http://it.peacereporter.net
21/09/2010

Fame e povertà, il primo obiettivo mancato
di Alberto Tundo

Oltre 900 milioni di persone soffrono ancora di fame e povertà cronica. Le cifre diffuse da Oxfam e ActionAid gettano ombre sul miracolo del Millennium

A New York va in onda la messa cantata del Millennium Development Goal (Mdg, d'ora in poi) con i leader mondiali che celebrano se stessi in una fiera di buoni propositi. L'ambizioso progetto lanciato dalle Nazioni Unite nel 2000 prevdeva otto obiettivi, dalla vittoria nella lotta all'Aids alla riduzione della fame nel mondo, da raggiungere entro il 2015. Mancano appena cinque anni alla scadenza e, se la tabella di marcia fosse stata rispettata, adesso dovrebbe mancare davvero poco al raggiungimento del traguardo. A ridosso del meeting siano usciti una moltitudine di rapporti incoraggianti dagli uffici studi delle agenzie dell'Onu (per una visione comprensiva, basterà dare leggere il Millennium Development Goals Report 2010) ma il quadro, in realtà, non sembra così positivo.

Chi sta combattendo la fame? Lo si capisce, per esempio, guardando a quello che era il primo degli obiettivi dell'Mdg: il dimezzamento del numero di persone affette da "fame cronica ed estrema povertà", che era appunto indicata con la sigla Mdg1. Il 14 settembre, la Food and Alimentation Organization (Fao) delle Nazioni Unite ha diffuso una nota con cui informava che 98 milioni di persone in meno soffrivano di "fame cronica". Niente male, siamo sulla buona strada, si potrebbe pensare. A dissolvere l'ottimismo, ci ha pensato il giorno dopo un report di Oxfam America, che ha messo in evidenza come altre 925 milioni di persone soffrano ancora la fame più disperata. Erano 830 milioni nel 2008, prima che la crisi finanziaria e quella alimentare si abbattessero sui Paesi più poveri. In dieci anni, insomma, dal 2000 al 2010, la percentuale di affamati si è ridotta di un misero mezzo punto percentuale, nonostante i miliardi di dollari spesi: dal 14 al 13,5 per cento. Ancora più cupe le cifre fornite da ActionAid, per la quale non solo non si sono fatti passi in avanti ma si è andati indietro: se si escludono i progressi fatti dalla Cina, che prescindono l'Mdg, l'incidenza della fame nel mondo è cresciuta di un buon 20 per cento rispetto a quando gli obiettivi erano stati fissati. Venti dei 28 Paesi più colpiti dal dramma della fame sono fuori strada e 12 di questi sono addirittura peggiorati, si legge nel rapporto non a caso intitolato Who's Fighting Hunger? (Chi sta combattendo la fame?). Considerando le conseguenze della malnutrizione e della denutrizione, in termini di salute, formazione e capacità della popolazione, l'organizzazione calcola che la fame costi a questi Paesi 450 miliardi di dollari l'anno, dieci volte di più quanto ci vorrebbe per dimezzare la fame e centrare il primo obiettivo.

Le stesse incongruenze emergono guardando ai progressi fatti nella lotta all'Aids o nella lotta alla mortalità infantile. "La vera causa della fame non è la mancanza di fondi ma la mancanza di volontà politica", ha detto la principale analista di ActionAid, Meredith Alexander. Eppure, purtroppo, anche in questa occasione il primo messaggio partito dal summit è stato che i Paesi donatori devono fare di più. E questa soluzione facile, in realtà non è soltanto la più economica ma rischia di essere anche la più dannosa. Perché la questione non è più se gli aiuti siano sufficienti ma se la politica basata su assistenza e donazioni non sia essa stessa la causa che ha fatto della fame nel mondo una palude da cui chi ci è dentro non riesce a uscire.

TOP