http://www.megachipdue.info/ Perché gli OGM sono un pessimo affare Prendendo spunto da un articolo di Stefano Nespor (membro del comitato scientifico di Legambiente in qualità di esperto in temi giuridici) apparso sulla rivista Ventiquattro de “Il Sole 24 Ore” (ottobre 2010), abbiamo chiesto a Vittorio Cogliati Dezza, Presidente di Legambiente, di chiarire la posizione dell'associazione ambientalista sull'argomento Organismi Geneticamente Modificati (OGM), nella sua forma più aggiornata. Presidente, intanto grazie per aver risposto positivamente a questa nostra sollecitazione. Le nostre non saranno vere e proprie domande: Le presentiamo, su alcuni argomenti, le posizioni di chi è a favore degli OGM e Le chiediamo di controbattere nello specifico, punto per punto. Sappiamo benissimo che la problematica OGM è molto complessa e implica anche importanti cognizioni di tipo scientifico. Vediamo un po' di sviscerare solo alcuni punti al confine fra scienza e politica. Primo punto. Venite accusati di essere insofferenti nei confronti delle innovazioni tecnologiche, di non accettare i rischi nuovi (che necessariamente comportano le tecnologie più innovative) e di preferire invece i rischi conosciuti delle vecchie tecnologie, che sarebbero anche più dannose. Che cosa risponde al riguardo? Da trent’anni Legambiente fa dell’ambientalismo scientifico il riferimento per ogni sua attività. L’innovazione tecnologica e la ricerca scientifica in senso più ampio sono considerati gli strumenti principali per promuovere lo sviluppo sostenibile. L’innovazione tecnologica può essere uno strumento fondamentale per raggiunge obiettivi di crescita socioeconomica, ma questa va applicata tenendo conto delle caratteristiche specifiche di ogni ambito di intervento e pertanto dei cambiamenti, anche irreversibili e di lungo periodo, che possono essere prodotti sugli equilibri ambientali. Secondo punto. Sulla coesistenza tra coltivazioni OGM e coltivazioni non-OGM non ci sono problemi: si è già risolto il tutto con piante GM maschio sterili che non producono polline. È così? Sono ancora troppi i limiti da sciogliere sul tema della coesistenza: dall’affidabilità delle misure tecniche che servirebbero per delimitare le coltivazioni transgeniche, da quelle convenzionali e biologiche, ai rischi di lungo periodo relativi al rilascio incontrollato nell’ambiente di OGM, piuttosto che i contenziosi legali e i risarcimenti economici che gli agricoltori si troverebbero ad affrontare per le inevitabili contaminazioni di sementi e produzioni non OGM. La stessa soglia di contaminazione accidentale dello 0,9% (valore al di sopra del quale la presenza di OGM va indicata sull’etichetta del prodotto) non è sufficiente a tutelare i sistemi agricoli tradizionali e soprattutto quelli biologici, perché con la ripetuta impollinazione incrociata, si potrebbero raggiungere degli alti livelli di contaminazione, attraverso il passaggio del transgene alle piante infestanti e spontanee, la cui diffusione sarebbe inarrestabile negli ambienti naturali, ma anche nei giardini e negli orti familiari o nelle aree incolte e marginali. Terzo punto. Vi viene rimproverato che, combattendo l'introduzione degli OGM, voi favorite la politica protezionistica agricola dell'Unione Europea. È vero che siete nemici del mercato e della concorrenza e volete preservare il sistema agroalimentare dei paesi ricchi occidentali basato sull'equilibrio protezionistico sostenuto al prezzo di enormi sussidi pubblici? Non solo non è vero, ma Legambiente crede che le produzioni locali, legate ai territori alle loro storie e culture, ossia l’agricoltura di qualità, possano sostenere l’economia dei Paesi emergenti a differenza delle monoculture e degli OGM. Varrebbe la pena di ricordare che in Argentina, ad esempio, a fronte di un aumento vertiginoso di produzione di soia transgenica, si è registrato un crollo delle produzioni locali, come grano, miglio e patate, privando molti agricoltori locali dell’accesso alla terra e ai raccolti e agevolando un sistema basato su aziende molto grandi di centinaia di ettari, i cui proprietari hanno basato i profitti sul lavoro di braccianti stagionali, retribuiti a bassissimo costo e sull’esportazione di soia e mais che finisce per alimentare il bestiame dei Paesi ricchi. Quarto punto. Voi agitate lo spettro delle multinazionali nell'agricoltura. In realtà, si fa notare come ormai nei Paesi ad economia emergente (Cina, India, Brasile, Sud Africa, Indonesia) la ricerca per sviluppare prodotti OGM adatti a specifiche condizioni climatiche locali sia ormai in mano a fondi ed enti pubblici, avendo come destinatari privilegiati gli agricoltori poveri. Il nemico dunque non sarebbero più Monsanto o Syngenta? È così? Non mi sembra proprio che sia così. Basti pensare che il 98% degli OGM è coltivato in soli 8 Paesi e che 15 anni fa era coltivato in 4 Paesi. Un incremento irrisorio che denuncia il fallimento degli OGM stessi. Inoltre in due di questi Paesi, tra cui l’India, si tratta di cotone. Quello degli OGM continua ad essere un mercato in mano a poche multinazionali contro le economie locali, con l’adozione di tecniche di produzione intensive, che non tutelano né i lavoratori, né salvaguardano gli equilibri ambientali. Ad essere duramente colpita è la Sovranità Alimentare ossia il diritto di ogni popolo a definire le politiche agrarie in materia di alimentazione, proteggere e regolare la produzione agraria nazionale e il mercato locale al fine di ottenere risultati di sviluppo sostenibile, e decidere in che misura essere autosufficienti senza rovesciare le eccedenze in Paesi Terzi con la pratica del dumping. Quinto punto. Voi siete alleati della filiera agroalimentare classica, quella che usa pesticidi e fertilizzanti chimici che creano danni per la salute, l'ambiente e la biodiversità (danni che verrebbero evitati con l'adozione massiccia degli OGM). Che cosa controbatte a questa accusa? Un’accusa del tutto falsa. Legambiente da sempre combatte la diffusione dei pesticidi in agricoltura e sostiene da sempre le pratiche agricole che escludono l’impiego di sostanze chimiche di sintesi o si basano sulla lotta integrata. Con il dossier Pesticidi nel Piatto Legambiente evidenzia come la normativa, almeno per il momento, non si esprime rispetto al cosiddetto multi residuo e cioè alla presenza di più e diversi residui chimici sugli alimenti che arrivano sulle nostre tavole e la definizione stessa dei limiti massimi di residuo (LMR) si basa solo sui singoli residui. Andrebbero adeguatamente indagati gli effetti sinergici che possono derivare dall’uso simultaneo di più pesticidi e le conseguenze per la salute di target sensibili come i bambini. Andrebbe poi rivolta maggiore attenzione anche al problema della contaminazione ambientale. In questo senso, infatti, è necessario promuovere la ricerca scientifica per chiarire quali rischi, per l’uomo e l’ambiente, sono legati all’uso di queste sostanze. A questo proposito basti citare il caso della sospensione dei concianti neurotossici del mais, che nell’ultimo anno ha permesso agli apicoltori di tornare a lavorare senza alcun fenomeno di spopolamento primaverile degli alveari nelle regioni maidicole. Sesto punto. Le nazioni che dovessero seguire la scelta del no agli OGM, si troverebbero ai margini di uno dei settori scientificamente più promettenti e verrebbero tagliate fuori dalle grandi scelte globali dell'agricoltura del futuro. Qual è la vostra visione del futuro su questo tema? L’apertura agli OGM non è la strada vincente per garantire la ripresa del sistema agricolo, tantomeno dell’agricoltura italiana, che si regge sulla qualità delle produzioni e che ad oggi permettono al nostro Paese di essere il primo in Europa per numero di prodotti tipici e per estensioni di superfici agricole dedicate alle colture biologiche. Inoltre, malgrado le prime piante transgeniche siano entrate sul mercato a partire dalla metà degli anni ’90, la ricerca non è arrivata ancora ad un risultato affidabile né in termini di produttività e né di risposta al bisogno di sicurezza alimentare dei consumatori. Piuttosto, oggi, si sta creando un nuovo fronte, mentre gli OGM non passano nella scelta dei consumatori (nell’ultima indagine di Eurobarometro, per esempio, la maggioranza dei cittadini europei, il 61%, si dichiara contraria ai cibi geneticamente modificati, soprattutto per le preoccupazioni legate alla sicurezza alimentare), sempre più troviamo tracce di OGM nei derivati, perché sono spesso usati in grande quantità per i mangimi e l’alimentazione degli animali. Settimo punto. Oltre 12 milioni di agricoltori nel mondo fanno uso di sementi GM e centinaia di milioni di consumatori da almeno 15 anni acquistano e si nutrono di cibo prodotto con quelle sementi e finora non ci sono stati casi accertati di danni all'ambiente o di danni alla salute delle persone. Non dovrebbero bastare questi numeri per stare tranquilli? In realtà sono soltanto 4 le colture geneticamente modificate più diffuse: mais, colza, soia e cotone. Queste si concentrano soprattutto negli Stati Uniti, Brasile, Argentina e India. Per quanto riguarda l’Europa, invece, è stata registrata una contrazione delle superfici dedicate alle colture OGM. Fino ad oggi, la coesistenza tra colture OGM, tradizionali e biologiche ha messo in evidenza diverse criticità, in particolare il rischio che la resistenza agli erbicidi di una pianta transgenica possa essere trasmessa ad altre specie affini e quindi anche a piante infestanti. I geni resistenti agli erbicidi infatti possono migrare oltre l’area di coltivazione e anche quelle infestanti. Il risultato non potrà che essere quello di impiegare ancora più pesticidi a tutto vantaggio dei grandi produttori di pesticidi. Con la coltivazione in campo aperto di OGM, inoltre, si rischia di provocare un’ulteriore riduzione della diversità agraria e paesaggistica, per effetto del rimpiazzo e dell’estinzione di varietà pre-esistenti, ma anche per il trasferimento per via sessuale di geni di resistenza in specie affini o non che favorirebbe nel medio-lungo periodo l’omogeneità sia delle piante coltivate che dei potenziali competitori, a tutto svantaggio della biodiversità.
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