http://www.articolo21.org Elezioni del 2010 in Birmania e Costituzione del 2008: Venti anni dopo l’annullamento dei risultati delle elezioni del 1990, nelle quali il popolo birmano aveva votato in massa per porre fine al governo dei militari, il regime militare birmano si sta preparando ad un’altra consultazione elettorale. In tale processo il regime ha intensificato gli attacchi contro i gruppi etnici, continua a mantenere in stato di detenzione Daw Aung San Suu Kyi e altri leader dell’opposizione e ha richiesto che i gruppi a favore del cessate il fuoco vengano posti sotto il controllo dell’esercito del regime. La comunità internazionale si sta adoperando nel tentativo di rendere “libero ed equo” il processo elettorale, ma così facendo trascura il principale ostacolo alla democratizzazione della Birmania: la Costituzione del 2008. Questa costituzione, che entrerà in vigore come conseguenza delle elezioni del 2010, costituisce il meccanismo chiave in base al quale i generali birmani si garantiranno una salda presa sul potere, travestendo il regime militare di abiti civili. La costituzione redatta dai militari garantisce un ulteriore consolidamento del dominio dei militari stessi, assegnando agli ufficiali dell’esercito le cariche più alte del potere e ponendoli al di sopra della legge, fornendo loro un’immunità totale rispetto alle atrocità del passato e rinsaldando il controllo militare su tutti gli aspetti della vita del popolo birmano. Qualunque speranza che le elezioni introducano un “cambiamento graduale” è stata completamente cancellata dal veto imposto dal potere militare su qualsivoglia emendamento alla costituzione. Redazione della costituzione e referendum: un processo unilaterale, non democratico e che non promuove la riconciliazione Le origini del processo peraltro completamente non democratico di redazione della costituzione vanno fatte risalire al rifiuto da parte del regime di riconoscere i risultati delle elezioni del maggio 1990, quando la Lega Nazionale per la Democrazia di Daw Aung San Suu Kyi e i partiti di opposizione in rappresentanza dei gruppi etnici si aggiudicarono oltre l’80% dei seggi in Parlamento. Il processo di redazione - L’organismo di regime incaricato della redazione della costituzione la Convenzione Nazionale costituita nel 1993 ha escluso da qualunque possibilità di partecipare al processo costituzionale l’opposizione democraticamente eletta e le voci indipendenti delle comunità etniche. - Il processo di redazione non è stato democratico, si è svolto nella massima segretezza ed è stato pesantemente manipolato dai militari. Il referendum costituzionale del 2008 - Prima del referendum erano ben pochi coloro che avevano avuto la possibilità di vedere o di leggere la costituzione. Chiunque osasse criticare il processo e i suoi principi poteva essere condannato a pene che prevedevano fino a 20 anni di carcere. - Nonostante la pesante devastazione causata dal ciclone Nargis, che ha mietuto oltre 140.000 vittime, il regime ha comunque deciso di andare avanti con il referendum, malgrado gli appelli nazionali e internazionali per un rinvio. - Il regime ha fatto ricorso a minacce, coercizione, disinformazione, inganni e violenza per influenzare o costringere gli elettori ad approvare la bozza di costituzione con una percentuale (il 92,4%) che lascia adito a numerosi dubbi. - Il regime ha rifiutato qualsivoglia monitoraggio esterno del referendum, respingendo l’offerta delle Nazioni Unite di monitoraggio e assistenza tecnica. Il male si cela nei dettagli: vizi fondamentali della Costituzione Viola le norme internazionali sui diritti umani e lo stato di diritto Piuttosto che garantire la promozione e la protezione dei diritti umani, la costituzione del 2008 permette ai militari di violare i diritti fondamentali del popolo in nome della sicurezza dello Stato e dell’ordine pubblico. Garantisce al regime un’immunità completa nei confronti delle passate violazioni dei diritti umani, come pure per quelle future commesse durante uno “stato di emergenza”. Pone i militari al di sopra della legge, non assegnando alla Corte Suprema giurisdizione alcuna sulle forze militari. Attribuisce al Comandante in capo potere di influenza sulla dichiarazione dello “stato di emergenza” e all’imposizione della legge marziale. Assegna inoltre all’esercito il potere esclusivo durante il periodo di legge marziale. Si colloca molto al di sotto delle norme internazionali in materia di eguaglianza di genere Non permette alle donne di detenere cariche di potere, riservando determinati incarichi a soggetti con esperienza militare, descrivendo inoltre alcune cariche non specificate come “adatte esclusivamente agli uomini”. Vieta ad AUNG SAN SUU KYI e ai leader dell’opposizione di candidarsi alle elezioni e l’accesso alle cariche pubbliche La costituzione vieta a tutti gli effetti a Daw Aung San Suu Kyi di ricoprire la presidenza, impedisce ai prigionieri politici di candidarsi a cariche pubbliche e vieta inoltre la partecipazione al processo elettorale dei principali leader dei gruppi etnici e pro-democratici. Attualmente in Birmania vi sono oltre 2100 prigionieri politici che stanno scontando lunghe condanne fino a 106 anni di carcere. Nega il federalismo e centralizza il controllo militare sugli stati etnici La costituzione del 2008 non permette la riconciliazione tra i militari e le comunità e i gruppi etnici armati. Non vi è riconoscimento alcuno della richiesta già presentata da tempo di uguaglianza e di autodeterminazione e di un sistema federale. La costituzione non riconosce nemmeno il pluralismo etnico e linguistico. La costituzione consolida il controllo militare sulle aree abitate dai gruppi etnici, essendo stato assegnato ai militari il ruolo di nominare i principali incarichi ministeriali dello Stato e il ministro degli affari di confine. La costituzione ostacola fortemente la possibilità per gli appartenenti ai gruppi etnici di ricoprire cariche di effettivo potere, tra cui quella di presidente. Consolida il regime militare L’esercito manterrà il proprio ruolo quale parte integrante ed essenziale del processo politico e di governo a tutti i livelli. Il sistema non prevede pesi e contrappesi contro il potere dei militari; in particolare, il Comandante in capo ha il completo controllo sulla politica e sulla spesa in materia di difesa. I militari occuperanno il 25% dei seggi del Parlamento nazionale, il 25% dei seggi dei Parlamenti statali e regionali e controlleranno tre ministeri chiave: difesa, interni e affari di confine. La costituzione garantisce il perpetuarsi del regime militare attraverso la costituzione di un potente Consiglio Nazionale per la difesa e la sicurezza, assegnando ai militari posizioni maggioritarie al suo interno. Gli emendamenti alla costituzione sono praticamente impossibili senza il consenso dei militari. La Costituzione del 2008 e le Elezioni del 2010 non risolvono i conflitti in Birmania Un fatto riconosciuto a livello internazionale è che le costituzioni concepite e adottate in situazioni di conflitto o post-conflittuali dovrebbero costituire il risultato di processi di negoziazione, riconciliazione e costruzione della fiducia per poter svolgere positivamente il proprio ruolo. Una costituzione che consolida sistematicamente l’ingiustizia non può che prolungare il conflitto e l’instabilità in un paese etnicamente variegato quale la Birmania. Un governo dominato costantemente dagli stessi militari continuerà a dimostrare il proprio disprezzo per i principi democratici, lo sviluppo socio-economico, la sostenibilità ambientale, l’eguaglianza di genere e altre questioni sociali della massima rilevanza. In base alle regole della costituzione del 2008 redatta dai militari, le elezioni del 2010 non solo non interverranno sulle cause alla radice della crisi birmana, ma non faranno altro che consolidare il potere militare, seminando ulteriore instabilità e la possibilità del conflitto armato. Il movimento birmano per la democrazia e i diritti dei gruppi etnici ha sviluppato tre criteri chiave che il regime deve soddisfare affinché le elezioni costituiscano un passo verso la democratizzazione. 1. Rilascio di tutti i prigionieri politici. 2. Cessazione delle ostilità contro i gruppi etnici e le forze pro-democratiche. 3. Dialogo inclusivo con i principali portatori di interessi dei gruppi etnici e pro-democratici; revisione della costituzione del 2008. Fino a quando il regime non soddisferà questi criteri, la comunità internazionale dovrà qualificare le elezioni come non democratiche, rifiutandosi di riconoscerne i risultati. Questi criteri costituiscono le condizioni minime che il regime dovrà soddisfare affinché possa essere avviato un processo di riconciliazione nazionale e di autentica democratizzazione. CHI SIAMO: Il movimento per la democrazia e i diritti dei gruppi etnici rappresenta la più vasta iniziativa di cooperazione multietnica tra organizzazioni politiche e della società civile interne al paese e in esilio, operanti per la riconciliazione nazionale, la pace e la libertà in Birmania. National Council of the Union of Burma (NCUB) Democratic Alliance of Burma (DAB) National Democratic Front (NDF) National League for Democracy Liberated Area (NLD-LA) Members of Parliamentary Union (MPU) National Coalition Government of the Union of Burma (NCGUB) Forum for Democracy in Burma (FDB) Women’s League of Burma (WLB) Students and Youth Congress of Burma (SYCB) Nationalities Youth Forum (NYF)
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