Gli Esercizi Spirituali. Il mio digiuno pubblico
don Maurizio Mazzetto
Vicenza, 5-7 ottobre 2009


(Primo esercizio).

Nel Vangelo, Gesù invita a digiunare “nel segreto”, in umiltà e nascondimento, come esperienza di penitenza e di purificazione, così come consigliavano, in sintonia con la Legge mosaica, i maestri spirituali del tempo.
Ma è venuto un tempo nel quale altri maestri spirituali, come Gandhi, ad esempio, ci hanno insegnato che esiste pure, accanto al primo, un digiuno “politico”, il digiuno come forma di protesta e azione nonviolenta.
Qui l'accento cade sul messaggio da lanciare. Il digiuno diventa un grido, muto ed eloquente ad un tempo, rivolto alla società degli uomini. Espressione di una proposta di cambiamento, non solo individuale ma anche sociale.
Allora il digiuno avviene “in pubblico”. Non per esporre, orgogliosamente e presuntuosamente, le proprie capacità (superiori), bensì - in tutta umiltà (e fragilità, quella data da un corpo indebolito dalla mancanza di cibo) - per parlare, non solo con le parole ma con tutto il corpo, alla società che si ama e si vorrebbe diversa. Atto di amore, di donazione, di offerta di sé, per il miglioramento del vivere comune. Gesto che convalida il proprio dire ed il proprio operare per la giustizia e la pace e la salvaguardia del creato.
In questo caso, e in questo senso, il digiuno assume significato solo se è “visibile”, e collegabile ad altre azioni (di protesta e proposta). Isolato e sconosciuto non significa nulla. Mentre assume e nel contempo da forza ad altre scelte di impegno sociale.


(Secondo esercizio).

Con questi pensieri, scendo, il 5 ottobre 2009 – primo anniversario della Consultazione popolare autogestita sulla questione del Dal Molin! - dal colle amato di Monte Berico verso il Campo Marzo, dove mi aspetta il Camper con Elio che sarà il mio caro compagno di digiuno nei prossimi giorni.
Uno sguardo al Santuario, e un pensiero alla Madonna “che protegge la città di Vicenza”.
Camminando a fianco dei Portici, scorgo la grande cupola della Cattedrale: non posso non pensare ad una Chiesa Diocesana, la mia Chiesa, così pavida, nelle sue espressioni più rappresentative, nello schierarsi “oggi e qui”, per quel “Regno di giustizia e di pace” che lei, discepola di Cristo, è chiamata ad annunciare e a testimoniare. Prego, in silenzio e camminando, per lei.


(Terzo esercizio).

Giungo a quel Campo (Marzo) che non ha a che fare - come qualcuno sosteneva erroneamente nel passato - ... con la guerra (“Campo di Marte”, riandando all'epoca di Vicetia e al dio romano della guerra), bensì con la zona acquitrinosa (“campus marcius”) creata, nel passato dalle acque piovane e dalle inondazioni del vicino Retrone. A dire il vero, la guerra ha interessato questo ameno luogo cittadino, poiché nel secondo conflitto mondiale del '900, molti alberi qui furono abbattuti o danneggiati nei ripetuti bombardamenti aerei della città. Le guerre, si sa, devastano tutto: senza risparmiare uomini, animali, alberi, terreni, ...
Quanti e quali ricordi personali legati a questo luogo!
Non solo, quelli infantili, delle scorribande sulle giostre durante la “Festa dei Oto”, dedicata alla Madonna di Monte Berico;
ma anche, e soprattutto, quelli inerenti l'Azione artistica-sociale denominata “The Wandering Cemetery” (http://www.antersass.it/wandering_cemetery). È qui, infatti, che essa si è conclusa, quella notte del 9/10 giugno 2007, prima di formare il “Cimitero di guerra” installato sul Colle della Commenda: nel prato che vedo alla mia sinistra, mentre mi incammino verso il Camper dei digiunatori.


(Quarto esercizio).

Già la prima mattina siamo visitati da Vittorio, che parte di buon ora da Costabissara in bicicletta (con la bandiera della pace appesa ad un'asta), viene in città, si ferma alla Messa al Villaggio del sole, poi – come mi racconta – fa “sette giri” attorno alla Piazza Duomo: ... chissà che qualche monsignore della Curia (o il Vescovo stesso) si accorgano, e si ricordino che esiste un “problema” (della pace) qui in città; e che c'è un vuoto, grave, nella testimonianza cristiana della nostra Diocesi nel suo insieme. Così fa Vittorio, ogni mattina.
Si ferma a chiacchierare, ed io lo ascolto volentieri.
Mi racconta che suo padre... il 10 giugno 1940 (quel fatidico 10 giugno dell'entrata in guerra dell'Italia) tornò a casa con la notizia che un giovane, che studiava con la sorella di Vittorio all'Università di Verona, si rifiutò di farsi arruolare per la guerra: “Quello sì che che ha avuto coraggio! È il primo obiettore di coscienza del nostro paese!”, diceva il padre.
La famiglia abitava proprio in centro città (nell'attuale Piazza delle Poste), e Vittorio, allora ragazzo, “serviva Messa”, come chierichetto, in Duomo.
Mi racconta del padre, antifascista, arrestato e incarcerato per tre giorni, tra le apprensioni dei famigliari.
Ottima scuola, la sua, che ha dato buoni frutti.


(Quinto esercizio).

Scorrono, poi, le ore del giorno, con diverse e variegate visite: ciascuno, spesso, scarica qui il proprio io, il proprio bisogno di ascolto, la necessità di “dire la propria” sulle questioni (della pace e del movimento di resistenza al Dal Molin), ma anche di comunicare il proprio fardello di vita. Forse, o senz'altro, il fatto di essere un sacerdote mi favorisce.
Ma, ogni tanto, osservo le più variopinte figure mi passano davanti agli occhi. Questa è una posizione interessante per osservare il mondo degli umani. Alcuni, in passeggio, vengono dal viale centrale di Campo Marzo: pensionati che cercano di occupare il tempo, anziani con la compagnia del cagnolino, giovani sbandati e pieni di birra, immigrati senza lavoro che parlano in lingue a me sconosciute; altri, i più, provengono, in fiumana, dalla vicina stazione: studenti, impiegati, gente in viaggio per lavoro, belle signore con tacchi alti e impossibili, e così via. Ognuno con la sua foggia nel vestito e con la sua particolare andatura (quanti modi di camminare vi sono!).
Ah, “Il mondo è bello perché è vario” si diceva tempo fa, con quel senso, elementare, di umanità e tolleranza che oggi rischiamo di perdere del tutto, a tal punto si va diffondendo la xenofobia, l'omofobia, la paura del diverso, anzi la paura e basta. Un volto diverso dal nostro ci fa già paura, ci chiude in noi stessi, se non, talora, ci ripugna, facendoci allontanare o scontrare gli uni gli altri. Perché? A me la varietà fa sorridere (o, in certi casi, piangere). Rimango stupito; e imparo.


(Sesto esercizio)

Cala la sera. Per fortuna questo ottobre è, finora, mite, ed il freddo, che il digiuno aumenta nel corpo, non si fa sentire più di tanto. Ci vestiamo solo un po' di più, e attendiamo gli amici per la preghiera fissata per le ore 20. Si raduna un gruppo di persone, sotto il gazebo.
Si medita la Parola di Dio del giorno. Soprattutto il profeta Giona, inviato a Ninive, “la grande città”, per la conversione della stessa. Egli fugge, ha paura (di rimetterci la pelle), preferisce declinare l'invito: ma così non fa altro che aumentare il male ed il pericolo (la nave su cui si imbarca per andare lontano rischia il naufragio). La (nostra) de-responsabilizzazione aggrava i problemi del mondo, si diceva. Nessuno può e deve tirarsi fuori.
Si prega, con don Tonino Bello, con le sue sempre luminose, profonde, “pro-vocatorie”, quanto suggestive e poetiche, intuizioni spirituali.


(Settimo esercizio)

La notte, in camper, trascorre tranquilla, almeno per me. Un po' meno per Elio, che non dorme bene; infatti al mattino non è in forma, ma recupererà le forze nel pomeriggio, dopo un bel riposo.
La giornata trascorre serena, con molte visite di amici (due amiche di Pax Christi vengono apposta da Verona) e nuove persone che scoprono l'iniziativa del Digiuno pubblico per la prima volta. Arriva una signora anziana con la sua cagnolina. È nata nel 1914, ed ha passato, mi dice, “due guerre”: ... non ne vuole altre! Capisco la sapienza popolare che c'è nella nostra gente e l'insipienza dei politici, magari a loro volta strumentalizzati, ma che infinocchiano, con discorsi retorici e falsi, tanti cittadini inconsapevoli e distratti. Una volta come oggi.
Mi dedico, nei momenti “liberi”, a leggere qualcosa. Michele, in visita, mi ha regalato un libro sulla libertà di coscienza, così tanto proclamata e difesa, all'inizio, nelle democrazie occidentali, e, poi, messa seriamente in discussione e smentita nei comportamenti seguenti. Leggo pure i commenti lasciati dai visitatori nel quadernone del Digiuno: “Sempre resistere”, ha lasciato scritto Micol. Brava, ben detto!
Alla sera, la seconda occasione di preghiera comune. Leggiamo ancora il profeta Giona, il quale, al secondo appello del Signore, risponde, e va': “ 'Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta'. I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo”. Per evitare la distruzione (... anche noi lo vogliamo veramente, e non ce ne importa più nulla? talvolta me lo domando), si convertono (cioè cambiano vita), facendo... un “pubblico digiuno”. “... ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani...”: dalla malvagità alla benevolenza verso gli altri, dalla violenza alla nonviolenza. Solo attraverso queste strade c'è la salvezza, per tutti. La Parola ci parla, per l'oggi, eccome!
Con noi, stasera, c'è anche un amico, il pastore presbiteriano statunitense Frank Gibson, residente in California, ma in visita in Italia ogni tanto, dal momento che la moglie, conosciuta al tempo in cui lui era militare alla Ederle..., è di Thiene. Lo presento e lo invito ad intervenire, a dire qualcosa della sua... “conversione”, della sua attività per la pace. Fa accenno al fatto che determinò il suo radicale e definitiva conversione alla Pace: la Marcia su Washington, con il pastore Martin Luther King (era il 28 agosto 1963; “I have a dream...”, ricordate?). Frank ci nomina il suo motto di vita, una frase dello stesso King: “Credo fortemente che la verità non armata e l'amore senza condizioni avranno l'ultima parola nella realtà”. Siamo con lui. La stessa fede ci unisce.
Seguono altri interventi, tutti interessanti. Poi terminiamo con la recita del “Credo” di Dietrich Bonhoeffer, sempre supremo nella profondità dei pensieri e della fede.
Seconda notte in camper.


(Ottavo esercizio)

Il mattino del terzo giorno, al risveglio, prima che arrivi la gente, è propizio per una conversazione con Elio, di cui ammiro la generosità, l'essenzialità, la mitezza, la spiritualità. Mi racconta della sua, non facile, vita, fin dall'infanzia. Del suo atteggiamento di ora, delle sue frequentazioni e dei suoi nutrimenti spirituali. Ascolto e imparo.
Mi sento bene, solo un po' di sonnolenza e di debolezza, tipiche del digiuno prolungato. Rifletto e mi vado convincendo sempre di più di ciò che ho sempre detto quando qualcuno di noi si lamenta che... “ha fame”: “Noi non abbiamo fame, bensì appetito. La fame è un'altra cosa!”. A dire il vero, in questi tre giorni (che sono, peraltro, pochi), io non ho neppure fame, non ho brama di mangiare. Così mi vengono, in mente le parole dell'apostolo Paolo (che mi hanno sempre colpito, ed educato): “So vivere nella povertà come so vivere nell'abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Lettera ai Filippesi 4, 12-13).
La giornata trascorre tra visite, incontri, parole e sguardi. Verso sera, prima del mio rientro in Parrocchia (dove celebrerò l'Eucaristia un po' giù di voce, ma - me lo sentivo - uno sguardo più penetrante, derivato dall'essere purificato), viene a trovarmi Maria, con sua madre. Sono i suoi occhi puri, quelli di un'adolescente in cerca della vita e del suo significato, che mi restano impressi alla fine di questi giorni di digiuno; mentre, lentamente, con lo zaino, risalgo il colle da cui ero partito.
“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5, 8). Vedere è tutto (il resto, poi, cresce da sé). Ma per poterlo fare è necessario lasciarsi “accecare” dalla verità e dalla nonviolenza (che sono “antiche come le montagne”, diceva Gandhi), con “il pensiero, il cuore, la volontà, l'impegno, l'immaginazione”, così come mi scriveva un'amica, poco prima che partecipassi a questa (piccola) azione per la Pace. E con le sue parole vorrei terminare questo racconto dei miei... “Esercizi Spirituali”:
“Che la vostra presenza accechi il passante,
che il vostro silenzio assordi l'orecchio dell'indifferente,
che la vostra preghiera contamini la mente di chi non vuol capire,
che i vostri versi salgano in alto.”
Così sia!

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