La scandalosa rapina dellacqua pubblica
di Paolo Rumiz
mutuato da Micromega al solo scopo divulgativo
Pubblichiamo l'intervento che Paolo Rumiz, giornalista di "Repubblica", ha tenuto alla Facoltà di scienze politiche dell'Università La Sapienza di Roma sul tema Acqua bene comune: storia, civiltà vita.
E un peccato che non possa parlarvi a voce. Solo a voce avrei potuto comunicarvi lurgenza, la rabbia e lindignazione legate al tema primordiale dellacqua. Sono un professionista della parola scritta, ma so che solo il racconto orale sa trasmettere sentimenti forti. Questo scritto è dunque solo un ripiegamento, dovuto a forza maggiore. E sappiate che gli uomini che avrei dovuto affiancare in questincontro sono i responsabili della mia passione per la questione idrica. Dunque perfetti per accendere anche la vostra.
Mi sono occupato di molti temi nel mio mestiere. Guerre etniche e planetarie, crolli di sistemi e di alleanze politiche, esplorazione dei territori e viaggi alle periferie del mondo. Allacqua sono arrivato solo pochi mesi fa, quasi per caso, grazie a una segnalazione di Emilio Molinari. Era successo che era stata approvata una legge che rendeva inevitabile la privatizzazione dei servizi idrici. La svendita di un patrimonio comune, mascherata da rivoluzione efficentista...
Tutto questo era avvenuto nel mese di agosto, alla chetichella, senza proteste da parte dellopposizione. Il popolo era rimasto tagliato fuori da tutto. Gli interessi attorno alloperazione erano così trasversali che i giornali avevano taciuto, i partiti e i sindacati pure. Mi sembrava inverosimile che una simile enormità potesse passare sotto silenzio. Così ne ho scritto. E la pioggia di lettere attonite che ho ricevuto in risposta hanno confermato lassunto.
LItalia non ne sapeva niente. Non entro nello specifico di questa scandalosa ruberia inflitta agli italiani. Altri lo faranno meglio di me. Dico solo che occupandomene, dopo 35 anni di mestiere, ho provato lo stesso brivido della guerra dei Balcani. Come allora, ho avuto la certezza che cadesse un sipario di bugie, e si svelasse la verità nuda di una rapina ai danni del Paese e dei suoi abitanti, lultimo assalto a un territorio già sfiancato dalle mafie, dalle tangenti e dalla dilapidazione del bene comune.
Pensiamoci un attimo. I giornali pompano mille emergenze minori per non farci vedere quelle realmente importanti. La tensione etnica aumenta. Ci parlano di clandestini, di rumeni stupratori, di terroristi annidati nelle moschee. Ci infliggono ronde per tenere testa a una criminalità che stranamente non include la camorra, la speculazione edilizia o lo strapotere degli ultras. Televisione, telefonini, I-pod costruiscono una cortina fumogena che incoraggia il singolo ad arraffare e impedisce al gruppo di reagire.
E così evidente. Noi non dobbiamo sapere che esiste unaltra e più grave emergenza: la distruzione del territorio. Un emergenza così grave che la lingua delleconomia non basta più a descriverla. Oggi serve la lingua del Pentateuco, o dellApocalisse di Giovanni, perché viviamo un momento biblico: E verrà il giorno in cui le campagne si desertificheranno e la boscaglia invaderà ogni cosa, i ghiacciai entreranno in agonia e laria diverrà veleno. Il tempo in cui la natura sarà offesa nelle sue parti più vulnerabili. Se i nostri padri ci avessero fatto una simile profezia non li avremmo creduti. Invece succede.
Siamo in guerra. Una guerra contro i territori. In Italia è iniziata la guerra per laccaparramento delle ultime risorse. Sta già avvenendo: Cementificazione dei parchi naturali, Requisizione delle sorgenti, Privatizzazione dellacqua pubblica, Discariche e inceneritori negli spazi più incontaminati del Paese, Ritorno al nucleare, Grandi opere imposte con la militarizzazione dei territori e la distruzione di interi habitat. Fiumi già in agonia, disseminati di ulteriori centrali idroelettriche. Impianti eolici che stanno cambiando i connotati allAppennino.
Tutto conduce su questa strada: la ricorrente invocazione di poteri forti ai danni del parlamento, il fallimento del pubblico e linvadenza del privato, la sottrazione delle risorse ai Comuni, lo smantellamento della democrazia diretta, la corsa a un federalismo irresponsabile che assomiglia tanto a una licenza di sperpero, la deregulation legislativa, la crisi della scuola e delle università, la visione speculativa e finanziaria delleconomia.
E come negli anni Trenta: crisi del capitalismo, opposizione inesistente, criminalità diffusa. Ma con in più (e in peggio) la desertificazione dei territori, lo spopolamento della montagna. Il Paese profondo si è talmente indebolito che oggi latteggiamento predatorio che abbiamo rivolto prima verso la Libia o lEtiopia e poi verso lEst Europa, può essere rivolto verso lItalia medesima senza il rischio di una rivoluzione. Anche noi diventiamo discarica, miniera, piantagione. E anche da noi i territori deboli sono lasciati completamente soli di fronte ai poteri forti. Come le tribù centro-africane.
Guardate cosa succede con leolico. Gli emissari di una multinazionale dellenergia si presentano a un comune di cinquecento-mille abitanti. Offrono centomila euro lanno per due o tre pale eoliche alte come grattacieli di trenta piani. Il sindaco al verde non ha alternative. Accetta. Per lui quelle pale sono il solo modo per pagare lilluminazione pubblica e gli impiegati. La Regione e lo Stato non intervengono. In nome dellemergenza energetica passano sopra a tutto, anche a un bene primario come il paesaggio. Risultato? Oggi la rete eolica italiana non è il risultato di un piano ma del caso. Segna come le pustole del morbillo i territori deboli, incapaci di contrattare.
Con lacqua la situazione è ancora più limpida. Vi racconto cose che ho visto personalmente. Qualche scena, capace di illuminare il tutto.
Alta Val di Taro. Cè una fabbrica di acque minerali che succhia dalle falde appenniniche in modo così potente che nei momenti di siccità gli abitanti del paese noto fino a ieri per le sue fonti terapeutiche e oggi semi abbandonato restano senzacqua nelle condutture pubbliche. Cè una protesta ma il sindaco tranquillizza tutti in consiglio comunale. Non abbiate paura dice quando mancherà la NOSTRA acqua, la fabbrica pomperà la SUA nei nostri tubi. Lacqua del paese è data già per persa, requisita dai padroni delle minerali. Lidea che si tratti di un bene pubblico e prioritario non sfiora né il sindaco né la popolazione rassegnata.
Recoaro, provincia di Vicenza. Una pattuglia di tecnici dellacqua (così si presentano), fanno visita a una vecchia che vive sola in una frazione di montagna. Le chiedono di poter fare delle verifiche alle falde. La donna pensa che siano del Comune. Il lavoro dura un mese. I tecnici trivellano, trovano acqua. Poi chiudono il pozzo aperto con dei sigilli. A distanza di mesi si scopre che la fabbrica di acque minerali giù in valle sta facendo un censimento delle fonti potabili in quota, in vista della grande sete prossima ventura della Terra in riscaldamento climatico. I parenti della donna si accorgono del maltolto e sporgono denuncia. Scoprono di essersi mossi appena in tempo per evitare lusocapione del pozzo. Il sindaco tace. Gli abitanti di Recoaro pure. Ciascuno vende le sue fonti in separata sede.
Castel Juval, in val Venosta. Qui potete fare le vostre verifiche da soli. Vi sedete al ristorante dellagriturismo di Reinhold Messner e chiedete dellacqua. Scoprirete di avere due opzioni. Lacqua minerale la notissima acqua propagandata dallalpinista sud-tirolese e lacqua di fonte. La fonte di Reinhold Messner. Ebbene, anche questa è a pagamento. Metà prezzo rispetto a quella in bottiglia, ma anchessa a pagamento. E la gente beve, estasiata. Vedere per credere.
Che dire? Come gli abitanti della Somalia o del Mali, siamo disposti a pagare ciò che ci sarebbe dovuto gratuitamente. Abbiamo rinunciato a considerare lacqua come pubblico bene. La nostra sconfitta, prima che economica, è culturale. La grande vittoria del secolo scorso fu lacqua nelle case. Oggi abbiamo accettato di tornare indietro. Siamo ridiventati portatori dacqua. Come gli etiopi, arranchiamo per le strade con carichi inverosimili dacqua e non riflettiamo che il valore reale della medesima è appena un centesimo del costo della bottiglia. Meno del costo della colla necessaria a fissare letichetta. Il dramma non è solo lo scempio delle risorse, ma la nostre insensibilità alla rapina in atto. Abbiamo accettato di farci derubare. Siamo un popolo rassegnato, e i signori delle risorse lo sanno perfettamente.
Il dossier di unazienda multinazionale finlandese descrive così una regione italiana del centro: facilità di penetrazione, costi dinsediamento minimi, zero conflittualità sociale. Soprattutto, poche obiezioni ecologiche. Sembra il Congo, invece è Italia.
Grazie di avermi ascoltato.
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