http://it.peacereporter.net Gli ultimi dodici chilometri L'Egitto sigilla i tunnel, unico collegamento di Gaza con l'esterno Dodici chilometri, nell'infinita attraversata del deserto che il popolo palestinese ha iniziato nel 1948, sembrano davvero pochi. Non è così. Questi dodici chilometri rappresentano tante cose. Un fardello simbolico pesante, ma non quanto la ricaduta pratica sulle condizioni di vita della popolazione civile palestinese.
L'ultima breccia. Dodici chilometri è la lunghezza del muro sotterraneo che il governo egiziano ha deciso di costruire al confine con la Striscia di Gaza. Una barriera di acciaio pensata per chiudere per sempre quei tunnel che, dal 2007, sono l'unica finestra sul mondo per i palestinesi chiusi nella Striscia dall'assedio palestinese. I simboli, si diceva. In primo luogo questa barriera è il suggello di una sorta di 'tradimento' arabo che tanti palestinesi hanno imparato a riconoscere sulla loro pelle. Sono decenni che, a seconda delle convenienze, questo o quel governo 'fratello' chiama in causa i palestinesi quando gli fa comodo, salvo dileguarsi nel momento del vero bisogno. Quello dell'Egitto è un esempio che, con la barriera, diventa solo lampante. Da mesi al Cairo si rincorrono voci infondate su trattative segrete per dare una parte del deserto del Sinai ai palestinesi. Una bufala, conciata ad arte dai media egiziani, che preparavano il terreno dell'opinione pubblica alla notizia della barriera. Da tempo, ormai, gli egiziani collaborano intensamente con Israele. I tunnel, bombardati dall'aviazione israeliana e segnalati dai militari egiziani, erano l'unica via di passaggio per medicinali, materiali da costruzione, cibo e tanti altri generi di prima necessità. Anche armi, dice il governo israeliano. Il passaggio di fucili e altro è provato, ma le condizioni della popolazione civile, di milioni di persone, non hanno alcun legame con la sicurezza. Se è facile immaginare il motivo del blocco, perché Israele non consente, per esempio, il passaggio di un'incubatrice? Chiusi dentro. I pacifisti internazionali che, dieci giorni fa, tentavano di entrare nella Striscia di Gaza per portare mezzi di conforto e solidarietà, sono stati pestati dalle truppe anti-sommossa egiziane. Il tutto perché tentavano, in modo pacifico, di passare dall'Egitto, unica finestra aperta per Gaza sul mondo. Giornalisti, cooperanti, personale medico, pacifisti. Non conta, dall'Egitto non si passa. Neanche da Israele, figurarsi. Sembra che si voglia cancellare la stessa esistenza della Striscia. Far finta che non sia mai esistita. Il premier israeliano Benyamin Netanhyau, il 10 gennaio scorso, ha annunciato la costruzione di una barriera tecnologicamente avanzata per chiudere il confine tra Israele e l'Egitto. Il primo ministro di Tel Aviv ha solo reso pubblico quello che si sapeva da tempo. la motivazione ufficiale, ribadita il 21 gennaio 2010 davanti agli industriali israeliani, è che l'immigrazione illegale "è una minaccia per Israele". Il muro, però, non serve solo per quello. L'operazione Piombo Fuso, con l'attacco dell'esercito israeliano il 27 dicembre 2008 terminata il 18 gennaio 2009, è stata l'atto finale di un assedio barbaro. Le 1430 vittime palestinesi, in gran parte donne e bambini, sono le ultime di un corollario che inizia con la presa del potere da parte di Hamas nella Striscia, a danno del Fatah. Solo che il Fatah teneva un potere che non le spettava, avendo perso nel elezioni nel 2006. Da allora Gaza è una prigione, di cui quei dodici chilometri rappresentano l'ultimo tratto di muro. Un muro non solo fisico, ma anche morale, eretto dall'indifferenza della comunità internazionale. Che forse dovremmo smettere di chiamare così, perché una comunità è fatta di relazioni umane. La gente di Gaza non viene trattata umanamente. Dodici chilometri sono pochi, ma significano tante cose. Tra le altre, la chiusura definitiva di un sogno. Quando nel 2005 gli ultimi coloni israeliani lasciavano Gaza molti palestinesi hanno osato pensare di essere liberi. Quei dodici chilometri staranno là a ricordare loro quanto si fossero sbagliati. |