Sulla Illegalita’ del Blocco di Gaza
Ricercatrice all’Universita’ Statale di Milano, specializzata in diritto penale internazionale. Al momento e’ a Gaza dove collabora con il Palestinian Centre for Human Rights. La recente netta presa di posizione della Croce Rossa Internazionale sull'illegittimità della politica israeliana verso Gaza è un punto di svolta in diritto internazionale. Gaza, 27 giugno 2010, Nena News - Blocco, blockade, oppure chiusura, closure, o semplicemente siege, assedio: queste sono le parole che si sentono ripetere per descrivere la situazione di Gaza. In verità nessuna è pienamente soddisfacente, specie da un punto di vista giuridico. Io stessa, in quanto ricercatrice di diritto penale in trasferta a Gaza, continuo ad essere in dubbio sulla terminologia da utilizzare quando ne parlo. Blockade ha una accezione precisa in diritto internazionale: è uno strumento a cui gli stati possono ricorrere per privare il nemico dei rifornimenti militari in tempo di guerra. Di per sé non è illegittimo, ma deve essere strettamente limitato ai rifornimenti militari e finalizzato alla resa dell’avversario. Non è il caso di Gaza. Ai palestinesi piace siege. Non mi stupisce: il linguaggio arabo è colorito, forte e descrittivo. A nulla è valso che io, arrivata dall’Italia con le mie piccole certezze giuridiche, abbia cercato di spiegare a quelli del centro palestinese per i diritti umani dove collaboro (peraltro fior di giuristi) che siege non è linguaggio tecnico. Ma oramai mi sono arresa. Con santa pace del linguaggio tecnico-giuridico, ho capito che la loro percezione della situazione è proprio di una Gaza sotto assedio, dove gli Israeliani puntano alla capitolazione dell’intero territorio nemico, a (ri)conquistare il controllo. Io continuo a utilizzare closure più generico, ma proprio per questo adatto in riferimento a Gaza. Occorre però specificare: si tratta di “illegal” closure. Il fatto è che, al di là delle parole che utilizziamo, è difficile descrivere la sostanza di quel che si vive a Gaza. Gaza è stata progressivamente isolata ed infine dopo la presa di Hamas nel giugno del 2007 chiusa, quasi ermeticamente. Da Gaza non si entra e non si esce. Immaginatevi una grande prigione a cielo aperto, dove la gente, completamente isolata anche dal resto del territorio palestinese è stata ridotta ai minimi termini esistenziali. I gazani non riescono più a lavorare perchè non hanno le materie prime, perchè manca la benzina, l’elettricità e l’acqua. Non si può commerciare, i giovani non possono uscire neanche per studiare, i malati non possono ricevere cure adeguate. I malati gravi sono costretti a passare per una complicatissima trafila burocratica per ottenere un permesso per curarsi all’estero, permesso che a volte arriva, a volte non arriva, a volte arriva troppo tardi. Gaza è un’umiliazione quotidiana. Per qualche giorno, dopo i tragici eventi del 31 maggio scorso e la morte dei 9 attivisti della flottilla umanitaria al largo di Gaza, l’attenzione su ciò che l’ONU ha definito l’insostenibile situazione umanitaria della popolazione di Gaza è stata altissima. In questo clima di sdegno e di improvviso attivismo internazionale, tra commissioni di indagine internazionali invocate e la commissione di indagine-farsa istituita da Israele, la cosa forse più significativa che è accaduta è stata la pubblicazione di un breve report della Croce Rossa Internazionale (ICRC). http://www.icrc.org/web/eng/siteeng0.nsf/htmlall/palestine-update-140610. In un rarissimo e tempestivo comunicato del 14 giugno, l’ICRC ha senza mezze misure dichiarato il blocco di Gaza illegale, contrario al diritto internazionale e una forma di “collective punishment” dei civili (pratica vietata dall’art. 33 della IV Convenzione di Ginevra). Ora, occorre sapere che quando la Croce Rossa parla è evento raro, eccezionale e per questo carico di significato. Si contano sulle dita di due mani o poco più, i report resi pubblici dalla ICRC in quaranta e passa anni di occupazione dei territori palestinesi. Una parola della Croce Rossa in materia di diritto umanitario vale oro; in un certo senso sono loro i guardiani delle Convenzioni di Ginevra, la loro interpretazione è massimamente autorevole. Per questo normalmente la Croce Rossa tace, per preservare la sua neutralità, proteggere i suoi contatti con entrambe le parti del conflitto, mantenere il dialogo aperto nello sforzo di ottenere ciò che poche altre organizzazioni riescono ad avere: contatti privilegiati e documenti confidenziali. La netta presa di posizione della ICRC sull’illegittimità del blocco di Gaza è un punto di svolta in diritto internazionale. Quello che a livello locale già veniva denunciato da anni è stato finalmente autorevolmente confermato. Non solo che questo blocco di Gaza è illegale e rappresenta una forma di punizione collettiva della popolazione civile, ma anche che gli Stati e la comunità internazionale devono collaborare e prendere concrete misure per porvi definitivamente fine. Non c’è alleggerimento del blocco che tenga. Il report dell’ICRC è chiaro sul punto: il blocco va eliminato in toto. Non si può avere una violazione “parziale” del diritto, non ci sono mezze misure ammissibili. Per questo l’annuncio di Israele di domenica scorsa, che ha dichiarato che alleggerirà il blocco su Gaza ampliando la lista dei beni permessi è una mossa giuridicamente irrilevante, nonché pericolosa dal punto di vista dei palestinesi. L’idea suggerita da Tony Blair e accolta da Israele, di passare da una esigua lista di merci permesse ad una di merci vietate è una mossa poco più che cosmetica che non porterà alcun significativo cambiamento per l’economia e la popolazione di Gaza. Anzitutto la famosa lista delle merci permesse/vietate non è mai stata chiara (persino la sua esistenza è stata negata da Israele in più occasioni). Tanto meno è chiara la logica sottostante ai divieti. In verità è chiaro a chiunque esamini tali documenti che non c’è alcuna logica di sicurezza dietro alla lista dei beni vietati. Il cioccolato è vietato. Ok forse fa venire i brufoli, ma il suo uso per scopi terroristici sfugge. Il ketchup era vietato fino a settimana scorsa, come il coriandolo e la salvia. Ora, come prima conseguenza di questo alleggerimento del blocco, il ketchup può entrare a Gaza via Israele. Le capre però devono attendere, come i giocattoli, la frutta secca, i quaderni. Non c’era logica di sicurezza prima, non ci sarà dopo. E fatto salvo l’argomento sicurezza ogni proibizione diventa possibile. Inoltre quel che serve a Gaza non è il ketchup e neanche il cioccolato. Qui serve il cemento, la benzina, i materiali da costruzione, le materie prime per la produzione. E su questo la proposta Blair-Israele non chiarisce affatto se e cosa cambierà rispetto a prima. La stessa mancanza di chiarezza vale per le esportazioni da Gaza, totalmente vietate ormai da più di tre anni con la (poetica) eccezione di limitate quantità di fiori e fragole. Soprattutto la recente proposta non chiarisce il punto fondamentale, ossia cosa ne sarà del diritto alla libertà di movimento, e quindi di tutta la serie di diritti umani fondamentali che ne conseguono, di più di un milione e mezzo di persone imprigionate a Gaza. Si fa un gran parlare di tragedia umanitaria, di aiuti umanitari per Gaza. Ma la tragedia di Gaza non è misurabile semplicemente sul piano umanitario. É una tragedia sul piano umano. Non è una catastrofe naturale, non c’è stato alcun terremoto o uragano a Gaza. Qui non c’è la carestia, né sono arrivate le bibliche cavallette. La gente di Gaza non è stata colpita da un’epidemia di peste bubbonica, né è per altre ragioni inabile al lavoro. La popolazione di Gaza non è in cerca della carità di nessuno; ha il diritto di vivere una vita dignitosa, di lavorare e guadagnarsi da vivere. I giovani vogliono studiare e magari completare la loro formazione all’estero, per poi andare a lavorare. La crisi di Gaza è una crisi indotta, fabbricata ad arte, orchestrata. La chiusura, il blocco, l’assedio, ha prodotto la crisi. E il blocco è illegale, contrario al diritto internazionale ed in violazione di una serie di diritti umani fondamentali. L’appello della Croce Rossa Internazionale è chiaro: non c’è altra soluzione sostenibile che la completa, immediata fine del blocco. Nena News
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