http://www.repubblica.it La paura di Mr. Wikileaks
"La mia vita è in pericolo" LONDRA -Julian Assange vive in un universo di segreti, e dunque non poteva non essere segreto anche l'incontro con l'uomo che è diventato un grande nemico del potentissimo Pentagono. L'uomo che ha fondato un sito web nel dicembre del 2006 è anche l'incubo di grandi banche, multinazionali e governi. Ho letto un titolo che le metteva in bocca questa frase: "Sono un giornalista militante". È vero? "Io sono un editore. E in quanto editore sono anche il direttore e il portavoce della mia, della nostra, pubblicazione. Ho a che fare con il giornalismo da quando avevo 25 anni, quando partecipai alla stesura del libro Underground, e attualmente, considerando lo stato di impotenza del giornalismo, mi sembrerebbe offensivo essere chiamato giornalista". Perché? "Per gli abusi del giornalismo". A che abusi si riferisce? "L'abuso più grande è la guerra raccontata dai giornalisti. Giornalisti che si rendono corresponsabili della guerra non facendo domande, abdicando alla propria integrità e appiattendosi vigliaccamente sulle fonti governative". Qual è in questo momento il suo peggior nemico? "Dal punto di vista delle risorse impegnate per starci addosso, l'esercito degli Stati Uniti". Quali altri nemici ha? "Le banche. La maggior parte degli attacchi legali che abbiamo ricevuto viene dalle banche. Siamo stati attaccati anche dalla Cina, quando avevamo diffuso del materiale che criticava certe attività del Governo di Pechino. Siamo stati attaccati anche da culti, sette che commettono abusi, come la Chiesa di Scientology, i mormoni...". Questi suoi nemici la inducono a temere per la sua vita? "Qualcuno, come Daniel Ellsberg, l'uomo che nel 1971 svelò i documenti del Pentagono sulla guerra del Vietnam, sostiene che la mia vita è in pericolo". E lei che cosa pensa? "Credo che un rischio ci sia, piccolo ma non insignificante. C'è un rischio serio che venga processato e arrestato. Stanno cercando di montare un caso di spionaggio contro di me e altri membri dell'organizzazione". La sua decisione di pubblicare i nomi degli informatori afgani, quando ha reso pubblici i documenti sull'Afghanistan, ha sollevato un polverone... Pensa di aver commesso un errore? "Pubblicando 76.000 documenti riservati sui 90.000 di cui siamo in possesso, ci sono molte cose di cui parlare. Quei documenti hanno rivelato ora, data, luogo e circostanze della morte di circa 20.000 persone. Punto e basta. Nei due mesi trascorsi da quando è stato pubblicato quel materiale, per quanto ne sappiamo nessun civile afgano è stato danneggiato dalla pubblicazione dei documenti". Alan Rusbridger, il direttore del Guardian, dice che i media tradizionali hanno abbandonato il giornalismo di inchiesta perché costa molto ed è poco sexy. È d'accordo? "Sì, lo hanno abbandonato quasi completamente, questo è sicuro. Il prezzo che paghi è caro: ti crea dei nemici, ti obbliga a sostenere dei costi per prevenire attacchi giudiziari. Io credo che ci sia domanda di giornalismo d'inchiesta da parte dei lettori, ma il costo a parola in rapporto ad altre forme di giornalismo è alto, specialmente per il giornalismo sovvenzionato da interessi particolari". Le cose cambieranno? La rivoluzione digitale e iniziative come WikiLeaks produrranno giornalismo indipendente? "Possiamo andare nelle due direzioni. Forse arriveremo a un sistema con un maggior controllo giudiziario e accordi internazionali per reprimere la libertà di stampa, o forse andremo verso un nuovo standard in cui la gente si aspetta e pretende un'informazione più aggressiva rispetto al potere; e un contesto commerciale che renda redditizie inchieste di questo genere; e un contesto legale che le protegga". È ottimista a questo proposito? "Siamo a un bivio fra questi due scenari futuri. Per questo è così importante e così interessante far parte di questo progetto. Con le nostre azioni di oggi stiamo determinando il destino del contesto mediatico internazionale dei prossimi anni. |