TRANSCEND Media Service Il premio per la pace occidentale Un altro abuso del comitato per il premio Nobel per la Pace al fine di promuovere la politica estera occidentale, dicasi USA. L’anno scorso il premio per un discorso a cui fece seguito nient’altro che la rottamazione di alcuni mostri nucleari fuori moda per spianare la via a un importante riarmo nucleare USA con testate e vettore di armi tripod (treppiede, ovvero armi basate a terra, in mare e nello spazio, ndt) protestando contro eventuali tagli britannici ai Trident. Ma, letteralmente nel testamento di Nobel del 1895, il cui denaro viene oggi amministrato dal comitato promotore, il premio riguardava la riduzione di forze armate permanenti. Quest’anno si dà un premio per diritti civili concernenti questioni nazionali in un paese visto dagli USA come il loro maggiore concorrente, la Cina, in maniera ben lontana da qualunque riduzione di forze armate oggetto della preoccupazione di Nobel per ll’armonia fra le nazioni. Ma la promozione dei diritti umani civili e politici in generale e della democrazia in particolare non contribuisce alla pace fra le nazioni e gli stati? La politologia occidentale ha prodotto questa tesi sulla “pace democratica” secondo un’antica tradizione occidentale. Qualunque cosa pensi l’Occidente, quello che ha è produttivo di pace, come il cristianesimo, il commercio, le istituzioni occidentali, i suoi sport, le sue lingue, come l’inglese. Combinando il tutto si ottiene un “colonialismo per la pace”; oggi, i diritti umani individualisti occidentali e la democrazia. Il blocco orientale dell’Occidente vi aggiunse che i paesi socialisti non entrano in guerra l’uno con l’altro. Commettono tutti lo stesso errore logico confondendo i livelli di analisi. La pace, come la violenza, come il conflitto, è una relazione e non può essere ridotta ad attributi delle parti. Essi sono certamente importanti, ma non sono né necessari né sufficienti. Così, I quattro paesi più belligeranti degli ultimi secoli, misurati secondo la partecipazione alle guerre divisa per il numero d’anni della loro esistenza, sono gli Stati Uniti d’America, Israele, l’Impero Ottomano e il Regno Unito (Inghilterra). Le loro democrazie e i loro diritti civili non hanno impedito enormi aggressioni, compreso il vuoto lasciato dopo gli Ottomani stessi. La democrazia nel senso di dialogo, di reciproca esplorazione senza presunzione di monopolio della ragione o del torto da parte degli interlocutori, che mira a un consenso ricco e creativo piuttosto che a un’opinione di maggioranza, è una formula eccellente per la nonviolenza. La strada è la pace nel senso di riduzione della violenza diretta, e passa per la soluzione del conflitto mediante il dialogo, ma attraverso i confini del conflitto, non solo nell’ambito di ciascuna parte. La democrazia mondiale, nel senso di un’Assemblea dei Popoli in un’ONU senza veti e con un Consiglio di Pace è una formula, ma molto avversata dagli USA e dall’Occidente. E per quanto riguarda i diritti umani sociali ed economici della convenzione del 1966, non ratificata dagli USA, forse che essi non conducono alla pace nel senso di meno sofferenza dovuta alla violenza strutturale all’interno degli stati? Sì, ma non c’è prova che gli stati ricchi siano più aggressivi a livello internazionale e quelli poveri di meno. La Cina ha fatto passi da gigante a questo proposito, sollevando fra il 1991 e il 2004 ben 400 milioni di persone dalla miseria al livello di vita della classe medio-bassa. Essi seguono la teoria e la pratica dello sviluppo dell’Asia dell’Est di Giappone, Taiwan, Corea del Sud: per primo la distribuzione e le infrastrutture in condizioni autoritarie, quindi crescita economica e “apertura”. Ecco dove entrano in gioco i diritti umani civili e politici. La Cina è da tempo in tale fase come evidenziato dai 30 milioni di suoi cittadini che viaggiano all’estero ogni anno, e ritornano. E annualmente ci sono qualcosa come 80.000 aperte rivolte riguardo a deficit di molti tipi in un paese incredibilmente dinamico. Il premio a Liu Xiaobo arriva vent’anni troppo tardi, e anche in tal caso avrebbe nulla o ben poco a che fare con la pace internazionale. Sarebbe stato significativo lo stesso premio a prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane per aver combattuto l’occupazione della propria terra. Sarebbe stato significativo un premio ai sindaci di Hiroshima per le loro conferenze di pace, il punto 3 secondo Nobel. Ma andrebbero contro i criteri per un “premio per la pace” in base alla politica estera USA e quindi norvegese. Non conosco le ragioni per le quali il governo cinese consideri Liu Xiaobo un criminale. Ma conosco il più importante scandalo giudiziario nella storia norvegese: l’arresto di Arne Treholt accusato di spionaggio per l’Unione Sovietica nel 1984, condannato nel 1985 a 20 anni di cui ne fece 8 e mezzoessendo stato il primo fischiettatore (whistle-blower): “Potrebbe aver spiato per la pace”. E di fatto fu così: egli operò come sottosegretario agli affari oceanici con il rinomatissimo Jens Evensen, negoziando sul problema delle acque dell’Artico durante la Guerra Fredda con l’Unione Sovietica, migliorando le relazioni fra i due stati anche aldilà degli affari oceanici (che si tradusse quest’anno, 35 anni dopo, in un buon compromesso per la disputata linea di divisione). Poco tempo fa arrivò la notizia esplosiva: un funzionario della polizia segreta di stato norvegese ha confessato che la prova fu contraffatta. Senza prove di sorta di materiale confidenziale passato ai sovietici, avevano fabbricato “la prova” che Treholt avesse ricevuto denaro contante: comprarono dei dollari, li cacciarono in una valigia e li fotografarono all’ufficio di polizia di Oslo. Con tanto di testimoni e prove tecniche. Era chiara la cooperazione con la CIA. Sul versante norvegese lo sapevano non solo i funzionari di polizia bensì, in quanto giudicI, l’attuale magistrato della Corte Suprema, e i procuratori generali per la Norvegia e per Oslo, oppure furono degli imperdonabili creduloni. Speriamo ora che qualunque prova contro Liu Xiaobo non sia fabbricata, che i procuratori e i giudici non facciano parte di alcun complotto. Speriamo che la Cina non stia operando con le stesse modalità dei norvegesi, ma sia più prossima allo stato di diritto. E speriamo che Jagland, ex-primo ministro e attuale capo del comitato del Premio Nobel, chiaramente voglioso di emettere certificati di cattiva condotta altrui, si dedichi ora interamente a ripulire il proprio partito e il proprio paese. E che la gigantesca opera di Evensen e Treholt tesa a rompere la psicosi polarizzante della Guerra Fredda sia debitamente apprezzata. Titolo originale: The Western Peace Prize http://www.transcend.org/tms/2010/10/the-western-peace-prize/ |