http://it.peacereporter.net Il mio viaggio, dalla terra alla luna Paco Ignacio Taibo II è uno scrittore. Nato in una famiglia di scrittori e giornalisti, letterati. Il padre, Paco Ignacio Taibo I fu costretto a lasciare la Spagna per le sue idee, nel periodo buio del franchismo. PeaceReporter pubblica il ricordo di un viaggio Avevo nove anni e viaggiare dalla Spagna fino al Messico, eravamo nel 1958, era come vedere la fine del mondo, dire addio a tutti i tuoi amici, salutare per sempre la tua scuola, la città dove eri cresciuto. Era per sempre. Era come un viaggio dalla terra alla luna. Ventotto giorni. Addio. Non torneremo mai. Era sconcertante questa rottura assoluta con il passato della mia infanzia; per di più, la famiglia immigrò in maniera massiccia. C'erano zii, nonni, genitori. Tutta la famiglia emigrò. In Messico, in nave. Il punto di partenza fu la distruzione del vecchio focolare. Ai miei occhi di bambino succedevano cose strane: mio padre e mia madre per un pomeriggio intero intenti a rompere piatti vecchi giocando a tirarseli l'un l'altro. Ridevano. Io mi spaventai molto: mi sembrava un atto vandalico. E poi le limitazioni: puoi portarti solo alcuni libri e questo per me era doloroso. E puoi portarti solo un certo numero di giochi e io cercavo di ingannare per portarne di più. Il viaggio fu assolutamente iniziatico. Da Gijon fino alla Galizia, Vigo, poi siamo scesi fino a Lisbona, abbiamo percorso la costa fino al sud e siamo andati a Cadice. Di lì fino alle isole Madera, e poi fino a New York, scendendo da l'Havana fino a Vera Cruz. Erano continui impatti con Paesi e altre lingue, c'erano uomini dalla pelle nera e le cose si chiamavano in maniera diversa. Siamo arrivati a L'Havana nel novembre del 1958. Dormivamo nella nave e le notti della città erano immerse nella guerra civil. Si sentivano le esplosioni della dinamite e le sparatorie. Una sera mio padre, che era giornalista, venne chiamato dal capitano. Gli disse: "Taibo, vieni qui". E anche io andai con loro. Nella cabina del capitano c'era una radio e in diretta ascoltammo un combattimento dei ribelli che stavano trasmettendo su onda corta. Ricordo che il capitano diceva: "Che curioso, sta parlando con un accento che non è cubano. Era la battaglia di Santa Clara e la voce era quella del Che. Quando più avanti negli anni ho messo le date a quel momento tutto coincideva con il secondo o terzo giorno della battaglia. A Cuba scoprii tutto un universo di frutta esotica e poi l'Oceano atlantico. Mi ricordo che tutti soffrivano di nausea sul transatlantico che trasportava prodotti spagnoli per il natale. C'era sidro, champagne, torroni, prosciutti, vino di Madera. Ma tutti erano colpiti dalla nausea. E così quando arrivavo alla sala da pranzo del naviglio c'erano razioni per quattrocento persone e il cameriere mi diceva: "Può mangiare tutto quello che vuole". C'era il cinema, e il film che proiettavano - avevo nove anni - era Bengali. L'ho visto quattro volte. E poi l'arrivo a Vera Cruz: arrivava la gente in piccole barche per salutare il transatlantico. Un centinaio di barchette che venivano a salutarci perché i legami con gli spagnoli emigrati era molto forte. Ricordo che si sentiva una grande commozione. Così iniziò: un Paese nuovo. Una vita nuova.
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