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05 giugno 2010

Israele cattura un'altra nave di pacifisti, la Rachel Corrie
di Umberto De Giovannangeli

La “preda” stavolta è stata catturata senza spargimento di sangue. Ma i vincitori non hanno nulla da sbandierare, trofei da esibire. E la nave che alle 18:10 (le 17:10 in Italia) fa il suo ingresso nel porto di Ashdod (sud d'Israele), non è una nave di “sconfitti”. Perché nessuno si è arreso alla legge del più forte. Quella “legge” che da oltre tre anni ha trasformato la Striscia di Gaza in una prigione a cielo aperto. Gli aiuti non sono arrivati alla gente di Gaza, ma i pacifisti della “Freedom Flotilla” hanno ottenuto qualcosa di ancor più importante: hanno squarciato il velo di omertà, hanno rotto il silenzio complice della Comunità internazionale su Gaza. Hanno costretto le più importanti cancellerie mondiali a prendere posizione, a esprimersi su di un assedio contrario ad ogni principio del diritto umanitario e della stessa Convenzione di Ginevra. Tre navi da guerra per “conquistare” una nave della pace carica di carta, equipaggiamenti medici, giocattoli... E cemento, per ricostruire ciò che la potente armata d'Israele ha distrutto (4mila edifici) durante l'operazione “Piombo Fuso” (dicembre 2008-gennaio 2009): sta ad ogni coscienza libera individuare i “vinti” e i “vincitori”. Finisce con l'abbordaggio degli uomini rana israeliani, ma stavolta senza scontri o violenza, la traversata della “Rachel Corrie”: la piccola nave irlandese salpata per cercare di rompere il blocco imposto dallo Stato ebraico a Gaza.

All'alba tre navi da guerra della Marina israeliana intercettano l'imbarcazione irlandese (battente bandiera cambogiana). Le diciannove persone bordo, tra le quali la Premio Nobel per la Pace Mairead Maguire, si limitano a opporre resistenza passiva ai ripetuti inviti dei militari di cambiare rotta verso il porto di Ashdod e di non violare il blocco. Un atteggiamento che ha indotto le forze israeliane dapprima a reiterare l'avvertimento e poi a passare all'azione. L'abbordaggio, in ogni caso, si è svolto solo dal mare (nessun elicottero) e senza violenza. Un video diffuso da Tsahal, mostra i pacifisti che seguono alla lettera gli ordini del comandante, si siedono a terra, attendono l'arrivo dei soldati e scambiano anche qualche parola con loro. Quella messa in atto è una resistenza non violenta. La nave “è passata sotto il controllo”delle forze israeliane “senza scontri, né incidenti”, annuncia in tarda mattinata il capitano Aryi Shalicar, dell'ufficio del portavoce militare israeliano. “Sulla “Rachel Corrie” non c'erano militanti islamici - aggiunge- e i membri dell'equipaggio, come le altre persone a bordo, sono state persino cortesi, al di là di qualche civile protesta verbale, nel collaborare per evitare qualsiasi problema”. Concetto ribadito poco più tardi da Benjamin Netanyahu. “Oggi (ieri, ndr) – afferma il premier israeliano - abbiamo visto la differenza che passa tra una nave di veri attivisti della pace (la Rachel Corrie), con i quali non siamo d'accordo, ma dei quali onoriamo il diritto di esprimere opinioni diverse, e una nave di odio (la Mavi Marmara), organizzata da estremisti violenti e fiancheggiatori del terrorismo”. Secondo Netanyahu, “lo Stato di Israele ha usato in entrambi i casi le stesse procedure per garantire il rispetto del blocco marittimo, evitare il rischio del contrabbando di armi verso Hamas e consentire l'ingresso a Gaza delle merci civili dopo i controlli di sicurezza”. Pertanto, a suo giudizio, l'esito diverso dei due abbordaggi sarebbe dipeso esclusivamente dall'atteggiamento degli attivisti. Ma le pressioni internazionali non smuovono Israele. Sul futuro cala il monito di Netanyahu: “Non permetteremo che a Gaza sia creato un porto iraniano”.

La gente della Striscia non si sente sconfitta. La “Rachel Corrie” non ha attraccato nel vecchio porto di Gaza City, dove ad attenderla sin dalle prime ore della mattina c'erano centinaia di palestinesi “armati” di bandierine irlandesi, vessilli turchi e drappi verdi (Hamas). Ma qualcosa è passato tra le maglie di ferro israeliane: la speranza che “altre flottiglie” si parino all'orizzonte. Stavolta, vincendo.

Non sono degli sconfitti i 19 – tra pacifisti e reporter occidentali e malaisiani - che sbarcano dalla “Rachel Corrie”. A scortare la nave sono due piccole motovedette israeliane, una a poppa e l'altra a prua. Siamo su una collinetta erbosa che sovrasta l'area portuale, interdetta alla stampa. Alcune centinaia di israeliani si sono radunati qui per assistere all''evento. C'è chi intona cori da stadio pro Israele, chi inneggia agli “eroici soldati che hanno dato una lezione ai turchi”, chi, dopo aver saputo da dove venivamo, se la prende con “voi europei sempre pronti a condannare Israele”. E' un mix tra manifestazione politica, happening e festa religiosa: canti, battimano, preghiere. Qui nessuno ha dubbi: “Ma quali pacifisti, quelli sono solo dei provocatori”, sentenzia Elie Evyatar, venti anni, avvolto in una enorme bandiera con la Stella di David. “A cannonate li dovevano prendere”, gli fa eco Yaakov Siegel, un anziano sostenitore di “Shas”, il partito ultraortodosso sefardita. Una salva di fischi accompagna l'ingresso in porto della “Rachel Corrie”. Con un binocolo riusciamo a intravvedere sul ponte della nave la “Nobel coraggio”, l'indomabile Mairead Maguire. Al suo fianco, l'ex vice segretario generale dell'Onu, Denis Halliday. Mairead sorride, con le dita fa il segno di vittoria. Per un attimo riusciamo a stabilire un contatto telefonico: “Stiamo bene, la nostra non è una resa, vogliono rispedirci indietro in fretta, siamo scomodi per loro...”, riesce a dire la Nobel irlandese prima che la linea venga di nuovo isolata. 

]“Free Gaza”], c'è scritto sulla “Rachel Corrie”. Una sfida di libertà che continua. E allarga i suoi consensi. L'amministrazione Obama, con Mike Hammer, portavoce del National Security Council, ha spiegato che la situazione attuale, per quanto riguarda il blocco su Gaza, è “insostenibile e deve essere cambiata". Gli Usa – aggiunge Hammer - lavorano attivamente con Israele, l'Autorità Palestinese e altri partner internazionali per mettere a punto nuove procedure per la consegna di materiale e assistenza alla popolazione di Gaza, evitando nel contempo l'importazione di armi”. Ma di armi tra le mille tonnellate di materiale che la “Rachel Corrie” trasportava, i soldati impegnati nel'ispezione a Ashdod, non hanno trovato traccia. C'era materiale medico e da ricostruzione. Il carico – avevano assicurato le autorità militari israeliane - sarà trasferito nella Striscia di Gaza, “dopo accurati controlli”. In serata, quei controlli erano terminati. Vedremo oggi se l'impegno sarà mantenuto.



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