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19/04/2010

Acqua virtuale, crisi reale
di Alberto Tundo

Uno studio inglese rilancia il dibattito sull'uso delle risorse idriche e prevede gravi contraccolpi economici per quei Paesi i cui consumi dipendono dall'acqua altrui e l'Italia è tra questi.

Nel 1995, l'allora vicepresidente della Banca Mondiale Ismail Serageldin diede autorevolezza a quella che fino a quel momento era un'opinione percepita come qualcosa a metà tra una profezia e una boutade: "le guerre del prossimo secolo si combatteranno per l'acqua".

La "tempesta perfetta". Viene da ripensare a quella frase, leggendo il rapporto di Engineering the Future, un gruppo di lavoro organizzato all'interno dell'Engineering and Physical Sciences Research Council inglese. Il documento si concentra sul rapporto tra la crescita della popolazione mondiale, il progressivo esaurimento delle risorse idriche e la ridistribuzione delle medesime tra Paesi sviluppati ed "emergenti". Il quadro tracciato dagli specialisti è allarmante, soprattutto per quelle economie avanzate ma dipendenti dalle risorse idriche altrui. L'Inghilterra è tra queste e ciò spiega come mai il dossier oltremanica stia suscitando un forte interesse. Anche l'Italia, però, potrebbe non passarsela bene.
Si avvicina, insomma, quella che John Beddington, capo del team di scienziati che lavora per il governo inglese, definisce la "tempesta perfetta", cioè la mancanza di cibo, energia ed acqua che potrebbe caratterizzare il futuro prossimo.
Una vera deadline non c'è, ma la soglia di pericolo si avvicina rapidamente e sarà raggiunta quando la popolazione mondiale toccherà gli otto miliardi, ovvero tra una ventina d'anni, secondo le previsioni dei demografi.
Allora, stimano gli esperti inglesi, la domanda globale di cibo ed energia aumenterà del 50 per cento, trainando di conseguenza anche quella dell'acqua, che crescerà del 30 per cento. 
Non si può capire la relazione tra i due processi, senza introdurre il concetto di "virtual water", elaborato da John Anthony Allan, docente presso il prestigioso King's Cross College di Londra.
Detto molto semplicemente, l'acqua virtuale è quella impiegata complessivamente nel processo produttivo di ogni bene. Ad esempio, una tazzina di caffè - contando la coltivazione, la lavorazione, il confezionamento e il trasporto - costa 140 litri d'acqua; una maglia di cotone, ne costa 2000 mentre un chilo di carne circa 15 mila.

Gravi riflessi economici. Un mondo più popoloso è un mondo che ha bisogno di più acqua senza essere in grado di produrne di più; questo avrà un impatto diretto sui Paesi che sono importatori netti di "acqua virtuale". Da qui nasce l'allarme inglese.
Secondo gli scienziati britannici, solo un terzo dell'acqua virtuale necessaria per il processo produttivo dei beni consumati dai sudditi di Sua Maestà viene dalle proprie risorse idriche: i rimanenti due terzi arrivano da fuori. Pertanto, secondo gli studiosi, il governo di Londra dovrebbe preoccuparsi di ridurre l'impatto dei consumi inglesi sul resto del mondo. E' una questione etica ma anche strategica, dal momento che nel mondo venturo, multipolare e caratterizzato da rapporti geopolici inediti, la ridistribuzione delle risorse potrebbe penalizzare fortemente la Gran Bretagna.
Lo stesso problema si pone per l'Italia, Paese che pur avendo una grande ricchezza idrica, è di fatto un importatore netto. Uno studio del 2004 di Ashok Chapagain e Arjen Hoekstra, due punti di riferimento della letteratura scientifica in materia, piazzavano l'Italia al secondo posto tra i maggiori importatori mondiali di acqua virtuale, dietro al Giappone e davanti a Gran Bretagna, Germania e Corea del Sud. 
Ma l'acqua impiegata nella produzione dei beni consumati da questi cosiddetti "net-importer countries", spesso proviene da Paesi che hanno notevoli problemi a livello idrico. E questo causa un ulteriore cortocircuito.
Il report si chiede, ad esempio, se è giusto che l'Inghilterra importi fiori e semi coltivati dal Kenya, produzione che fa arrivare valuta straniera nelle casse keniote ma priva di acqua un Paese spesso colpito da carestie e siccità.
Il documento, quindi, suggerisce che i Paesi più sviluppati aiutino quelli più poveri a risparmiare acqua; lo stesso sforzo è richiesto a multinazionali e società commerciali: rivedere il proprio ciclo produttivo potrebbe aiutare a risparmiare risorse idriche. Un passo importante, obbligato, in un mondo in cui un miliardo di persone hanno difficoltà nel procurarsi acqua pulita e potabile.

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