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http://www.ynetnews.com 08.20.10, 00:02 Rimandare la Pace a più tardi Israele si sente paralizzato. Molta gente capisce che lo status quo porta velocemente alla morte del Sionismo. Affondiamo lentamente verso il pantano dei due stati, e se sbagliamo la spartizione, la terra di Israele affonderà con essa. Tuttavia sembra che non ci sia modo di dividere la terra. La fede di Israele nella spartizione all’interno di un negoziato di pace è stata abbondantemente erosa, e non è una sorpresa. I palestinesi non vogliono rinunciare a ciò a cui si riferiscono come “il diritto al ritorno” (in pratica, la legge internazionale non riconosce questo diritto) e questo significa che non ci sarà l’accordo. Si sta erodendo anche la fede di Israele nella spartizione unilaterale, sull’onda dell’esperienza del ritiro da Gaza. Comunque per ora l’erosione è ancora ingiustificata: uno spostamento unilaterale non deve sembrare per forza come il ritiro da Gaza. Ma certamente, anche un’uscita da Giudea e Samaria in stile Gaza, è meglio della continuazione dello status quo, molta gente crede che sarebbe possibile evacuare 70.000 persone per niente di meno di una pace omnicomprensiva ed ampiamente esauriente. Così come potremmo spartire la terra senza un accordo di Pace? Se fosse fatto, per certo non sarebbe un sogno. E ancora, anche se non abbiamo un partner per la pace, potremmo averlo per uno spostamento unilaterale. I palestinesi stanno lavorando alle loro manovre unilaterali, la garanzia di Salam Fayyad di dichiarare unilateralmente l’indipendenza della Palestina, potrebbe essere una mossa complementare al ritiro unilaterale di Israele, comunque neppure questa possibilità è un obbligo. Verosimilmente la questione si riduce a separare il problema della spartizione da quello dell’evacuazione: non c’è alcun bisogno di trasformare l’evacuazione in una condizione per la spartizione. Iscrivere il mondo alla causa Primo, Israele potrebbe finalmente approvare una legge per l’evacuazione compensazione della West Bank. Possiamo presumere che questa legge minimizzerebbe drasticamente la portata del problema degli insediamenti. Secondo, Israele potrebbe dichiarare che i “Sionisti della terra”, al contrario dei “Sionisti di stato”, hanno il permesso di rimanere nei luoghi di residenza rinunciando alla loro cittadinanza israeliana. Possono continuare a vivere là, con le regole palestinesi. Dopotutto, una larga minoranza araba vive in Israele, perciò non sarebbe impensabile che una piccola minoranza ebrea rimanesse a vivere in Palestina. Se necessario, andremmo a soccorrerli e a riportarli a casa. Per questo abbiamo la Legge del Ritorno. Potrebbero ritornare e riprendere la loro cittadinanza israeliana in qualsiasi momento. Terzo, al contrario del modello Gaza, il ritiro potrebbe essere coordinato dall’Autorità Palestinese in maniera ordinata e graduale. Un ordinato passaggio dei poteri è chiaramente un vantaggio per Fatah. Anche loro hanno visto il risultato del ritiro unilaterale da Gaza, e l’assassinio della loro gente da parte di Hamas; giustamente, hanno paura di Hamas più di quanto ne abbiano di noi. Quarto, al contrario dello stile Sharon, questa volta potremmo mettere lo spostamento sotto gli auspici della comunità internazionale. Stati Uniti, Unione Europea, Nazioni Unite, Russi e, possibilmente, la Lega Araba potrebbero sicuramente arruolarsi alla causa della fine dell’occupazione, ed anche offrire garanzie economiche e militari, nella forma di forze internazionali. Linee rosse invalicabili Uno spiacevole fatto nella vita di questo conflitto è che i cardini su cui ruota la sua piena risoluzione si risolvono nella questione della giustizia che appare assoluta ad entrambe le parti, le quali hanno profonde convinzioni e aspirazioni in questo senso. Di qui, le posizioni adottate dai negoziatori di entrambe le parti, sono caratterizzate da “No” assoluti e da linee rosse invalicabili. Tuttavia, questi problemi di giustizia eterna dovrebbero essere separati dai problemi pratici, dovremmo essere capaci di iniziare a spartirci la terra e di posporre la fine del conflitto ad un'altra volta. Saremo in grado di affrontare queste questioni di giustizia in futuro, e anche di modificare i confini se fosse necessario; per ora dovremmo concentrarci su di un cessate il fuco che sia una premessa di interessi comuni piuttosto che di amore reciproco. La cosa più importante è che la soluzione di due stati indipendenti prevalga, e il Sionismo non continui a correre verso l’abisso. TOPhttp://www.ynetnews.com Postpone peace for later Israel feels paralyzed. Many people around here understand that the status quo is an express route to Zionism’s demise. We slowly sink into the bi-national swamp, and if we fail to partition the land Israel shall end up sinking in it. However, it appears that there is no way to partition the land. Israelis’ faith in partition in the framework of a peace deal had been greatly eroded, and that’s no wonder. The Palestinians are unwilling to forego their demand for what they refer to as “the right of return” (in practice, international law recognizes no such right) this means there will be no deal. However, Israelis’ faith in unilateral partition is also eroding, in the wake of the Gaza withdrawal experience. Yet this erosion is unjustified: A unilateral move does not have to look like the Gaza withdrawal. Indeed, even a Gaza-style pullout from Judea and Samaria is better than the continuation of the status quo, yet many people believe it would be impossible to evacuate about 70,000 people for anything that is short of comprehensive peace. So how can we nonetheless partition the land without peace? If you will it, it is certainly no dream. Moreover, even if we do not have a partner for peace, we may have a partner for a unilateral move. The Palestinians are working on their own unilateral maneuver Salam Fayyad’s pledge to declare independence unilaterally may serve as a complementary move to an Israeli withdrawal, yet even that is not a must. Seemingly, the key here is to detach the question of partition from the issue of evacuation: There is no need to turn the evacuation into a condition for partition. Enlist world to the cause Firstly, Israel can finally pass an evacuation-compensation law for the West Bank. We can assume that such law would drastically minimize the scope of the settlement problem. Secondly, Israel can declare that “Zionists of land” - as opposed to “Zionists of state” - are permitted to stay at their place of residence and forego their Israeli citizenship. They can continue to live there under Palestinian rule. After all, a large Arab minority lives in Israel, so it’s not unthinkable to have a small Jewish minority living in Palestine. If necessary, we’ll come to rescue them and bring them back home. For that, we have the Law of Return. They would be able to return and get their Israeli citizenship back whenever they want. Thirdly, also as opposed to the Gaza model, the withdrawal itself can be coordinated with the Palestinian Authority in an orderly and gradual manner. An orderly handover of power is a clear interest for Fatah. They too saw the results of the unilateral Gaza withdrawal and the murder of their people by Hamas; they fear Hamas more than they fear us, and rightfully so. Fourthly, as opposed to Sharon’s solo style, this time around we can undertake the move under international auspices. The United States, European Union, United Nations, and the Russians and possibly even the Arab League can certainly enlist for the cause of ending the occupation, and even grant economic guarantees and possibly military ones too, in the form of an international force. Red lines that meet nowhere An unpleasant fact of life in this conflict is that its full resolution hinges on resolving questions of justice that appear absolute to both sides, on top of deeply held convictions and aspirations on both sides. Hence, the negotiating positions adopted by both parties are characterized by absolute “No’s” and by red lines that meet nowhere. However, should these questions of eternal justice be separated from the practical problems, we would be able to start with partitioning the land and postpone the end of the conflict to another time. We’ll be able to deal with questions of justice in the future, and also modify the borders if necessary; for the time being, we shall make do with a ceasefire that would be premised on common interests rather than mutual love. Most importantly, two nation-states shall prevail, and Zionism will not keep rushing towards the abyss.
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