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16/11/2010 09:54

Wei Jingsheng: “Lo yuan porterà alla Terza guerra mondiale”
di Wei Jingsheng

Il grande dissidente analizza l’impatto fallimentare del G20 sulla questione valutaria.

Washington (AsiaNews) - Il cosiddetto summit del G20 si è aperto a Seoul, capitale della Corea del Sud, l’11 novembre scorso. La società internazionale aveva delle aspettative altissime per questo incontro, che veniva considerato un’opportunità importante per risolvere l’attuale crisi economica. Quasi tutti i giornali del mondo, alla vigilia dell’apertura del summit, hanno dichiarato in maniera unanime che sarebbe stato importante risolvere la questione della valutazione dello yuan. In caso contrario l’incontro sarebbe stato considerato un fallimento.

Lo yuan e il costo del lavoro

Ma perché la questione della valutazione dello yuan è così importante? Perché questo problema si collega alla ripresa dell’economia mondiale? Per rispondere a queste domande, abbiamo bisogno di partire dalle cause della recessione economica globale. Al momento possiamo dire con certezza che la recessione globale è partita dalle recessioni economiche locali di Stati Uniti ed Europa. La recessione economica nelle nazioni sviluppate è partita dall’enorme deficit commerciale, che si è accresciuto anno dopo anno. Questo deficit ha diverse cause scatenanti, ma due su tutte emergono fra le altre. La prima è il lavoro a basso costo; l’altro è che il valore dello yuan è molto più basso di quello che dovrebbe essere sul libero mercato.

Il lavoro a basso costo causa un aumento della competizione. Questo concetto è universale. Ma con l’accumulo di capitali e l’aumento della preparazione lavorativa, anche il costo del lavoro dovrebbe gradualmente aumentare. Lentamente, l’intera società dovrebbe godere dei frutti della crescita economica, e i vantaggi di questa straordinaria competitività diverrebbero più bilanciati. Questa situazione non è soltanto un modello di sviluppo normale e sostenibile, ma è anche un modello che porta allo sviluppo economico dell’intero pianeta.

Brasile, India e un gran numero di nazioni in via di sviluppo usano questo tipo di modello di sviluppo. Di conseguenza, mentre le loro economie si sviluppano, cresce anche lo standard di vita nazionale, sincronizzato al mercato interno. Questo sviluppo è un fattore positivo per le economie di queste nazioni. Potremmo chiamare questo modo di fare “modello in cui vincono tutti”.

Tuttavia, anche questo modello di sviluppo ha degli strascichi negativi. Lo svantaggio principale è che il costo del lavoro cresce insieme all’economia, e questo non permette ai grandi capitalisti di ottenere profitti eccessivi. Di conseguenza, non aumentano i miliardari nel Paese. La Cina ha adottato un’altra strada: essendo un Paese per grandi capitalisti che scelgono il modello “pochi ricchi subito”, grazie alla leadership del Partito comunista, Pechino ha intrapreso un sentiero totalmente diverso, il cosiddetto “modello Cina”.

Il “modello Cina”

Il “modello Cina” cerca di mantenere il più basso possibile il costo del lavoro e impone di non sviluppare il mercato interno, mentre si continua a spingere per lo sviluppo economico. Questo approccio sacrifica il guadagno nazionale della popolazione nel tentativo di mantenere lo squilibrio favorevole dei prezzi sul mercato internazionale e creare le migliori condizioni possibili per attirare i grandi capitalisti. Non si può pensare di raggiungere un risultato del genere semplicemente sopprimendo il movimento dei lavoratori e il sindacato: il mercato aggiusta in maniera automatica il tasso di cambio, per farlo camminare insieme allo sviluppo economico, e questo si traduce nella crescita dei salari. Questo va sottolineato, perché è una realtà del mercato e perché dimostra che se il governo non interferisse con la crescita della valutazione dello yuan, il potere d’acquisto dei cittadini cinesi aumenterebbe. I benefici creati dalla crescita economica verrebbero consegnati automaticamente nelle tasche di ogni membro della società.

Ma in questo modo si otterrebbero due effetti: anzitutto, quello di alleggerire le tasche dei grandi capitalisti; in secondo luogo, diverrebbe più complicato acquisire le grandi industrie occidentali. Unirsi ai grandi capitalisti di tutto il pianeta, nello sforzo di difendere il regime dittatoriale del Partito comunista cinese, è divenuta una delle politiche base del governo. Ed è per tutti questi motivi che è stata inaugurata e poi mantenuta a tutti i costi la politica di mantenere bassissimo il prezzo dello yuan manipolando il tasso di cambio. È questo che intendo quando parlo di “modello Cina”. Tra l’altro va sottolineato che questa non è un’invenzione di Jiang Zemin o del suo successore Hu Jintao, ma si tratta di una politica inaugurata tanto tempo fa da Deng Xiaoping e da Zhao Ziyang.

Il declino delle economie occidentali

La politica di manipolare il valore dello yuan renminbi è molto efficace. In particolare dopo che la Cina ha ottenuto diritti di libera esportazione – o, per meglio dire, dopo che ha ricevuto lo status e il trattamento di “nazione favorita” – un enorme numero di beni di bassa qualità ha invaso i mercati delle nazioni sviluppate con dei prezzi incredibilmente bassi. Questa operazione non solo ha distrutto le industrie delle nazioni occidentali, ma non ha aumentato le esportazioni verso la Cina, o tanto meno ha creato un mercato occidentale per prodotti industriali di qualità superiore. Di conseguenza, come è naturale, l’economia dell’Occidente ha iniziato a declinare in maniera graduale, mentre il capitale finanziario era in crescita costante. Il risultato di tutto questo è la caratteristica basilare di questa crisi economica globale; mentre il denaro sembrava essere sempre di più, il mercato si è sempre più ristretto. I grandi capitalisti hanno ottenuto il loro risultato e sono aumentati i loro conti correnti, mentre aumentava al contempo il numero delle persone in stato di povertà. A causa dell’operazioni di lobby delle grandi industrie occidentali, i politici dei loro Paesi hanno avuto paura a denunciare quanto stava accadendo; sono arrivati persino a temere di parlare di questo problema, sempre più evidente. Naturalmente, le nazioni occidentali sono in fin dei conti delle democrazie dove vive la libertà di espressione e dove il potere in ultima analisi è nelle mani della popolazione. Nell’ultimo decennio, questo problema molto serio è stato discusso sempre più dalla popolazione e dai media, al punto che i politici non hanno più potuto evitare un confronto sulla questione.

Le elezioni di midterm che si sono svolte qualche settimana fa negli Stati Uniti sono state un punto di svolta: la questione del tasso di cambio dello yuan ha prodotto una miserabile sconfitta del Partito democratico. Alla fine, il governo statunitense si è sentito costretto ad affrontare questa questione fondamentale, che ha un impatto così preoccupante sull’economia globale. Per i politici occidentali, i contributi per le campagne elettorale sono importanti; ma in ultima analisi sono molto meno importanti dei voti degli elettori. La democrazia non garantisce la scelta dei politici che amano di più il proprio popolo, ma assicura al popolo di controllare i propri politici. Arrivando a costringerli a curarsi di più della gente. E questa è il punto per cui l’amministrazione Obama ha affrontato in maniera così seria la questione della valuta cinese. In questa situazione, la politica portata avanti dal governo comunista della Cina di comprarsi i grandi capitalisti occidentali non è stata molto utile.

Negli Stati Uniti, prima delle elezioni di metà mandato, tutti i settori si aspettavano la sconfitta dei democratici. E dopo le elezioni, il governo americano si è impegnato immediatamente per indebolire il dollaro. In passato, Obama ha collaborato con i comunisti come in uno spettacolo a due voci. E mentre aumentava la pressione dell’opinione pubblica, continuava a mandare dirigenti del suo governo in Cina per negoziare sulla rivalutazione dello yuan renminbi. Se anche il premier Wen Jiabao ha sostenuto di essere anche troppo paziente, la questione non si è risolta. I capitalisti di Cina e Stati Uniti hanno continuato a fare affari redditizi, mentre le popolazioni dei due Paesi sono rimaste povere e la recessione economica globale è continuata.

La “Terza guerra mondiale”

Ora, gli americani hanno costretto l’amministrazione guidata da Barack Obama a scegliere fra i contributi per le campagne elettorali e i voti. All’improvviso, il governo statunitense è sembrato in grado di lavorare verso una soluzione del problema. Lo yuan è sotto il controllo del primo ministro cinese, ma la finanza internazionale è sotto il controllo degli Stati Uniti. Il controllo del Partito comunista cinese, nella realtà, non è così forte come quando recitavano nello spettacolo a due voci. Di conseguenza, quando il governo americano si è messo in moto, il dollaro si è immediatamente deprezzato. Le esportazioni dovrebbero iniziare a crescere, mentre crollerà l’export. Si spera che l’occupazione cresca di conseguenza. Un giornale scandalistico francese ha definito tutta questa storia “la Terza guerra mondiale”. Non è la guerra nucleare che temevamo qualche decennio fa; è una guerra di valute.

Siamo in grado di predire come finirà questa guerra. Gli Stati Uniti, che sono ancora il Paese più potente del mondo, si unirà con la grande maggioranza delle nazioni libere per contrastare questi dittatori economici. Anche perché i grandi capitalisti che iniziano a governare la Cina non sono assolutamente contrari alla democrazia di tipo occidentale. Il G20 francese, che si svolgerà a Lione dopo il fallimento di quello di Seoul, è l’ultimo campo di negoziati prima della guerra. Gli Stati Uniti hanno preparato il campo di battaglia: si verificherà un apprezzamento dello yuan se il governo cinese desidera il negoziato. Ma si verificherà un apprezzamento dello yuan anche se Pechino decide di non collaborare. Eppure, le conseguenze di un negoziato o di un mancato negoziato sono totalmente differenti.

Se il governo cinese prende da solo l’iniziativa di aumentare il valore dello yuan, e di conseguenza si apre all’importazione per il consumo interno, allora la guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina passerà in secondo piano, l’economia globale inizierà a riprendersi e l’inflazione interna alla Cina inizierà a declinare. Questo bilanciamento commerciale sarebbe di grande vantaggio per la Cina e per il mondo, senza provocare gravi conseguenze. Ovviamente si ridurranno i guadagni dei capitalisti mentre si restringerà la distanza fra ricchi e poveri. È quasi certo, però, che Wen Jiabao si opporrà a questa strada.

Il risultato di questa sua resistenza produrrà una guerra mondiale sulla valuta, con le nazioni che alzeranno barriere commerciali ai confini. Di conseguenza le esportazioni cinesi diminuiranno e la sua economia rallenterà, con il risultato di vedere aumentare l’inflazione. La stessa Cina cadrà in una guerra civile, e quando non va bene per il popolo può andare bene per il Partito?

Io spero che le persone all’interno del Partito che hanno una visione di insieme si sforzino di pensare con freddezza e chiarezza. Che cosa è più importante, l’immediato benessere dei grandi capitalisti o la salvezza della nazione?