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11/02/2010

Il Clima Cambierà Sempre Tocca agli Uomini Adattarsi

È questa la parola d'ordine. Nel segno di opere che l'Ipcc, l'organismo Onu per lo studio dei cambiamenti climatici, definisce "aggiustamenti nei sistemi ecologici, sociali ed economici in risposta a stimoli climatici attuali o previsti"

Due Notizie cattive e due buone. La prima notizia cattiva è che i cambiamenti climatici sono ormai inevitabili. La prima notizia buona è che se verranno portate avanti rigorose politiche di riduzione delle emissioni di gas serra i danni del riscaldamento globale possono essere contenuti entro una dimensione gestibile. La seconda buona notizia è che in molti paesi in giro per il mondo si sta già lavorando per realizzare le opere necessarie ad adattarsi ai cambiamenti climatici: argini e corsi dei fiumi risistemati per resistere a piene più violente in Gran Bretagna e Olanda; sbarramenti e risistemazioni delle zone costiere contro l'innalzamento del livello del mare in Olanda, Germania e in diverse isole del Pacifico; riconversione dell'agricoltura a culture più resistenti alla siccità in Africa; invasi per raccogliere l'acqua di ghiacciai destinati a sciogliersi più in fretta in Butan e in altri paesi asiatici; barriere forestali contro la desertificazioni in Cina. La mappa globale delle opere di adattamento progettate o già in cantiere è fitta, ma purtroppo - e questa è la seconda cattiva notizia - tra chi brilla per la sua assenza c'è proprio l'Italia. 

Proprio come una pentola sotto la quale si spegne il fuoco non si raffredda immediatamente, così l'inerzia del riscaldamento globale già avvenuto, anche tagliando drasticamente le emissioni di gas serra, produrrà comunque una serie di cambiamenti nel clima che abbiamo conosciuto sino ad oggi. Per questo, assieme a "mitigazione", l'altra parola d'ordine è "adattamento": la messa in cantiere di opere che l'Ipcc, l'organismo Onu per lo studio dei cambiamenti climatici, definisce "aggiustamenti nei sistemi ecologici, sociali ed economici in risposta a stimoli climatici attuali o previsti". Un termine riferito "a cambiamenti in pratiche, processi o strutture per moderare o bilanciare eventuali danni o approfittare di eventuali opportunità derivanti dai cambiamenti climatici". 


Eventi estremi, siccità, innalzamento del livello del mare avranno infatti importanti ricadute su industria, agricoltura, turismo e cure sanitarie. "Nonostante la riduzione delle emissioni che siamo impegnati a conseguire - spiega il Commissario uscente all'Ambiente Stavros Dimas - i cambiamenti climatici sono in una certa misura inevitabili. È pertanto essenziale che si inizi subito il lavoro con i governi, le imprese e le comunità al fine di sviluppare una strategia di adattamento complessiva per l'Ue e fare in modo che tale adattamento sia integrato nelle politiche fondamentali dell'Unione". 

La scelta di Bruxelles è stata quindi quella di pubblicare lo scorso anno un Libro Bianco. "L'Unione europea - si legge nel documento - deve prepararsi, risultati recenti indicano che l'impatto dei cambiamenti climatici sarà più rapido e più intenso di quanto previsto". "Gli effetti avranno implicazioni diverse da una regione all'altra il che significa che la maggioranza delle misure di adeguamento va adottata a livello nazionale e regionale". 


Per questo la Commissione ha invitato i singoli governi a preparare dei piani d'azione nazionali. Sino ad oggi a presentare un documento sono state Danimarca, Finlandia, Germania, Francia, Ungheria, Olanda, Spagna, Svezia e Regno Unito. Per la maggior parte si tratta di resoconti di come e dove colpiranno i cambiamenti, ma diversi paesi hanno iniziato anche a muovere dei primi passi concreti. In alcuni casi è difficile distinguere opere che andavano comunque previste per scongiurare gli effetti catastrofici delle inondazioni o del dissesto idrogeologico da specifici interventi contro i cambiamenti climatici. 

Le due cose infatti si intrecciano e non a caso i governi hanno chiesto all'Ipcc di virare il prossimo Rapporto in chiave locale, inserendo previsioni a scadenza più ravvicinata rispetto alla fotografia del Pianeta a fine secolo scattata con il IV Assestment. Si tratta, come spiega Carlo Carraro, unico italiano del Bureau Ippc, "di concentrare l'attenzione su aree geografiche molto più ristrette, grandi circa 30 chilometri quadrati per rispondere anche alle sollecitazioni della politica e delle comunità locali, che chiedono di sapere con maggiore precisione cosa accadrà, dove accadrà e quando accadrà per pianificare gli investimenti necessari all'adattamento". 


Grazie al coordinamento del Gef, il Global Environmental Fund, i primi interventi stanno iniziando a prendere corpo anche nei paesi poveri. La lista dei progetti di adattamento già avviati per un totale di circa 280 milioni di dollari comprende 19 paesi, dalla B di Bangladesh alla Z di Zambia. Piccole opere per il momento rispetto al dettagliato programma di lavori previsto ad esempio in Gran Bretagna, uno dei paesi più intraprendenti, dove è stato messo a punto anche un accuratissimo piano d'intervento sul tratto londinese del Tamigi. Ma molto di più di quanto non sia stato fatto in Italia. Malgrado il nostro paese sia unanimemente riconosciuto come uno dei più vulnerabili, tra coste a rischio di erosione, dissesto idrogeologico, desertificazione galoppante e minacce al turismo montano. 

Una stima formulata nel volume curato da Carlo Carraro "Cambiamenti climatici e strategie di adattamento in Italia" ritiene che con un incremento della temperatura media di 1,2 gradi "nel 2050 si registrerebbe una perdita di benessere equivalente alla riduzione del reddito nazionale di circa 20-30 milioni di euro a prezzi correnti (...) una cifra rilevante pari ad un'importante manovra finanziaria, ma il valore sarebbe addirittura sei volte più grande nel 2100". 

Dopo la Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici convocata nel settembre del 2007, poco o nulla si è fatto per coordinare conoscenze e interventi. L'Italia, spiega Francesco Bosello, ricercatore del Centro euromediterraneo per i cambiamenti climatici, "soffre un grosso gap di preparazione, la nostra mappa del rischio non è stata adeguatamente aggiornata con le proiezioni delle pressioni dovute dal riscaldamento globale, così come manca una corretta organizzazione del managment. Eppure abbiamo delle eccellenze nelle ricerche su alcune minacce, come la desertificazione e gli incendi forestali". Da noi, si sa, prevenzione non è una parola che gode di grossa considerazione. Molto meglio far vedere a tutti quanto siamo bravi a cavarcela nelle emergenze.

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