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24/02/2010

Ritorno a Teheran - 1
di Nardana Talachian

Teheran. Una volta era la mia città, anzi, la mia casa, la mia identità, il primo amore, il primo giro notturno in macchina da sola, insomma un po' tutte le prime volte. E l'Iran?! Forse il mio cuore. Dico 'era' e uso tempi al passato perché quella dolce sensazione di orgoglio non esiste più, e il cuore non mi batte più così' forte quando dal finestrino dell'aereo vedo le luci della mia immensa città.

Il momento più difficile è quando mi alzo per prendere lo zaino e scendere dall'aereo perché il primo ad attendermi appena fuori dalla porta è un uomo barbuto, membro di Pasdaran, con la camicia sui pantaloni per guardarmi con i suoi sguardi cupi. Ed è proprio là che senti scendere addosso un velo di tristezza che ti accompagnerà per un bel po', se non per sempre. Poi, però, e' facile sentire il cuore che batte. Per tutto il volo ripassi tutte le e-mail che hai scritto agli amici in Iran, tutti i video che hai visto e che magari hai inoltrato agli altri e tutte le conversazioni telefoniche con l'Iran per sapere se potresti rischiare qualche brutta sorpresa al tuo arrivo, e quando ti controllano il passaporto per farti passare nel ‘tuo' Iran, ti senti uno straniero che ha il cuore in gola e fai tanta fatica a rimanere relativamente calmo. Nessuno ti dà mai il benvenuto, anche se a dire il vero e' già qualcosa non vedere il passaporto confiscato.

Questa volta sentivo il cuore in gola quando all'uscita mi hanno fermata perché volevano aprire le mie valigie. Certo, non avevo niente da temere, tranne che per i libri in una lingua sconosciuta per i controllori. Hanno preso di nuovo il passaporto: "Che fai in Italia? Cosa studi? E Berlusconi cosa dice?", mi chiedeva uno, mentre l'altro guardava un po' i libri. Non ha trovato ovviamente niente e mi hanno fatto finalmente uscire augurandosi che potessi far funzionare gli affari con l'Italia. 
Quando, però, poi sono salita sulla macchina di papà ho sentito qualcosa cambiare. Certo, la paura se ne era andata e potevo guardare un attimo le cose con calma. Le notizie che ti arrivano dall'estero ti fanno male. Qui, invece, fanno parte della quotidianità della gente e pare che tutta quella assurdità e quella mania di potere siano diventate un po' come un'abitudine per tutti. In fin dei conti tra la lotta per la libertà e la lotta per riuscire a sbarcare il lunario, la maggioranza sceglierebbe la seconda alternativa.

Mentre andavo verso la casa, notavo quanto sono cambiate - di sicuro non migliorate - in soli quattro mesi. "L'Iran e' un bellissimo Paese, ma ho notato una profonda tristezza tra il popolo", mi diceva un'amica che era venuta in Iran due anni fa. Quasi quasi l'inviterei a giudicare oggi la situazione! La tristezza c'è, addirittura peggiorata - basta guarda il nero che incombe sulla città - ma io ci metterei anche una forma di pazzia nata dallo scorso giugno. La gente si è scatenata, abbandonata a se stessa per fare quello che le pare, perché al governo interessa solo mantenere il potere. Il caos, il disordine, la miseria, la povertà e di conseguenza la pazzia sono tutti degli impegni molto graditi al governo perché tengono occupato il popolo, non lasciandogli il tempo per pensare ad altro. E solo Dio sa quanto mi dispiace per questa gente dal viso triste.

Qua il pianto è da premiare e il sorriso da condannare e mi rendo conto subito che gli altri mi guardano come 'quella ragazza che ride troppo'.
Da qualche giorno sono qui, nella mia città, e non mi sento a casa. Tutto e' cambiato. Non sono l'unica a dirlo, ne sono consapevoli tutti. Molti se ne vanno pure contenti e fieri e gli altri - come me - sentono una ferita profonda nell'anima e non sanno se riusciranno mai a trovare una cura per ritrovare la pace. 
"E perché sei ancora tornata?", mi ha chiesto mio cugino. Il motivo lo devo cercare nei legami di sangue. Sono qua perché anche la mia vita è cambiata, direi, drasticamente. Sono qua anche perché, nonostante non mi senta più appartenere a questa terra, ho lasciato una parte di me che ci rimarrà comunque per sempre. Ed é proprio quella parte che vorrà credere che prima e poi ci sarà anche uno spiraglio verso la luce che arriverà e porterà via le tenebre. E poi che dire, la primavera è alle porte...forse ci porterà anche nuove speranze che non moriranno come l'altra volta. Qui, nella città che non mi appartiene più, quello che manca e' proprio la speranza.

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01/03/2010

Ritorno a Teheran - 2
di Nardana Talachian

"L'arresto di Abdol Malek Righi è il regalo di soldati ignoti dell'Imam Zaman (il dodicesimo Imam degli sciiti, ancora in vita, occulto e atteso dai fedeli) al popolo iraniano".

Così, con un sms firmato dall'ufficio stampa dell'intelligence iraniana, ho appreso la notizia. Non è la prima volta che danno notizie così importanti al popolo usando gli sms. Ne riceviamo un paio al giorno: dai successi nel campo nucleare ai punti salienti dei discorsi del sommo leader e poi, dopo averci regalato 'il sorriso', a fine mese ci fanno pagare le spese dei loro messaggi.
I giornali, la radio e la tv hanno urlato a squarciagola l'operazione eroica di questi soldati ignoti. Non so, e penso che non conoscerò mai, la versione originale dei fatti. Si è parlato tanto dei legami di Righi con la Gran Bretagna, cosa che fa proprio ridere. Sono ormai piu' di cento anni che si attribuisce tutto il male che succede in Iran all'Inghilterra e per le persone di una certa età, l'espressione ‘lo zampino degli inglesi' è diventata come un intercalare. Non so però se si tratta di una convinzione oppure di propaganda - per non dire una specie di paranoia - che fa comodo al governo, soprattutto negli ultimi trenta anni. Khamenei parla sempre di un fantomatico ‘nemico', che non si sa bene chi fosse, però è spesso incline a puntare il dito contro il governo di Londra che contro la Casa Bianca.

Per lui è il vecchio leone britannico il responsabile di quello che è successo in Iran dopo le elezioni del giugno 2009. Quanto ne siamo convinti noi? Beh, se lo chiedete a me, direi che mai e poi mai ho ricevuto un invito dal premier britannico per denunciare la violazione dei miei diritti fondamentali come cittadino iraniano. Il problema è che qui chi non giace tranquillamente nell'incubatrice del governo e comincia a usare un attimo il cervello è ritenuto uno spia che lavora per l'MI5. L'anno scorso, quando iniziarono le trasmissioni televisive del servizio persiano della Bbc, l'intelligence iraniana in un comunicato annunciò che ogni collaborazione con questa rete sotto forma di intervista o altro sarebbe stata ritenuta spionaggio. Oggi più del 90 percento degli intervistati dall'emittente sta scontando la pena nella famigerata prigione Evin della capitale. Di sicuro, chiunque abbia un minimo di conoscenza della storia non arriverebbe mai a negare l'influenza delle decisioni coloniali di Londra in Iran. Il fatto è un altro: una ferma convinzione offrirebbe un'immagine incapace e deficiente del popolo iraniano, che non agirebbe mai se non sotto l'egida della corona britannica; e poi come possiamo essere sicuri che Londra non appoggia l'attuale classe dirigente?

Per farci capire che Righi è un capo ribelle o un assassino non c'era tanto bisogno di parlare dei suoi legami con l'Occidente. La vita è sacra e chi la toglie è ritenuto comunque un criminale. So già che prima o poi verrà impiccato in pubblico e il suo clan troverà un altro capo ancor più ottuso di lui per sostituirlo. Dicono che abbia ucciso centinaia di persone e, per come stanno le cose in Iran, questo basta per la sua impiccaggione anche senza che venga processato. Io mi chiedo, però, quanti giovani sono stati uccisi negli ultimi nove mesi e chi dovrà rispondere per la loro vita. Delle persone rimaste uccise negli attentati di Righi sappiamo tanto, abbiamo visto i loro famigliari in tv. Ma di chi ha perso la vita per le strade sappiamo pocchissimo. Nei primi mesi c'era una lista che veniva aggiornata con i loro nomi, la loro età e in alcuni casi la loro professione. Ci è voluto poco per dimenticare la lista.

I soldati ignoti dell'Imam Zaman possono essere dei veri eroi, ma sono odiati, perchè sono sempre loro che hanno aperto il fuoco contro la gente che non voleva altro che sapere dove era finito il suo voto. E sono sempre loro che vengono elogiati per essere riusciti 'nel migliore dei modi' a fermare i disordini post-elettorali e quindi hanno le mani sporche del sangue di chi in qualche modo credeva nella futura apparizione dell'Imam Zaman. Da bambina mia nonna mi aveva insegnato a recitare una frase di benedizione al Profeta ogni volta che vedevo un mullah con il turbante nero. I mullah con il turbante nero sono seyyed, discendenti della Profeta, e per mia nonna ognuno di loro poteva essere il dodicesimo Imam. Oggi non ci credo più, come non credo più in gran parte degli insegnamenti religiosi. Anzi. A volte mi pare proprio strano il fatto che continuo a credere in Dio, nei Suoi profeti e nei Suoi libri sacri. Per me, se esistesse davvero un Imam atteso, sentirebbe una tale profonda vergogna delle azioni dei suoi soldati che non vorrebbe esitare neanche un attimo a apparire per salvare almeno la proprio reputazione.

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