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il manifesto, 13 aprile 2010

 

Atomiche – Summit Di Washington
L’impossibile sicurezza
di Tommaso Di Francesco e Manlio Dinucci

Quello iniziato ieri a Washington, e che si conclude oggi, è  il più grande summit convocato negli ultimi 65 anni da un presidente degli Stati uniti: vi partecipano, a Washington, i capi di stato e di governo di 47 paesi.

Tema centrale la «sicurezza nucleare». Il presidente Obama ha infatti lanciato l’allarme: «Il più immediato ed estremo pericolo è oggi il terrorismo nucleare». A tale minaccia, si sottolinea a Washington, si aggiunge quella della proliferazione nucleare: si accusa quindi l’Iran, e in subordine la Corea del nord, di perseguire ambizioni nucleari, violando il Trattato di non-proliferazione (Tnp). La proposta basilare, fatta da Obama al summit, è di rafforzare il controllo di tutti i quantitativi di uranio altamente arricchito e di plutonio.

Paradossalmente però sono proprio gli Stati uniti e le altre potenze nucleari, protagoniste del summit di Washington, a favorire la proliferazione delle armi nucleari.  In una situazione in cui un piccolo gruppo di Stati pretende di mantenere il possesso delle armi nucleari, e continua ad ammodernarle, è sempre più probabile che altri cerchino di procurarsele. Oltre ai nove paesi in possesso di armi nucleari, ve ne sono almeno altri 40 in grado di costruirle.

Non esiste infatti una netta separazione tra uso civile e uso militare dell’energia nucleare e, dai reattori, si ricavano uranio altamente arricchito e plutonio adatti alla fabbricazione di armi nucleari. Si calcola che ve ne sia nel mondo una quantità tale da fabbricare oltre 100mila armi nucleari, e si continua a produrne quantità crescenti: vi sono oltre 130 reattori nucleari «civili» che producono uranio altamente arricchito, adatto alla fabbricazione di armi nucleari. 

Che cosa facciano gli Stati uniti, promotori del summit, per garantire la «sicurezza nucleare», è dimostrato dai fatti. Il 29 marzo essi hanno concluso con New Delhi un accordo in base al quale forniranno  all’India combustibile nucleare «spento» da riprocessare, ricavandone uranio e plutonio. Viene così reso operativo l’accordo stipulato nel 2008 dall’amministrazione Bush, che prevede la fornitura all’India di materiale fissile e tecnologia nucleare.

In cambio, l’India si impegna ad aderire «in parte» al Tnp, sottoponendo a ispezioni 14 impianti nucleari civili ma conservandone 8 militari non soggetti a ispezioni. I programmi di New Delhi prevedono uno sviluppo esponenziale dell’industria nucleare, che apre un mercato valutato in oltre 150 miliardi di dollari, a cui gli Usa vogliono accedere con la vendita di reattori e tecnologie di fatto a duplice uso civile e militare. C’è però la concorrenza della Russia, che ha stipulato un grosso accordo per la fornitura di tecnologie nucleari all’India.

Allo stesso tavolo del summit, insieme al primo ministro indiano (che Obama ha incontrato alla vigilia, ufficializzando l’accordo), siede quello del Pakistan, alleato degli Usa che non ha mai aderito al Tnp. Come l’India, possiede un arsenale stimato in 70-90 armi nucleari. Ora, conferma The New York Times (12 aprile), di fronte all’accordo Washington-New Delhi, il Pakistan sta costruendo tre nuovi impianti per realizzare «una seconda generazione adi armi nucleari».

Allo stesso tavolo siede l’altro alleato degli Usa, Israele (rappresentato dal ministro dell’intelligence e dell’energia atomica, Dan Meridor), che non aderisce al Tnp né ammette ufficialmente di possedere armi nucleari, pur avendone centinaia. Al di fuori di ogni controllo, ha accumulato una quantità di plutonio per armi nucleari stimata in circa mezzo quintale, e continua a produrne decine di kg l’anno. Non è stato invece invitato l’Iran, che aderisce al Tnp e non possiede armi nucleari. E, accanto a Israele, siedono la Francia che fornì a Israele il primo reattore nucleare per la fabbricazione di armi nucleari, e la Germania che, insieme agli Stati uniti, ha contribuito al potenziamento delle forze nucleari israeliane fornendogli tre sottomarini Dolphin capaci di lanciare missili nucleari.

Ma, per non fare torti agli alleati arabi, gli Stati uniti hanno firmato una serie di accordi per la fornitura di tecnologie nucleari e materiale fissile a Emirati arabi uniti, Arabia Saudita, Bahrain, Egitto, Marocco, Algeria.

Si è aperta quindi una grande campagna promozionale – cui partecipano anche Francia, Giappone, Russia e Cina – per vendere centrali nucleari chiavi in mano in Medio Oriente e Nord Africa. Si diffondono in tal modo le tecnologie «civili» che mettono in grado altri paesi di costruire armi nucleari. Tutto questo all’insegna della «sicurezza nucleare».




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