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4 Settembre 2010

Lotta Popolare: Intervista Con Mohammed Khatib
di Elena Arantes

Uno dei componenti di rilievo nella lotta popolare di Bil'in parla del suo arresto e incriminazione nel contesto del movimento nonviolento palestinese.

 - Ramallah 4 Settembre 2010 Nena News – Nel caldo torrido dell’estate a Ramallah, Mohammed Khatib passa il Ramadan a lavorare.  All’inizio del mese il suo viaggio in Germania per andare a trovare suo fratello non è andato in porto: la polizia israeliana di frontiera l’ha bloccato al ponte di Allenby, rifiutando il suo passaggio in Giordania e rispedendolo al suo villaggio di Bil’in, anche se Khatib aveva in mano un regolare permesso ottenuto per lasciare il paese.

Così Khatib, figura di rilievo nella lotta popolare di Bil’in, segretario del consiglio comunale del villaggio e coordinatore del Comitato di coordinamento della lotta popolare nonviolenta di tutti i territori occupati palestinesi, ha incontrato lo staff di NENA news nel suo ufficio di Ramallah per raccontare la lotta popolare, il suo arresto e incriminazione,  il processo legale militare che sta affrontando.

Sign. Khatib, può raccontarci delle circostanze che hanno portato al recente arresto?

Sì. Il villaggio di Bil’in, come sa, lotta contro il Muro dal febbraio del 2005. Dal quel momento ogni venerdì organizziamo una manifestazione. Molta gente di diversi luoghi in Cisgiordania, di Bil’in stessa, e molti attivisti internazionali e israeliani vengono per partecipare, per protestare contro il Muro, che separa i contadini dalla loro terra, la loro fonte di sostengo e vita.

Ci sono anche altre forme di lotta che Bil’in porta avanti oltre alle manifestazioni, come ad esempio le battaglie legali in Israele e all’estero, contatti costanti con i media, ecc.

L’IDF [esercito israeliano, ndr] ha provato molte volte a mettere fine a questa lotta, tramite diverse forme di repressione: utilizzano armi come i lacrimogeni, proiettili rivestiti di gomma, granate assordanti…e impiegano diversi metodi di punizione collettiva, facendo incursioni nel villaggio di notte, rifiutando di dare permessi agli abitanti per recarsi in Israele, imponendo chiusure militari al villaggio in modo che israeliani e stranieri non possano entrare, arrestando attivisti israeliani…

Recentemente hanno deciso di provare a neutralizzare la lotta arrestando i palestinesi che vi partecipano…soprattutto gli organizzatori della lotta, e io ero uno di questi.

Come l’hanno arrestata?

L’esercito mi ha arrestato il 4 agosto 2009, con altri 7 abitanti del villaggio. I soldati hanno sfondato la mia porta di casa di notte, verso le due. Erano mascherati, i miei bambini erano spaventati. Mi hanno portato alla prigione di Ofer e il giorno dopo mi hanno interrogato. Mi hanno chiesto il mio nome, se avevo un soprannome e se facevo parte di quello che chiamavano il ‘Comitato del muro’. Ho risposto che ero il segretario del consiglio municipale di Bil’in, che questo era il mio ruolo. Hanno continuato a chiedere se facevo parte del ‘Comitato del muro’ e ho risposto: ‘Se mi chiedete questo mille volte vi darò la stessa risposta’.

Perché mi ripetevano le stesse domande? Perché poco prima che tutto questo accadesse, avevano arrestato tre adolescenti del villaggio, sempre di notte, accusati di aver lanciato pietre. I ragazzi hanno poi confermato di essere stati tenuti sotto pressione durante l’interrogatorio. I ragazzi hanno dichiarato che sono state loro mostrate delle fotografie di persone, scattate durante le manifestazioni con dei nomi scritti sotto, e che è stato chiesto loro di leggere i nomi e firmare quella che sarebbe stata la loro testimonianza. Hanno chiesto ai ragazzi chi li stava incitando, e loro hanno finito per dire il “Comitato.”

I ragazzi hanno fatto i nomi di circa 60 persone e i risultato è stato che l’esercito israeliano ha arrestato circa 40 abitanti di Bil’in, cioè tutti i “sospetti” di età superiore agli 11 anni. Dopo di ché l’esercito ha classificato tutti gli schedati in diverse categorie, “direzione”, “bambini”, “lanciatori di pietre”, ecc. E’ stato allora che mi hanno individuato insieme ad Adeeb [Abu Rahma, ndr], Abdallah [Abu Rahma, ndr] e un paio di altri come i membri del ‘Comitato del muro’.

Per questo mi hanno accusato di incitamento alla violenza, mentre durante l’interrogatorio mi sono state poste solo quattro o cinque domande.

Adesso il mio processo è in corso. Quando l’accusa ha portato i ragazzi a testimoniare, questi ultimi hanno detto che non mi conoscevano e che erano stati intimiditi. Il giudice ha deciso che si trattava di una falsa testimonianza e ha accolto come prova solo i testimoni che i ragazzi avevano riconosciuto durante gli interrogatori. 

Ma non l’hanno tenuta in detenzione amministrativa come hanno fatto con Abdallah e Adeeb*…

No, ma mi volevano incarcerare fino alla fine del mio processo. E’ questo il gioco: qui non si è “innocenti fino a prova contraria”, anzi è l’opposto. Sono stato estremamente fortunato, perché l’unica prova che hanno portato davanti al giudice con una data precisa è stata la foto di un uomo che tirava pietre e hanno detto che ero io…a quel punto mi stavano anche incriminando per aver lanciato pietre.

Il giudice ha guardato la foto, poi ha guardato me. Ha guardato di nuovo la foto e ha detto: ‘Ma non  è lui.’ L’accusa ha risposto che se quest’uomo fossi io o no, era un fatto secondario, la cosa importante era che i ragazzi avessero firmato una testimonianza dicendo che potevo essere io e dunque per loro era plausibile.

Ma siccome la foto riportava una precisa data, il mio avvocato, Gaby Laski, ha potuto mostrare loro il mio passaporto, su cui c’erano i timbri dei visti che dimostravano che in quella data precisa mi trovavo all’estero. Quindi, sono stato davvero fortunato. Più degli altri, perché il giudice mi ha lasciato andare dopo aver pagato una cauzione. Con una condizione, però: ogni venerdì dalle 12 alle 17 devo recarmi in una stazione di polizia (israeliana) e firmare la mia presenza, in modo che non posso partecipare alle manifestazioni.

Per Adeeb e Abadallah, non hanno nessuna prova contro di loro, nessuna. E tutti e due sono in carcere da 14 mesi ormai, per niente, solo a causa delle testimonianze rilasciate dai ragazzi.

Ma mi vogliono tuttora: tre settimane fa non mi hanno lasciato passare da Allenby.

…Anche se aveva il permesso scritto dal tribunale per partire?

Sì, ma lo Shabak [acronimo ufficiale del Shin Bet, ndr] ha detto che non potevo partire in ogni caso. Quando ho fatto appello al tribunale, hanno detto che lo Shabak ha le proprie ragioni, in cui loro non si immischiano. Non volevano che io partissi, quindi non sono partito, anche se c’era un permesso contrario.

Ho cercato di rimanere ad Allenby per protestare. Ho detto loro: ‘Se lo Shabak dice che non ho il permesso di partire, voglio vederli. Voglio capire cosa pensano che io abbia fatto.’ Ma mi hanno risposto: ‘No, non vogliono vederti. L’ufficiale della tua zona non vuole che tu parta.’

Quindi penso che si tratti di una questione personale, in passato questo stesso ufficiale mi ha minacciato.

Allora sa di chi si tratta.

Sì, una volta mi ha detto che se continuo così, ciò che è capitato a Bassem** capiterà pure a me. Questo l’ho riferito alla stampa, così si è arrabbiato.

Può raccontarci un po’ della strategia creativa di Bil’in? Le persone che la conoscono bene, come Uri Avnery, hanno affermato che lei è una delle forze portanti dietro la creatività, che è il cuore delle manifestazioni…sicuramente questo rappresenta uno dei motivi principali per cui le proteste di Bil’in sono così largamente conosciute.

Sì. Credo che non possiamo semplicemente denunciare dicendo ‘non potete fare questo’, ma che invece dobbiamo fare in modo che la comunità internazionale si renda conto della situazione qui. Se parli soltanto, nessuno ti sente. Ma se mostri esempi, le persone arriveranno da sole alle idee che stanno dietro alle proteste.

Dopo un po’, gli abitanti di Bil’in hanno capito come dovevamo andare avanti. Tutti hanno cominciato ad avere delle idee, e a proporle. […] E’ diventato una sorta di ‘competizione in creatività’.

Questo si chiama movimento; non c’è una sola persona dietro le idee, no. Tutti possono partecipare.

Sa, dopo che avevano attaccato la Freedom flottiglia che andava a Gaza, abbiamo costruito una nave. L’idea…mi creda, almeno 12 persone del villaggio mi si sono avvicinate per dire ‘che ne pensi se costruiamo una nave?’…Ognuno è venuto a dire ‘costruiamo una nave!’, sa, ‘Facciamo una nave!’, ‘costruiamo una nave’!

Quindi ci siamo messi d’accordo con quelli di Ni’lin e quelli di Ma’asara che ogni villaggio avrebbe costruito una nave per la marcia di quel venerdì. Ma siccome c’è  molta esperienza a Bil’in, quando abbiamo cominciato a costruirla, sono venute molte persone […] L’abbiamo costruita vicino al centro del villaggio, con un falegname locale. All’inizio pensavamo di fare una nave piccola e di portarla con le nostre braccia. Ma mentre la stavamo costruendo, sono cominciate a venirci nuove idee e mio fratello ha detto: ‘Sapete cosa? Costruiamola intorno ad una macchina.’

Abbiamo deciso poi di farla cosi grande da ricoprire una macchina. Il proprietario della macchina ci ha detto ‘Va bene, vi presto la macchina per 300 NIS [circa 60 euro]…se la restituite. Altrimenti, prendo 1000 NIS’ [circa 200 euro]. Era una macchina vecchia…così abbiamo costruito la nave, e quando abbiamo finito, sembrava una nave vera.

E’ questo il processo.

…Oppure con Avatar, ad esempio: Io non avevo visto il film prima di avere questa idea. Una donna straniera che lavora qui mi ha contattato e mi ha detto: ‘Ho un’idea che forse potreste utilizzare per le manifestazioni.’ Ha detto di aver scritto un articolo sul film Avatar e che molti pensano alla situazione in Palestina quando vedono Avatar. ‘Quindi volevo dirtelo’, ha detto, ‘e non so esattamente cosa potete fare…magari potete fare qualche cartellone.’

Ma sapevamo che se avremmo fatto dei cartelloni, i media non ci avrebbero fatto caso. Quindi abbiamo guardato il film, e mentre guardavamo, è arrivata l’idea: dovevamo ricreare i personaggi…se avessimo portato i personaggi con noi allora sì che i media ci avrebbero dato attenzione.

Dopo di ché abbiamo cominciato a cercare chi sarebbe stato in grado di incarnare ogni personaggio e chi sarebbe stato capace di pensare al trucco e ai costumi nel modo giusto.

Qualcuno ha detto ‘Conosco la persona giusta, che sta nel villaggio accanto’. Non è uno famoso, nessuno lo conosce, dipinge e fa altre cose del genere. Ma ha una sensibilità, sa? Un istinto artistico. Quindi l’abbiamo contattato e abbiamo guardato il film insieme. Gli abbiamo detto: ‘Abbiamo bisogno di questo uomo e questa donna e questo personaggio e quello lì. Ce la fai?’ E lui ha risposto, “Sì, posso.’ Così abbiamo comprato i materiali e i trucchi e lui l’ha fatto. E ha suscitato molta attenzione.

Poi ci ha contattato James Cameron, ha detto che gli farebbe piacere venire qui e vedere Bil’in. Vuole capire meglio la nostra situazione.

…Anche l’idea di marciare con Ghandi, Martin Luther King Jr. e Mandela. Questa è venuta dopo che avevamo trovato l’artista che ci ha fatto Avatar. Lui ha realizzato anche Ghandi …e il nostro Ghandi sembrava quello vero. Come vede, queste sono state tutte idee collettive.

La lotta nonviolenta si è diffusa al punto in cui viene spesso chiamata un “movimento”, come l’ha appena chiamata lei. Quale è l’idea centrale che sta dietro a questo movimento?

Che rifiutiamo di morire in silenzio. L’idea è che vogliamo dire a tutti che siamo sotto occupazione, non viviamo una vita normale. Vogliamo anche mostrare la realtà di ciò che accade qui: questa non è una guerra. Alcuni si sono fatti l’idea che questo è un conflitto tra due eserciti. Ma non è così; da un lato ci sono i civili che stanno difendendo le proprie vite, la propria umanità, la propria dignità e dall’altro c’è l’esercito dell’occupazione […]. Stiamo chiedendo alla comunità internazionale di implementare la legge internazionale e di costringere la forza occupante, Israele, a rispettare il diritto internazionale.

E se Israele e la comunità internazionale non lo faranno, allora continueremo noi a provare a far valere la legge internazionale in un modo popolare in Cisgiordania e a Gaza. Vogliamo spiegare a tutti, tramite immagini diverse, idee diverse e in grado di raggiungere le persone, che non si tratta di un “conflitto”, ma di un’occupazione.  (Nena News)

Note:

* Mentre  Abdallah Abu Rahmah è stato condannato il 24 agosto per “incitamento” e “organizzazione di manifestazioni illegali” e potrebbe scontare fino a dieci anni in carcere, il 31 agosto il tribunale militare israeliano di appello ha ufficialmente respinto una petizione legale per il rilascio di Adeeb Abu Rahmah dalla detenzione amministrativa.

**Bassam Abu Rahma, abitante di Bil’in ucciso durante una manifestazione venerdì 17 aprile, 2009, colpito all’addome da un lacrimogeno sparato a un soldato israeliano ad altezza d’uomo.


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