http://www.globalresearch.ca/ Liberta’ Di Parola: Quo Vadis Traduzione a cura di Reio Questa mattina, in una breve riflessione d’apertura, ho portato il fatto cruciale che i diritti non sono solitamente garantiti, ma piuttosto conquistati da una lotta popolare informata e dedicata. Questo comprende il principio base di libertà di parola. Credo che la consapevolezza di questo fatto dovrebbe essere presa come guida quando consideriamo come poter procedere su vari fronti: nel contrastare la corrente ondata di repressione in tutto il mondo, nel mantenere i guadagni ottenuti ed ora sotto attacco, e nella maniera più visionaria suggerita dagli organizzatori della conferenza, pensare ai panorami che ci attendono dopo quel giorno remoto in cui saranno stabiliti gli standard di difesa della libertà di parola, e una volta stabiliti, osservati. Ho anche detto che Stati Uniti e Turchia, anche se con le rispettive differenze, danno un’immagine chiara e istruttiva del modo in cui vengono protetti i diritti, una volta acquisiti. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, si crede comunemente che da oltre 2 secoli la libertà di parola e stampa sia garantita dal Primo Emendamento della Costituzione, questo è vero solo in misura limitata, primo per via della sua formulazione, ma, cosa più importante, perché la legge, in pratica, è ciò che decide la Corte e ciò che il pubblico è disposto a difendere. Tornerò su questo argomento domani, ma mi piacerebbe solo far notare che non è stato così fino agli anni ’60, quando i tribunali americani, sotto la pressione dei movimenti per i diritti civili e altri attivisti, presero una posizione forte nel proteggere la libertà di parola. E con il declino dell’attivismo i diritti vengono erosi, come abbiamo sentito oggi, questo è un altro argomento su cui vorrei tornare domani. Fatti come questi aprono una questione riguardo la libertà di parola, che sorge quando consideriamo obiettivi a lungo termine. La questione che ho in mente non è affatto nuova. Un’altra persona che se la pose fu George Orwell, meglio conosciuto per la sua critica ai nemici totalitari, ma fu non meno acido nel rivolgersi ai mali della sua società. Un esempio pertinente è un saggio su quella che lui chiamava “censura letteraria in Inghilterra”. Il saggio fu scritto come introduzione per Animal Farm, la sua dura satira sui crimini Stalinisti. In questo saggio introduttivo Orwell indica al suo pubblico britannico di non sentirsi troppo compiacenti per la sua esposizione dei crimini dello stalinismo. Nella libera Inghilterra, scrive, le idee possono essere soppresse senza l’uso della forza. Ci da qualche esempio, e solo poche frasi di spiegazione, ma colgono importanti verità. “Il fatto sinistro della censura letteraria in Inghilterra”, ha scritto Orwell, “è che è largamente volontaria. Idee impopolari possono essere fatte tacere e fatti sconvenienti restano sconosciuti, senza alcun bisogno di un divieto ufficiale“. Una ragione è la centralizzazione della stampa nelle mani di “ricchi uomini che hanno ogni motivo per essere disonesti su certi importanti argomenti“. Un’altra ragione, e credo più importante, è una buona educazione ed un’immersione nella cultura intellettuale dominante, che infonde in noi un “tacito assenso generale che ‘non farebbe’ menzionare quel particolare fatto”. Il saggio introduttivo non è molto conosciuto, a differenza del libro stesso, una dura condanna della tirannia sovietica, famoso e letto ovunque. Il motivo è che il saggio non fu pubblicato, forse confermando le sue tesi riguardo la censura nell’ Inghilterra libera. Fu trovato molti anni dopo in dei suoi scritti non pubblicati. Il punto essenziale è che perfino in un qualche futuro, dove i diritti saranno stabiliti e veramente osservati, sorgeranno questioni nuove e cruciali. È utile una piccola prospettiva storica. Un secolo fa, nella società più libera stava diventando difficile mantenere il controllo della popolazione con la forza. Si stavano formando i sindacati ed insieme i partiti operai; il diritto di voto si estendeva; e i movimenti popolari resistevano all’autorità arbitraria, di certo non per la prima volta, ma con una larga base ed un più grande successo. Nelle società più libere di tutte le altre, Inghilterra e Stati Uniti, i settori dominanti cominciarono a capire che per mantenere il loro controllo dovevano passare dall’uso della forza ad altri mezzi, per primo il controllo delle opinioni e degli orientamenti. Importanti intellettuali furono chiamati a sviluppare una propaganda efficace, che imponesse alle volgari masse “illusioni necessarie” e “forti semplificazioni emotive“. Sarebbe necessario, esortano, mettere a punto “fabbriche del consenso” per assicurare che gli “esterni ignoranti e impiccioni“, la popolazione generale, sia tenuta “al suo posto“, a fare da “spettatore”, non per “partecipare all’azione”, così che il piccolo gruppo privilegiato di “uomini responsabili” sia in grado di fare la politica, indisturbati dalla rabbia e calpestio del gregge disorientato“. Sto citando gli intellettuali progressisti più rispettati negli Stati Uniti del 20° secolo, Walter Lippman e Reinhold Niebuhr, entrambi liberali come Wilson-Roosevelt-Kennedy, l’ultimo è il filosofo preferito di Obama. Nello stesso periodo iniziava a svilupparsi l’enorme industria delle pubbliche relazioni, dedicata alle stesse finalità. Nelle parole dei suoi leader, anche dalla parte liberale, questa industria deve indirizzare la popolazione verso le “cose superficiali della vita, come il consumo di moda” così che la “minoranza intelligente” sarà libera di determinare il corso appropriato della politica. Queste ansie persistono. La rivolta democratica degli anni ’60 spaventava l’elite. Furono chiamati intellettuali da Europa, Stati Uniti e Giappone per porre fine a questo “eccesso di democrazia“. La popolazione doveva tornare all’apatia e alla passività, e misure particolarmente rigide devono essere imposte dalle istituzioni responsabili dell’”indottrinamento dei giovani“: scuole, università, chiese. Sto citando liberali internazionalisti, quelli che negli USA lavoravano nell’amministrazione Carter e le loro controparti in tutte le altre democrazie industriali. La destra chiedeva misure ancora più dure. Ben presto furono intrapresi sforzi di grande portata per ridurre la minaccia della democrazia, con un discreto grado di successo. Adesso stiamo vivendo tutto questo. La riflessione su tali questioni ci deve portare alla consapevolezza che ci sono ancora montagne da scalare oltre il duro compito di stabilire i diritti di libertà di espressione e difenderne l’instaurazione. Tornando alla Turchia, i compiti incombenti sono molto più difficili. Cinque anni fa, mi fu chiesto di proporre un commento per una conferenza sulla libertà di espressione. Vorrei ripetere alcune cose che già ho detto, che mi sembrano importanti da tenere a mente: la Turchia ha la sua parte di violazioni estremamente serie dei diritti umani, tra cui crimini gravissimi. Per me non c’è bisogno di aggiungere altro dopo la discussione di oggi, ma la Turchia ha anche una tradizione di resistenza a questi crimini degna di nota, che include innanzitutto le vittime che rifiutano di sottomettersi e continuano a lottare per i loro diritti, con coraggio e dedizione che possono solo ispirare umiltà fra la gente che gode di privilegi e sicurezza. Ma oltre a questo e la Turchia ha un posto particolare e forse unico nel mondo queste lotte sono portate avanti da famosi scrittori, giornalisti, editori, accademici ed altri ancora, che non protestano solo contro i crimini di stato, ma vanno ben oltre i costanti atti di resistenza, rischiando e a volta incappando in severe punizioni. Non c’è niente del genere in occidente. Quando visito l’Europa e sento accuse bigotte sul fatto che la Turchia non sarebbe pronta per entrare nell’illuminata compagnia dell’Unione Europea, a volte penso e dico, che potrebbe essere il contrario, particolarmente nel caso della difesa della libertà di espressione, un record di cui la Turchia deve essere molto orgogliosa e da cui noi possiamo apprendere una bella lezione.
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