http://www.ilsole24ore.com
09 novembre 2010

Voto in Myanmar, 10 mila in fuga
di Marco Masciaga

NEW DELHI Nelle intenzioni del regime birmano le elezioni di domenica scorsa, le prime in 20 anni, avrebbero dovuto sancire l'inizio di una nuova stagione all'insegna della stabilità sul fronte domestico e di una maggiore accettabilità su quello internazionale. A 24 ore dalla chiusura dei seggi, il leader della giunta generale Than Shwe si trova invece alle prese con un'insurrezione armata che sta spingendo migliaia di persone al di là del confine con la Thailandia e con alcune delle critiche più severe mai ricevute, in primis dal presidente americano Barack Obama che parla di «elezioni rubate».

Gli incidenti più gravi sono iniziati domenica e sono proseguiti ieri nella città di Myawaddy dove l'esercito regolare si è scontrato con una delle milizie che fanno capo ai karen, una delle principali minoranze etniche del paese. Secondo alcune fonti negli scontri ci sarebbero stati tre morti, mentre è certo che circa 10mila persone, nelle ultime ore abbiano cercato riparo al di là del confine con Thailandia.

La concomitanza tra il voto e il riaccendersi di uno dei tanti conflitti etnici che costellano le regioni disposte intorno al bacino del fiume Irrawaddy non è casuale. Nei piani del regime le elezioni di domenica avrebbero dovuto sancire un nuovo status quo in cui le milizie etniche ostili al governo centrale sarebbero confluite nella Border Guard Force, organizzazione pensata per proteggere i confini e contribuire all'assimilazione delle popolazioni che abitano le regioni più periferiche del paese. Un progetto che secondo David Mathieson, un senior researcher di Human Rights Watch, è fallito. «Le elezioni - spiega - non hanno risolto nessuna delle cause dietro la guerra civile». Non a caso i combattenti di etnia karen che nelle ultime ore hanno attaccato le truppe regolari e il posto di frontiera con la Thailandia appartengono alla Democratic Karen Buddhist Army, una formazione che si era apertamente opposta ai piani di assorbimento del governo.

Una posizione ostile alla trattativa che li accomuna a molti dei gruppi che formano quel 35% di popolazione che non fa parte all'etnia dominante birmana e che, in misura più o meno intransigente, si sono sempre opposti a qualunque forma di controllo fin dall'indipendenza conquistata nel 1948. Un quadro di instabilità che il voto non ha fatto che esacerbare, specialmente in quelle zone in cui la giunta militare si è rifiutata di installare dei seggi (ufficialmente per ragioni di sicurezza, secondo i suoi oppositori per evitare una sconfitta) oppure ha creato dei partiti fantoccio sperando di intercettare il voto etnico.

Se le elezioni hanno riaperto vecchie ferite sul fronte domestico non si può certo dire che, con la leader democratica Aung San Suu Kyi ancora agli arresti domiciliari, le cose siano andate meglio sul piano internazionale. Nonostante i media ufficiali birmani abbiano raccontato di elettori che esprimevano le proprie preferenze in maniera «libera e felice», il voto di domenica è stato criticato non solo da Obama ma anche in Europa e in Giappone.

top