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Haaretz.com 06.08.2010 http://rete-eco.it Venerdì 13 Agosto 2010 21:11
La Resistenza dei Beduini: Ricostruire tradotto da Mariano Mingarelli Crepuscolo/Gli invasori La scorsa settimana un intero villaggio beduino “non-riconosciuto”è stato demolito, lontano dalla vista del pubblico. Ma gli abitanti non si arrenderanno: Hanno già cominciato a ricostruirlo. Tra le rovine, in mezzo a utensili domestici di una casa distrutta, a biciclette da bambini schiacciate e a medicinali dispersi, tra le pareti che sono crollate su quanto contenuto nelle case, tra alberi sradicati e giocattoli rotti, ho trovato una scatola di cartone marrone sulla quale c’era scritto in ebraico:”libri sacri.” Ho aperto la scatola: un volume dell’Enciclopedia Ebraica, e sotto di esso “Tutto ciò che rimane”, la monumentale opera dello storico Walid Khalidi sui villaggi palestinesi perduti nel 1948 e un libro sugli Accordi di Oslo. Coloro che hanno distrutto il villaggio sembra che abbiano avuto pietà di questi libri, impacchettandoli e risparmiandoli dai bulldozer. All’alba del martedì della settimana scorsa, questi bulldozer, accompagnati da circa 1.500 poliziotti, hanno fatto irruzione e demolito un villaggio in Israele. Non-riconosciuto, ma pur sempre un villaggio. Una non-storia in Israele, ma che il quotidiano britannico The Guardian ha definito come “pulizia etnica nel Negev”. Il video riportato sul sito web del giornale mostra immagini che qui non si sono viste: I bulldozer che si facevano strada dentro a dozzine di case e a costruzioni di altro tipo, la crudezza delle centinaia di poliziotti armati e le espressioni addolorate sui volti degli abitanti che guardavano in silenzio e con sorprendente sottomissione mentre il loro stato demoliva le loro case. Le pecore che cercano di sfuggire al sole cocente tra le tombe del villaggio. Anche i loro recinti sono stati demoliti. Pure i bulldozer hanno avuto pietà del cimitero, dove la prima tomba è stata scavata decine di anni fa e l’ultima questa settimana. Israele ha avuto sempre pietà degli edifici sacri. Moschee e cimiteri sono stati gli unici resti che sono sopravissuti nel 1948. “Invasori” è il termine che lo stato usa per definire gli abitanti del villaggio. E che cosa ci sta a fare qui un cimitero? Anche quello è “illegale”? “Non-riconosciuto”? Un “invasore”? E pure le tombe? Naturalmente, si può restare impressionati dalla gran quantità delle sentenze giuridiche riguardanti il destino del villaggio, Araqib, a nord di Be’er Sheva. Presso il tribunale di Kiryat Gat gli atti legali sono andati avanti fino a tarda notte, mentre le forze stavano già preparandosi a fare l’irruzione. Israele li chiama invasori e ladri di terre; gli abitanti sostengono di possedere documenti e atti di proprietà e che l’esistenza del cimitero e delle tombe sono una prova dei loro diritti di proprietà su questa terra. Un abitante mostra un atto di proprietà che risale al tempo dei turchi. Un altro fa vedere la sentenza del tribunale che rimanda ogni decisione sul destino della sua casa fino all’inizio del prossimo anno, ma i rappresentanti dello stato fanno pressione sul tribunale perché la faccia finita l’operazione di demolizione sta aspettando. La terra era terra loro. Negli anni 1950 ne erano stati sfrattati e loro vi erano ritornati negli anni 1990. Invasori, occupanti abusivi. Ma la battaglia legale era persa prima ancora che avesse inizio. Israele cerca di “purificare” il Negev dai beduini, concentrandoli in misere città e in questo ha la legge dalla sua parte. Le fattorie individuali sono solo per ebrei. L’evacuazione delle colonie illegali riguarda solo gli arabi. Demolizioni di case senza che ci sia un risarcimento e senza che ci sia un’assistenza terapeutica per i bambini scioccati e senza casa sono solo per i beduini. Lo Stato d’Israele contro Arakib: Per conto dello stato di Israele, attorno al villaggio è già stata piantata da parte del Ministero degli Affari Esteri e del Fondo Nazionale Ebraico, la “Foresta degli Ambasciatori.” E’ in dubbio che le dozzine di ambasciatori che hanno dato una mano in questo abuso l’espulsione dei beduini dalle loro terre, l’occultamento delle rovine con la vegetazione, il mascheramento dell’onta con gli alberi, proprio la stessa cosa che successe nel 1948 abbiano saputo che Israele li stava trasformando in ambasciatori di mala fede. Ecco, dunque, come informazione per il corpo diplomatico: Ricordate l’imponente cerimonia tenutasi nel 2005 in vostra presenza? Sappiate che questa vostra foresta era destinata ad essere soltanto il punto di partenza per l’appropriazione della terra da parte dello stato, a discapito dei beduini del posto. I progetti di distruzione nei territori, come quello attualmente in corso nella Valle del Giordano, di solito lasciano alle spalle le rovine di povere catapecchie e di miserabili recinti per pecore. Qui è diverso. Ad Arakib fumano Malboro e Kent, bevono acqua minerale in bicchieri usa e getta e parlano l’ebraico in modo eccellente. Tra le macerie si possono vedere librerie ed eleganti divani in pelle. Due veicoli Mercedes di proprietà di una persona ricca del paese, Muhammad Jum’a Abu Madian, sono parcheggiati a lato delle macerie. I suoi figli al momento sono sparsi tra i suoi amici: Shaul Shai di Ashdod, Danny Hananel di Mabu’im e Yaakov Ron del kibbutz Shoval. Jum’a è un uomo d’affari che impiega centinaia di lavoratori ai mattatoi di polli dei quali è uno dei soci, a Kedma Street nell’area industriale settentrionale di Ashdod, nelle sue ditte di generi alimentari sparse in tutto il Negev e negli altri suoi affari. Un israeliano di tutto rispetto. Inoltre è nato qui e vuole continuare a vivere qui. Ora sta facendo la doccia all’ombra di un suo camion. Il suo vestito e il suo profumo sono nel bagagliaio della Mercedes 550, una personale importazione. “Avevo una casa di 300 metri quadrati. Ora ne ho una di un metro quadrato,” dice. Degli operai stanno già ricostruendo la sua casa. Sabato scorso, giunsero qua centinaia di attivisti israeliani per la pace per fare una dimostrazione e per dare un aiuto nella ricostruzione. Colombe e oche vagano a giro in quello che era il loro villaggio di prima, che ora ha l’aspetto di una zona disastrata. “Persino le oche non se ne vogliono andare,” afferma Sheikh Sayyah Abu Drim. Con grandi mustacchi e indosso una galabiya e una kefiyah bianca, lo sheikh racconta la storia del villaggio con una passione quasi biblica. Come era nato lì, come i suoi antenati avevano pagato le tasse ai turchi per questo terreno, come nella sua fanciullezza l’area era rigogliosa di alberi di ulivo, di fichi d’India, di uva e di fichi, come erano stati cacciati via da lì negli anni 1950, come lo stato aveva cominciato a piantare foreste nell’area tutt’attorno alla fine degli anni 1990 e come, all’inizio del 2000 Israele aveva cosparso il loro campi di sostanze misteriose spruzzate dall’aria. “Non abbiamo alcuna fiducia nel tribunale e non abbiamo alcuna fiducia nelle unità di criminali note come polizia e non abbiamo alcuna fiducia nei nostri avvocati,” dichiara lo sheikh. “la polizia ha applaudito quando hanno terminato la demolizione e hanno detto: Lunga vita allo stato d’Israele. Ma che razza di stato è mai questo? E’ uno stato puzzolente.” E subito si corregge: “Non è lo stato. Lo sono invece l’Amministrazione della Terra d’Israele (ILA) e la polizia.” Jum’a ci racconta che una volta nell’ILA qualcuno gli disse: “Va da Nasrallah.” “All’ILA di Be’er Sheva un certo numero di persone sono in conflitto con noi, ma noi non odieremo tutte le persone di Be’er Sheva. Siamo compagni nel bene e nel male. Se qualcuno di noi dovesse parlare in nome di Nasrallah, dovrebbe essere cacciato in galera. Ma è la persona che è incaricata di risolvere i problemi che ci sta spingendo verso Nasrallah. Guardate quella tenda laggiù. Chi l’ha costruita? Il Movimento Islamico. Il movimento che si contrappone allo stato sta costruendo per noi, e lo stato sta demolendo per noi. Ma noi dimostreremo a quelli che odiano lo stato e a quelli che ci stanno espellendo che noi continueremo a lavorare insieme.” Il danno per la demolizione di 35 edifici e di centinaia di alberi di ulivo ammonta a 5 milioni di NIS. Lo sheikh: “Non so quando il popolo ebraico si renderà conto delle azioni di questo governo. Perché la gente tace? I governi precedenti non presero la decisione di distruggere un villaggio. Demolirono una casa qui e una casa là, ma un intero villaggio a cielo aperto? Venire nel mezzo della notte con una dichiarazione di guerra, con dichiarazioni di distruzione? E dopo tutto questo, devo raccontare ai miei figli che gli ebrei sono persone per bene, che sono nostri cugini? Non faremo del male allo stato o a noi stessi. Non verseremo sangue, ma costruiremo 100 volte di più. Siamo preparati ad altre 100 demolizioni sino a che non riconosceranno i nostri diritti. Noi non siamo degli invasori e neppure degli occupanti abusivi. E’ lo stato che ci ha invaso.” |
http://www.haaretz.com Twilight Zone / The invaders Amid the ruins, amid the smashed household utensils, crushed children's bicycles and scattered medications, amid the walls that have collapsed on the contents of homes, the uprooted trees and broken toys, I found a brown cardboard carton on which was written in Hebrew: "holy books." I opened the carton: a volume of the Hebrew Encyclopedia, and beneath it "All That Remains," the monumental work by historian Walid Khalidi on the Palestinian villages lost in 1948, and a book about the Oslo Accords. Those who destroyed the village apparently had mercy on these books, packing them up and sparing them from the bulldozers. At dawn on Tuesday of last week, these bulldozers, accompanied by about 1,500 policeman, raided and demolished a village in Israel. Unrecognized, but still a village. A non-story in Israel, but the British newspaper The Guardian called it "ethnic cleansing in the Negev." The video film on The Guardian website shows the images not seen here: The bulldozers plowing into dozens of houses and other buildings, the crudeness of the hundreds of armed police and the sad expressions on the faces of the inhabitants, who watch in silence and amazing submissiveness while their state demolishes their homes. The sheep seek to escape the burning sun among the village graves. Their pen has also been demolished. The bulldozers also had mercy on the graveyard, where the first grave was dug decades ago and the last this week. Israel has always had mercy on holy structures. Mosques and graveyards were the only remnants that survived back in 1948. "Invaders" is what the state is calling the inhabitants of the village. And what is a graveyard doing here? Is it, too, "illegal?" "Unrecognized?" An "invader?" And also the wells? One can, of course, be impressed by the wealth of legal decisions regarding the fate of the village, Arakib, north of Be'er Sheva. The proceedings went on until late at night at the court in Kiryat Gat, as the forces were already preparing to raid. Israel calls them invaders and land robbers; the inhabitants argue that there are documents and deeds, and that the existence of the graveyard and the wells are proof of their ownership of this land. One resident displays a deed from the time of the Turks. Another shows a court decision to postpone deliberations on the fate of his home until the start of next year, but state representatives urge the court to get it over with already - the demolition operation is waiting. This land was their land. They were evicted from it in the 1950s and they returned to it in the 1990s. Invaders. Squatters. But the legal battle was lost before it began.Israel seeks to 'purify' the Negev of Bedouin and concentrate them in wretched towns - and it has the law on its side. Individual ranches are only for Jews. Evacuation of illegal settlements is only for Arabs. Demolition of homes without compensation and without therapeutic care for homeless, shocked children - only for Bedouin. The State of Israel versus Arakib: The "Ambassadors' Forest" on behalf of the state of Israel, the Ministry of Foreign Affairs and the Jewish National Fund has already been planted around the village. It is doubtful that the dozens of ambassadors who gave a hand to this misappropriation - the expulsion of Bedouin from their lands, the covering of the ruins with vegetation, the covering of the shame with trees, exactly as happened after 1948 - knew that Israel was turning them into bad-will ambassadors. Here, then, for the information of the diplomatic corps: Do you remember the impressive ceremony held in 2005 in your presence? Be informed that this forest of yours was intended solely as a basis for the state's hold on the land, at the expense of Bedouin locales.
Projects of destruction in the territories, like the one underway now in the Jordan Valley, usually leave behind them ruins of meager shacks and wretched sheep pens. Here it's different. In Arakib they smoke Marlboros and Kents, drink mineral water in disposable cups and speak excellent Hebrew. Bookcases and elegant leather sofas can be seen among the ruins. Two Mercedes vehicles belonging to the rich man of the village, Muhammad Jum'a Abu Madian, are parked beside the ruins. His children are now scattered among his friends: Shaul Shai from Ashdod, Danny Hananel from Mabu'im and Yaakov Ron from Kibbutz Shoval. Jum'a is a businessman who employs hundreds of workers - at the chicken slaughterhouse in which he is a partner, on Kedma Street in the northern industrial zone in Ashdod, in his large foodstuffs agencies throughout the Negev and in his other businesses. An Israeli in every respect, he too was born here, and he too wants to continue living here. Now he is showering in the shade of one of his trucks. His suit and his scent are in the trunk of the Mercedes 550, a personal import. "I had a 300-square-meter house. Now I have a one-square-meter house," he says. Workers are already rebuilding his home. Last Saturday, hundreds of Israeli peace activists came here to demonstrate and help with the building. Doves and geese wander around their former village, which now looks like a disaster zone. "Even the doves don't want to leave," says Sheikh Sayyah Abu Drim. With a big mustache and wearing a white galabiya and kaffiyeh, the sheikh recounts the history of the village with nearly biblical pathos. How he was born here, how his ancestors paid taxes on this land to the Turks, how the area flourished in his childhood with olive trees, prickly pears, grapes and figs, how they were expelled from here in the 1950s, how the state began to plant forests in the area all around at the end of the 1990s and how at the start of the 2000s Israel sprayed their fields from the air with a mysterious substance. "We don't have any faith in the court and we don't have any faith in the units of criminals called the police and we don't even have any faith in our lawyers," says the sheikh. "The police applauded when they finished demolishing and said: Long live the State of Israel. But what kind of state is this? It is a stinking state." And immediately he corrects himself: "It isn't the state. It is just the Israel Lands Administration and the police." Jum'a tells us someone in the ILA once said to him: "Go to Nasrallah." "A number of people at the ILA in Be'er Sheva are in conflict with us, but we aren't going to hate all of Be'er Sheva. We are partners for better or worse. If one of us were to speak in Nasrallah's name, he would go to jail. But the man whose job it is to solve problems is pushing us toward Nasrallah. Look at that tent over there. Who built it? The Islamic Movement. The movement that is opposed to the state is building for us, and the state is demolishing for us. But we will prove to the haters of the state, to the ones who are expelling us, that we will continue to work together." Thirty-five buildings, hundreds of olive trees, an estimated NIS 5 million in damages. The sheikh: "I don't know when the Jewish people will look at the deeds of this government. Why are people silent? Previous governments did not take decisions to destroy a village. They demolished a house here and a house there, but an entire village under the open sky? To come in the middle of the night with a declaration of war, declarations of destruction? And after this I have to tell my children that the Jews are all right, that they are our cousins? We will not do any ill to the state or to ourselves. We will not spill blood, but will build 100 more times. We are prepared for another 100 demolitions, until they recognize our right. We are not invaders, not squatters. The State has invaded us."
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