http://it.peacereporter.net La difficile vita dei serbi del Kosovo Essere serbi in Kosovo non è facile, nonostante le promesse di Pristina e della comunità internazionale Per la Kps, la polizia kosovara, si è trattato di uno scherzo: "Alcuni ragazzini giocavano con delle pietre e, accidentalmente, una finestra è andata in frantumi". La finestra in questione è quella di casa Radosavljevic, una bella villetta sulla strada principale di Klina, nel Kosovo occidentale. Ma la storia dei due proprietari Vladimir e Bosilijka, è quella di due serbi costretti a lasciare la propria casa nel 1999, subito dopo la guerra e di un esilio durato sei anni. Fino a quando, il 28 aprile del 2005, non hanno fatto ritorno a Klina trovando però la loro casa occupata. Nell'agosto del 2007 abbiamo incontrato Bosiljka: all'epoca era ospite a casa di parenti. Due stanze per dormire, mangiare e pensare al loro destino. Piange, Bosiljka. Le lacrime inciampano nel groviglio di rughe disegnate sul suo volto. Vorrebbe tornare anche solo per una notte nella sua casa: da nove anni la sogna tutte le notti; eppure ogni giorno, passandoci davanti, è costretta a rivolgere lo sguardo altrove. Non riesce a guardarla. Bosiljka Radosavljevic è una Idp, una profuga in patria. È riuscita a ritornare nella sua città, Klina, ma non a casa sua. Mihajlo Mazic la ospita in due stanze, lei e il marito Vladimir. La loro casa è tra le più belle di Klina: si trova sulla strada principale proprio di fronte al municipio, proprio dove si riunisce il Municipal working group, proprio la commissione che sovrintende ai rientri dei Serbi. Subito dopo i settantasette giorni di guerra, il 17 giugno '99, Bosiljka e Vladimir, come tutti gli altri, sono stati costretti a lasciare la loro abitazione con tutto quello che c'era dentro. Sono andati a Presevo. Ci sono rimasti fino al 2005, fino al 28 aprile. Le speranze di tornare dove hanno vissuto per cinquant'anni sono andate infrante quando, arrivati a Klina, hanno visto un ristorante là dove c'era una curatissima e vezzosa zona giorno e ai piani superiori insegne dell'Uçk e dell'Aak, partito il cui leader è Ramush Haradinaj, ex comandante dell'Uçk, chiamato a rispondere al Tribunale dell'Aja per crimini di guerra (ndr, assolto in primo grado il 3 aprile del 2008). La loro casa era occupata da qualcun altro e capirono subito che non sarebbe stato facile mandarlo via. Il signor Morina del villaggio di Gllobar (Drenica) ha messo piede in quella casa subito dopo la fine della guerra. Quando i Radosavljevic hanno presentato ricorso al tribunale, Morina ha prodotto in giudizio una procura a vendere sottoscritta da Vladimir in Montenegro, asserendo di aver versato 200 mila euro come corrispettivo. Ma il giro di procure falsificate dalla criminalità organizzata in Montenegro è ben noto alle autorità internazionali. I giudici, due internazionali e un locale, hanno dato ragione a Bosiljka e Vladimir, ma manca una firma su un documento della Kosovo Property Agency che dia esecutorietà al provvedimento. Bosiljka è convinta che Morina abbia degli uomini infiltrati nei posti chiave e in una regione dove la corruzione è la prassi non gli riesce difficile bloccare l'iter burocratico. Non esita a definire mafiosi i metodi del suo inquilino abusivo: a suon di marchi prima e di euro dopo ha preso per la gola molti serbi convincendoli a cedere la proprietà a prezzi molto al di sotto del valore di mercato. Anche loro hanno ricevuto un'offerta di 80 mila euro per mettere tutto a tacere: hanno rifiutato. Purtroppo l'offerta era di quelle che non potevano essere rifiutate. È così che il 28 di dicembre 2006 poco prima di mezzanotte, mentre dormivano, Bosiljka e Vladimir si sono ritrovati una raffica di 65 colpi di Kalashnikov Ak - 47 nelle pareti della camera da letto e due granate, private dell'innesco, sul pavimento della cucina. Un avvertimento che non è di difficile interpretazione. Ma Bosiljka non arretra di un passo, neanche quando per strada dei ragazzi (lei giura, prezzolati) la chiamano puttana e le sputano addosso. Vuole tornare anche solo una notte nella sua casa. Sono nove anni che la sogna tutte le notti. Bosiljka vuole morire tra quelle mura. L'epilogo. Alla fine del 2008, finalmente, i Radosavljievic l'hanno spuntata e hanno ripreso possesso della loro villetta. Il sospetto che il vecchio occupante non abbia accettato di buon grado la decisione dei giudici può essere legittimo. Bosiljika ha raccontato alla polizia di aver subito due attacchi con le pietre e non uno solo. I sassi erano così grossi e lanciati con tale violenza da sfondare prima la persiana e poi il vetro. Difficile pensare a "un gioco tra ragazzini". Altri incidenti. A Kosovska Mitrovica, la città divisa a metà dal fiume Ibar - a nord i serbi e i non albanesi, a sud gli albanesi - una casa di serbi è stata colpita con tre bombe incendiarie. La polizia kosovara dopo aver rilevato i danni materiali e constatato l'assenza di feriti, ha dichiarato di non aver informazioni sui responsabili, né tanto meno sui motivi che sarebbero alla base degli attacchi. Gli episodi di ieri contro i serbi, hanno coinciso con la festa nazionale della Repubblica Serba che si celebra appunto il 15 febbraio. Due giorni prima di un altra celebrazione, tutto albanese stavolta, che marcherà il secondo anniversario dell'indipendenza di Pristina da Belgrado. Uno status conquistato in maniera unilaterale, ignorando gli standards imposti dall'Unmik (la missione Onu in Kosovo) tra cui, il più importante, era quello di garantire protezione, sicurezza ed eguaglianza di diritti alle minoranze del Kosovo.
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