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07 luglio 2010

Eritrei detenuti nei lager libici l'Europa chiede conto all'Italia
di U. De Giovannangeli

Non è più il silenzio dell’imbarazzo. È molto di più. E di più grave: è il silenzio dei complici. Il silenzio del governo italiano nei confronti dei disperati appelli che giungono dal carcere di Brak, nel sud della Libia, dove sono segregati oltre 200 eritrei. Picchiati, torturati, senza cibo, acqua, assistenza medica. «Abbiamo bisogno di ottenere lo status di rifugiati, perché stiamo morendo nel deserto». È la richiesta di aiuto lanciata da uno dei segregati raggiunto da CNRmedia. «Siamo a Brak, vicino al confine con il Niger. Siamo in una prigione sotterranea. Ci torturano a tutte le ore. Ci insultano, ci picchiano, ci torturano. La tortura è frequente, tutto è frequente..». «Alcuni di noi - prosegue il racconto - erano stati arrestati perché già abitavano in Libia, altri sono stati presi nelle città, altri ancora sono stati respinti dall’Italia lo scorso anno. Anche se avrebbero avuto il diritto di essere accolti come rifugiati sono stati respinti... ». 

Respinti dall’Italia. Abbandonati al loro destino. Un destino di sofferenza, forse di morte. «Tra di noi - racconta uno dei segregati - ci sono anche 18 donne e bambini. Ad alcune persone sono state spezzate le braccia, gambe, hanno le teste rotte. Le torture sono state molto pesanti...». Testimonianze drammatiche. Come quella raccolta da don Mussie Zerai, sacerdote eritreo, responsabile dell’ong Habesha, un’associazione che si occupa di accoglienza dei migranti africani: «I feriti (diciotto) che hanno chiesto di essere curati - denuncia Zerai - per tutta risposta sono stati picchiati selvaggiamente... E mentre venivano malmenati, le guardie gridavano loro: è quello che meritate per esservi ribellati alle nostre leggi... ». Aiuto richiesto, aiuto negato. «Siamo qui senza speranza - dice a CNRmedia uno dei disperati di Brak - senza alcun tipo di aiuto... Nessuno può venirci a vedere, nessuno viene a proteggerci... Abbiamo il diritto di essere riconosciuti come rifugiati, abbiamo bisogno di aiuto da parte della comunità internazionale proprio qui e ora. Perché stiamo morendo nel deserto.... Incalza Amnesty International: a seguito dell’Accordo di amicizia, partenariato e cooperazione concluso nell’agosto 2008 tra Italia e Libia, a partire dal maggio 2009, le autorità italiane hanno trasferito in Libia migranti e richiedenti asilo intercettati in mare. Secondo i dati del governo italiano - rileva Amnesty - tra maggio e settembre 2009, 834 persone intercettate o soccorse in mare sono state portate in Libia. 

Lo stesso governo italiano ha comunicato al Comitato europeo contro la tortura che tra le persone «riconsegnate» alla Libia vi erano decine di donne, almeno una delle quali in stato di gravidanza e diversi minori. L’Italia sotto osservazione. Con due lettere inviate lo scorso 2 luglio al ministro degli Esteri, Franco Frattini, e al ministro degli Interni, Roberto Maroni - il cui testo è stato reso noto solo ieri - il Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg, ha chiesto al governo italiano di «collaborare al fine di chiarire con urgenza la situazione con il governo libico». Secondo i numerosi rapporti ricevuti dal Commissario Hammarberg prima del trasferimento dei 250 eritrei da un campo di detenzione all’altro, «il gruppo sarebbe stato sottoposto a maltrattamenti da parte della polizia libica, e molte delle persone detenute sarebbero rimaste gravemente ferite». Sempre in base ai rapporti ricevuti - scrive Hammarberg nella lettera - tra i migranti, che rischierebbero ora l’espulsione verso l’Eritrea o il Sudan, vi sarebbero anche dei richiedenti asilo, e il gruppo includerebbe anche persone che sono state ricondotte in Libia dopo essere state intercettate in mare mentre cercavano di raggiungere l’Italia. 

«Data la recente decisione delle autorità libiche di porre fine alle attività dell’Unhcr nel Paese, è divenuto estremamente difficile avere conferme sull’accuratezza di questi rapporti», scrive il commissario che, vista la «serietà delle accuse», domanda all’Italia di collaborare al fine di «chiarire con urgenza la situazione con il governo libico». La risposta arriva... via Il Foglio . «In queste ore - scrivono Frattini e Maroni in una lettera al quotidiano di Giuliano Ferrara - è in corso una delicata mediazione sotto la nostra egida, mediazione che stiamo finalizzando, per poter arrivare all’identificazione dei cittadini eritrei, i quali, è bene saperlo, timorosi di farsi identificare rendono impossibile la definizione del loro status, e poter loro offrire un’occupazione, nella stessa Libia, contro il rischio e la paura del rimpatrio». Da Mosca, Frattini fa sapere che Tripoli « ha già dato segnali di importante disponibilità» per fare chiarezza sulla sorte di 250 eritrei detenuti in Libia». 

«Il contributo dell’Italia non è mai mancato e non mancherà - afferma il titolare della Farnesina - ma lo faremo nei modi che portano al risultato e non in quelli che servono a far pubblicità a qualcuno, senza ottenere il risultato». «Il risultato - insiste - si ottiene guardando cosa sta accadendo, chiedendo la collaborazione delle autorità libiche, perché la Libia è uno Stato sovrano e noi rifiutiamo l’approccio colonialista che alcuni sembrerebbero indicare». Controreplica: «L’Italia - ricorda Hammarberg - ha il dovere di vigilare sul rispetto dei diritti umani e di evitare di rinviare migranti, inclusi richiedenti asilo, in Paese dove rischiano di essere torturati o maltrattati».

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