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L’Onu freni il capitalismo globale, o sarà l’apocalisse per l’intervista pubblicata da “il Manifesto” il 31 ottobre 2010. Economista e giurista, già docente universitario e dirigente finanziario internazionale, Guido Rossi è stato presidente della Consob. Basta capitalismo. Ma con che cosa lo si sostituisce? Nessuno ha un’idea in testa. Questa è la verità. Non esiste una globalizzazione giuridica, tra l’altro. Questa è a grande differenza con la globalizzazione di tipo medioevale, regolata dalla famosa Lex mercatoria, una legge elaborata dai mercanti, non da un singolo Stato: e per suo mezzo il commercio funzionava. Adesso le grandi imprese lavorano tra di loro. Non c’è più una norma giuridica che ne disciplini i comportamenti: nei confronti della fame nel mondo, dello sfruttamento delle classi più povere, del lavoro minorile, della sicurezza sul lavoro che secondo Tremonti è un lusso. E ovviamente nemmeno nei confronti del pianeta. Le sinistre hanno continuato a ragionare fino a quando esisteva il comunismo, che costituiva un’ideologia contrapposta a quella del capitalismo, e in qualche modo proponeva delle soluzioni alternative. Dopo la caduta del muro di Berlino cambia tutto. Questa è la verità. La politica sparisce, l’economia ha il sopravvento e s’impone come politica. Le sinistre accantonano il marxismo. Il marxismo è nato quando il capitalismo da mercantile è diventato industriale, e Carlo Marx ha elaborato un’ideologia completamente nuova. In questi anni, analogamente, si è verificata una nuova rivoluzione, la rivoluzione finanziaria. Contro la quale occorrerebbe una nuova ideologia. Il brasiliano Unger, filosofo del diritto di Harvard, in un libro molto bello, “Democrazia ad alta energia”, dice che, invece di garantire quella finta libertà contrattuale che sta alla base della rivoluzione finanziaria, occorrerebbe un’autorità mondiale capace di imporre nuove regole, e creare così le basi di una struttura diversa, a dimensione globale. Nessuno pensa di rimettere in discussione il sistema? Perché l’ideologia non lo permette. È una fede. Questi sono dei talebani, non può farli cambiare. Hanno scelto il riformismo, ormai quella è l’ideologia che ha vinto. Il 51%, e oramai anche più, della ricchezza mondiale è nelle mani delle grandi corporations, e a condurre l’economia non sono più gli Stati: gli Stati non contano più niente. Quindi chi comanda? Le grandi imprese. Hanno in mano la maggiore ricchezza del pianeta: devono sopravvivere e comandare. E allora, guardate cosa succede alla delocalizzazione delle industrie che, pur di sopravvivere fanno di tutto, sconquassano le economie e i diritti e non gliene importa niente. L’arretramento della politica è dovuto proprio a questo fatto: che l’economia ha conquistato un predominio assoluto. Ritengo che ci sia veramente un errore di fondo nello scopo finale di tutte le politiche, che è quello del progresso economico. Gli economisti non pensano ad altro: aumentare produzione e produttività, a tutti i costi. Così quella che era la molla fondamentale del capitalismo, il progresso economico, è diventata molla fondamentale di tutti i sistemi; e al capitalismo di mercato si è aggiunto il capitalismo di Stato. Vedi la Cina: dove accadono esattamente le stesse cose di sempre, a detrimento dei più deboli. Mentre dovunque quelli che Bobbio chiamava “diritti di seconda e terza generazione”, con questa accelerazione del progresso economico a tutti i costi, vengono selvaggiamente conculcati. Come dice Robert Reich nel suo “Supercapitalismo”, «è stata sostituita la tutela dei diritti dei cittadini con la tutela dei consumatori». Ormai lo scopo è quello di creare sempre più benefici per i consumatori a scapito dei tradizionali diritti al posto di lavoro, alla sicurezza sul lavoro, alla pensione. Noti che lo sviluppo economico come fondamento dell’attività umana è presente anche nell’ultima enciclica di Ratzinger; in cui si sostiene che la globalizzazione serve a un progresso economico che poi si diffonde tra tutti i popoli. Che non è vero. E questo inseguimento forsennato della crescita continua mentre la crisi ecologica (conseguenza proprio di un produttivismo insostenibile, per quantità e qualità) sta toccato livelli di rischio difficilmente reversibili, come afferma l’intera comunità scientifica. Possibile che personaggi di tutto rispetto potentissimi manager, grandi industriali, economisti di fama mondiale ignorino tutto ciò? Il fatto è che appunto il problema prioritario rimane sempre quello della crescita e dello sviluppo economico, a cui tutto il resto viene sacrificato, anche problemi come la fame nel mondo. Che dal 2007 si fa sempre più grave: ora si parla di un miliardo di persone sottoalimentate; e nessuno se ne occupa. Veramente l’ideologia dello sviluppo economico cancella qualunque problema che riguardi qualità della vita e diritti umani, mentre crea guerre senza senso. Si crea una società di cui l’unico scopo è il dovere di crescere economicamente: d’altronde in base a parametri del tutto sballati, come il Pil, che non considerano affatto la qualità della vita. Quella del Golfo del Messico è una catastrofe economica quanto ambientale? Non c’è dubbio. Quando arriva la catastrofe poi se ne accorgono. E allora che fanno? Insistono sugli stessi schemi che hanno provocato la catastrofe: non hanno altro in testa. La letteratura apocalittica descrive tutto questo. Alcuni libri del genere mi hanno spaventato. Come Portando Clausewitx all’estremo di René Girard, il quale dice: «il riscaldamento climatico del pianeta e l’aumento della violenza sono due fenomeni assolutamente legati». E questa confusione di naturale e artificiale è forse il messaggio più forte contenuto in questi testi apocalittici. Martin Rees, grande astronomo di Cambridge, con “Our final Century” (Il nostro secolo finale), dubita che la razza umana riesca a sopravvivere al secolo in corso, proprio perché sta distruggendo il pianeta. E cose simili le dice anche Posner nel suo libro “Catastrofe”: con una popolazione mondiale che, secondo i calcoli, nel 2050 ammonterà a più di 9 miliardi di individui, ci saranno tremendi rischi di carestia: la terra non può dare più di quello che ha. Nuove regole per l’economia globalizzata? Occorrerebbe una iniziativa a livello mondiale, che dovrebbe partire dalle Nazioni Unite. In fondo, dopo la dichiarazione dei diritti dell’Assemblea generale dell’Onu del ’48, qualcosa è accaduto: come dopo la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Solo qualcosa di simile potrebbe cambiare la situazione: una rivoluzione di tipo mondiale, organizzata dalle Nazioni Unite, in cui si ridefiniscano i veri diritti, i principi per una vita diversa da quella voluta dal potere economico, e quindi una vita orientata dalla politica e non dall’economia. Poi mi accuseranno di essere un utopista. Però io credo che l’utopia sia decisamente meglio dell’apocalisse: che è l’alternativa che ci aspetta. (Info: www.megachipdue.info).
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