. Ma è chiaro che le grandi potenze, a cominciare dagli Stati Uniti, non hanno il minimo interesse - è perciò nessuna intenzione - a rinunciare ai privilegi di cui oggi usufruiscono. Da circa un ventennio gli Stati Uniti usano il loro diritto di veto contro qualsiasi proposta che venga avanzata nel Consiglio di Sicurezza e che considerino minimamente svantaggiosa. Ed è chiaro che non accetteranno mai una riforma delle Nazioni Unite che diminuisca anche in quantità minimissima i loro privilegi. Quanto ai diritti umani, non è chiaro in cosa consistano concretamente, visto che la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 è ormai un pezzo di carta straccia, senza la minima efficacia normativa. Ma anche se fosse del tutto chiaro in cosa consistono i "diritti dell'uomo", l'attribuzione a un organismo unitario e centralizzato del compito di difenderli e di promuoverli darebbe vita a una struttura cosmopolita assolutamente ingovernabile se non con la violenza.

Ma Gheddafi è colpevole di crimini contro l'umanità. Finirà davanti al Tribunale Penale Internazionale.

Gheddafi non è colpevole di crimini contro l'umanità, almeno alla luce degli statuti dei Tribunali penali internazionali ad hoc e della stessa Corte Penale Internazionale. Molto probabilmente è responsabile di una gestione autoritaria, antidemocratica e violenta della Libia, ma questo può valere per la grande maggioranza degli stati che sono parte delle Nazioni Unite, a cominciare dagli Stati Uniti: basti pensare ai crimini infami che hanno commesso ad Abu Graib, a Bagram, a Guantánamo e continuano a commettere in Afghanistan. Il procuratore della Corte Penale Internazionale, Moreno Ocampo, è un imbelle agli ordini delle grandi potenze: forse potrà organizzare un processo a carico di Gheddafi se Gheddafi non verrà ucciso prima. Ma si tratterà comunque di una messa in scena risibile. E d'altra parte deve essere chiaro che non esiste concetto più vago e sfuggente della stessa nozione di "crimini contro l'umanità".

I pacifisti come lei, però, criticano: ma non sono mai capaci di proporre alternative.

Che io sia un pacifista incapace di proporre alternative è una sua opinione personale che può avere anche qualche fondamento, ma che comunque lei dovrebbe in qualche modo documentare. Una cosa è certa: è assai più semplice usare la violenza delle armi che impegnarsi nell'arduo tentativo di rispettare il diritto alla vita delle persone e di fare in modo che tutti gli uomini riescano a vivere e a vivere decorosamente. Personalmente ho un grande rispetto per la figura di un pacifista come Gandhi mentre disprezzo con tutto me stesso un presidente degli Stati Uniti come George Bush Junior che ha le mani impregnate del sangue delle migliaia di persone delle quali ha di fatto voluto la morte. L'alternativa alla guerra non è la pace assoluta, ma il tentativo arduo e coraggioso di ridurre il più possibile l'uso delle armi, in particolare di quelle che nelle mani delle grandi potenze fanno strage in poche ore di migliaia di persone innocenti, come, per fare due esempi recenti, le stragi di Fallujah, in Iraq e di Gaza, in Palestina.

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