Megachip Il corpo e la testa dei soggetti collettivi Siamo tutti nella Rete, ma come ci siamo finiti? Partiamo dall’inizio. Non è possibile comprendere il valore e l’innovatività del concetto di “rete” senza collegarlo, sul versante sociale e politico, a due fenomeni interconnessi: 1) l’affermarsi di una nuova fase del sistema capitalistico (quella post-fordista e neoliberista, per intenderci); 2) il lento declino della forma partito. Oltretutto va ricordato come, negli anni in cui prendeva avvio questa deriva (’70 e ’80), fiorisse una forma di pensiero cosiddetta postmoderna dedita allo smantellamento del “soggetto” sui piani filosofico e psicologico. Grandi pensatori, come ad esempio Deleuze e Foucault, lanciavano sulla scia di Nietzsche e di Freud (riletti e rivisitati con sagacia) il loro attacco alle pretese unificatrici dell’Io, alla prepotenza del soggetto metafisicamente fondato (l’Io penso di Descartes primo obiettivo della critica). L’oppressione del Potere veniva così identificata nella sua pretesa di imporre al molteplice la legge dell’Uno, soffocando le differenze tra individui e culture ed incanalando la pulsione anarchica della vita in forme borghesi funzionali al sistema dell’accumulo del plusvalore. Chi volesse capire dove siamo approdati non dovrebbe minimizzare il passaggio concettuale in questione. È infatti un caso se la galassia dei movimenti ha sempre rivendicato per sé una struttura fluida e reticolare, priva cioè di centri decisionali in senso forte? L’avversione per i politici di professione e per i loro partiti corrotti e mastodontici, è sfociata nel tempo in una retorica dell’orizzontalità e della “democrazia dal basso” che presenta caratteri ambivalenti. Da un lato, infatti, non c’è alcun dubbio che i movimenti abbiano prodotto quanto di più interessante vi sia stato, sul versante dell’azione politica, negli ultimi trent’anni, ma dall’altro hanno inconsapevolmente contribuito a rafforzare l’ideologia stessa del sistema economico dominante. Ad uno sguardo più attento, infatti, appare chiaro come il processo di distruzione dell’identità personale e la disarticolazione della soggettività sia il risultato scontato di un capitalismo finanziario che può prosperare solo in una società liquida, dove i quadri d’identità sono sempre più fluidi e sottoposti incessantemente ai richiami del mercato (e alla sua unica legge: quella del Desiderio). E’ così la macchina consumistica a produrre, in ultima istanza, il depotenziamento della soggettività come condizione indispensabile per impedire la nascita di qualunque fronte di opposizione organizzato. La “rete”, in definitiva, ci appare come un bellissimo concetto (si pensi alla trattazione che ne fa Fritjof Capra in prospettiva sistemica ed ecologista) a cui manca, però, un salto di qualità ormai indispensabile. Sarà possibile effettuarlo se prenderemo ispirazione dal corpo umano. Ciascuno di noi, infatti, è costituito da una rete di sistemi integrati (immunitario, psichico, ormonale, ecc.) che, a livello superiore, si traduce in una volontà dotata di scopi. Essere “soggetto”, allora, non significa altro che far emergere continuamente dal processo della vita un Sé consapevole (si leggano su questo gli studi imprescindibili di Antonio Damasio) capace di conservare la propria esistenza fisica e spirituale, e di farlo coscientemente. Tale spinta all’autoconservazione non sarebbe possibile, tuttavia, senza un centro che unifichi emozioni, pensieri e processi fisiologici. Su questo non vi è alcun dubbio. Può essere utile, quindi, pensare al rapporto circolare che intercorre fra il sistema nervoso centrale e quello periferico. Ci insegnerebbe qualcosa sui cambiamenti necessari per produrre un’alternativa credibile al potere del Superclan. Difatti anche nella politica questi due sistemi devono coesistere e comunicare positivamente per sostenere la vita. A nulla servirebbe un cervello senza corpo, e meno ancora un corpo privo di cervello. Questa analogia può aiutarci a cogliere i limiti di una difesa aprioristica della Rete, laddove oggi più che mai l’esigenza è quella di costruire un soggetto d’azione organizzato, capace di perseguire scopi globali e di lungo periodo coniugando democrazia partecipata e forma partito, secondo i dettami della Costituzione che vogliamo difendere. Perché un cuore senza testa non può andare lontano.
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