Io Sono unImmigrato di John Kennedy Traduzione di Marianna Matullo © Donzelli Editore 2009 Mutuato da La Domenica di Repubblica 30 agosto 2009 al solo scopo divulgativo. L11 maggio 1831 Tocqueville, giovane aristocratico francese, sbarcò nel caotico porto di New York. Aveva attraversato loceano per cercare di capire le implicazioni che il nuovo esperimento democratico in corso sulla sponda opposta dellAtlantico avrebbe avuto per la civiltà europea. Per i successivi nove mesi, Tocqueville e il suo amico Gustave de Beaumont percorsero in lungo e in largo la parte orientale del continente, da Boston a Green Bay, da New Orleans fino al Québec, alla ricerca dellessenza della società americana. Tocqueville rimase affascinato da ciò che vide. Fu sbalordito dallenergia delle persone che stavano costruendo una nuova nazione, apprezzando le nuove istituzioni e gli ideali politici. Ma, sopra ogni cosa, rimase impressionato dallo spirito di uguaglianza che permeava la vita e le usanze di quella gente. Pur nutrendo qualche riserva verso alcune manifestazioni di quello spirito, riuscì a scorgerne i meccanismi in ogni aspetto della società americana: nella politica, negli affari, nei rapporti personali, nella cultura, nel pensiero. Tale dedizione al principio di uguaglianza strideva con la società classista europea. Eppure Tocqueville considerava quella "rivoluzione democratica" irresistibile. [...] Ciò che Tocqueville vide in America fu una società di immigrati che avevano cominciato una nuova vita su un piano di uguaglianza. Era questo il segreto dellAmerica: una nazione fatta di uomini che avevano ancora vivo il ricordo delle antiche tradizioni e si erano avventurati a esplorare nuove frontiere, uomini desiderosi di costruire da sé la propria esistenza in una società in cui cera posto per tutti e che non limitava la libertà di scelta e di azione.[...] In poco più di 350 anni, si è sviluppata una nazione di quasi 200 milioni di abitanti, popolata per la quasi totalità da individui provenienti da altre nazioni o i cui antenati erano emigrati da altri paesi. Come ha dichiarato il presidente Franklin Delano Roosevelt al congresso delle Daughters of the American Revolution: "Ricordate sempre che tutti noi, io e voi in special mondo, discendiamo da immigrati e rivoluzionari". Tutti i grandi movimenti sociali lasciano unimpronta, e la massiccia migrazione di persone nel Nuovo mondo non ha fatto eccezione. Linterazione tra culture differenti, la forza degli ideali che spinsero gli immigrati a venire fin qui, le opportunità che una nuova vita schiudeva, tutto ciò ha conferito allAmerica unessenza e un carattere che la rendono inconfondibile e straordinaria agli occhi della gente oggi, come era stato nella prima metà del Diciannovesimo secolo per Tocqueville. Il contributo degli immigrati è visibile in ogni aspetto della vita della nostra nazione: nella religione, nella politica, negli affari, nelle arti, nellistruzione, perfino nello sport e nello spettacolo. Non vi è settore che non sia stato investito dal nostro passato di immigrati. Ovunque gli immigrati hanno arricchito e rafforzato il tessuto della vita americana. Come ha detto Walt Whitman: Questi Stati sono il poema più ampio, Qui non vè solo una nazione ma una brulicante Nazione di nazioni. Per conoscere lAmerica, dunque, è necessario comprendere questa rivoluzione sociale squisitamente americana. È necessario capire perché più di 42 milioni di persone hanno rinunciato a una vita consolidata per ricominciare da zero in un paese straniero. Dobbiamo capire in che modo essi andarono incontro a questo paese e in che modo questo paese andò incontro a loro e, cosa ancor più importante, dobbiamo capire cosa implica tutto ciò per il nostro presente e per il nostro futuro. [...] Non vi è nulla di più straordinario della decisione di emigrare, nulla di più straordinario della ridda di emozioni e pensieri che inducono infine una famiglia a dire addio ai vecchi legami e ai luoghi familiari, a solcare le scure acque delloceano per approdare in una terra straniera. Oggi, in unepoca in cui grazie ai mezzi di comunicazione di massa a un capo del mondo si sa tutto ciò che accade nellaltro, non è difficile capire come la povertà o la tirannia possa spingere una persona a lasciare il proprio paese per un altro. Ma secoli fa lemigrazione era un salto nel buio, era un investimento intellettuale ed emotivo enorme. Le forze che indussero i nostri antenati a quella decisione estrema lasciare la propria casa e intraprendere unavventura gravida di incognite, rischi e immense difficoltà dovevano essere soverchianti. Nel suo libro intitolato Gli sradicati, Oscar Handlin descrive lesperienza degli immigranti: Il viaggio sottoponeva lemigrante a una serie di emozioni sconvolgenti ed ebbe uninfluenza decisiva sulla vita di tutti coloro che riuscirono a sopravvivere. Fu questo il primo contatto con lo stile di vita che li attendeva. Per molti contadini era la prima volta che si allontanavano da casa, che uscivano dalla sicurezza di piccoli villaggi in cui avevano passato tutta la vita. Ora avrebbero dovuto imparare a trattare con persone completamente diverse. Si sarebbero scontrati con problemi a cui non erano avvezzi, avrebbero imparato a comprendere costumi e linguaggi stranieri, si sarebbero industriati per affermarsi in un ambiente oltremodo ostile. Come prima cosa, dovevano mettere da parte il denaro necessario per il viaggio. Dopodiché salutavano i loro cari e gli amici, consapevoli che con ogni probabilità non li avrebbero mai più rivisti. Quindi cominciava il viaggio che dai villaggi li avrebbe condotti ai porti di imbarco. Alcuni si spostavano a piedi; i più fortunati trasportavano i loro pochi averi su carretti che poi rivendevano prima di imbarcarsi. In certi casi facevano tappa durante il viaggio lavorando nei campi per mangiare. Prima ancora di riuscire a raggiungere i porti erano esposti alle malattie, agli incidenti, alle intemperie e alla neve, e attaccati anche dai banditi. Una volta giunti al porto, spesso dovevano attendere giorni, settimane, talvolta mesi prima di imbarcarsi, contrattando con i capitani e gli agenti il costo della traversata. Nellattesa, vivevano ammassati in stamberghe a poco prezzo a ridosso dei moli, dormendo sulla paglia in stanzette buie, a volte in quaranta in uno spazio di tre metri per quattro. Fino alla metà del Diciannovesimo secolo gli immigranti viaggiavano a bordo di navi a vela. In media la traversata da Liverpool a New York durava quaranta giorni, ma allepoca qualsiasi previsione era azzardata, poiché la nave era esposta ai venti e alle maree, le tecniche di navigazione primitive, lequipaggio inesperto e la rotta soggetta ai capricci del capitano. Per le imbarcazioni di allora, non così massicce, trecento tonnellate costituivano una buona stazza, e tutte erano stipate di passeggeri, dai quattrocento ai mille, in ogni angolo. Il mondo degli immigranti a bordo della nave si riduceva alla stiva, lo spazio ristretto sottostante il ponte, generalmente lungo trenta metri e largo sette. Su molte navi le persone alte più di un metro e settanta non potevano neanche stare in piedi. Lì vivevano giorno e notte, ricevevano la razione quotidiana di acqua con laggiunta di aceto e tentavano di sopravvivere con le provviste che si erano portate per il viaggio. Quando i viveri finivano, si ritrovavano spesso alla mercé dei metodi usurai dei capitani. Se ne stavano assiepati in cuccette anguste e dure, dove quando venivano aperti i boccaporti si gelava e si soffocava dal caldo quando erano chiusi. Lunica fonte di luce proveniva da una fioca lanterna pencolante. Il giorno e la notte erano indistinguibili, ma i passeggeri imparavano a riconoscere gli infidi venti e i flutti, lo zampettio dei topi e il tonfo dei cadaveri gettati in mare. Le malattie colera, febbre gialla, vaiolo e dissenteria facevano strage: uno su dieci non riusciva a sopravvivere alla traversata. Nei paesi che avevano lasciato, gli immigrati in genere avevano un lavoro stabile. Portavano avanti lattività artigianale o commerciale dei loro padri, coltivavano la terra di famiglia o il piccolo appezzamento ereditato in seguito alla spartizione con i fratelli. Solo grazie a un talento e a unintraprendenza eccezionali gli immigrati potevano rompere lo stampo nel quale la loro vita era stata forgiata. Non cera uno stampo simile ad attenderli nel Nuovo mondo. Una volta rotto con il passato, a parte i legami affettivi e leredità culturale, dovevano fare affidamento esclusivamente sulle proprie capacità. Erano obbligati a volgere lo sguardo al futuro, non al passato. A eccezione degli schiavi neri, gli immigrati potevano andare dovunque e fare qualsiasi cosa il talento consentisse loro. Si apriva dinanzi a loro un continente sconfinato, non dovevano far altro che collegarne le parti con canali, ferrovie e strade. E se non fossero riusciti a realizzare il sogno per se stessi, potevano sempre serbarlo per i loro figli. È stata questa lorigine dellinventiva e dellingegno americani, delle tante e nuove imprese e della capacità di raggiungere il tenore di vita più elevato del mondo. [...] Sul finire del Diciannovesimo secolo lemigrazione verso lAmerica subì un cambiamento notevole. Cominciarono infatti ad arrivare, in gran numero, italiani, russi, polacchi, cechi, ungheresi, rumeni, bulgari, austriaci e greci, creando nuovi problemi e dando origine a nuove tensioni. Per loro la barriera linguistica era ancor più insormontabile di quanto non fosse stato per i gruppi che li avevano preceduti, cosicché lo scarto tra il mondo che si erano lasciati alle spalle e quello in cui erano approdati si approfondì. Si trattava per la gran parte di gente di campagna, costretta però allarrivo in America a stabilirsi nella maggioranza dei casi nelle città. Già nel 1910 in molte città esistevano delle Little Italy o Little Poland dai confini ben definiti. Stando al censimento del 1960, abitavano più persone di origini o di genitori italiani a New York che non a Roma. La storia delle città dimostra che quando vi è sovraffollamento, quando la gente è povera e le condizioni di vita sono pessime, le tensioni si inaspriscono. È un sistema che si autoalimenta: la povertà e la delinquenza allinterno di un gruppo generano paura e ostilità negli altri; ciò, a sua volta, impedisce che il primo gruppo venga accettato e ne ostacola il progresso, protraendone così la condizione di arretratezza. Fu in questa penosa situazione che si ritrovarono molti immigrati provenienti dallEuropa meridionale e orientale, così comera accaduto ad alcuni gruppi delle prime ondate migratorie. Un giornale di New York riservò ai nuovi arrivati italiani parole impietose: "Le cateratte sono aperte. Le sbarre abbassate. Le porte sono incustodite. La diga è stata spazzata via. La fogna è sturata [ ]. La feccia dellimmigrazione si sta riversando sulle nostre coste. Dai serbatoi di melma del Continente la marmaglia di terza classe viene travasata nel nostro paese". [...] Alla fine il viaggio terminava. I passeggeri guardavano la costa americana con un senso di sollievo misto a eccitazione, trepidazione e ansia. Strappati alla loro vecchia vita, si ritrovavano ora "in un continuo stato di crisi, nel senso che erano, e rimanevano, nomadi", come scrive Handlin. Sbarcavano nel nuovo paese stremati dalla mancanza di riposo, dalla cattiva alimentazione, dalla reclusione, gravati dalla fatica di adeguarsi alle nuove condizioni di vita. Ma non potevano fermarsi per recuperare le forze. Non avevano scorte di cibo né denaro, quindi erano costretti a proseguire il cammino finché non trovavano un lavoro. [...] Probabilmente le motivazioni per venire in America erano tante quante le persone che arrivarono qui: si trattava di una decisione del tutto personale. Tuttavia si può dire che tre grandi spinte persecuzione religiosa, oppressione politica e difficoltà economiche costituirono le ragioni principali delle migrazioni di massa nel nostro paese. Questi uomini rispondevano, a modo loro, alla promessa sancita dalla Dichiarazione di indipendenza di garantire il diritto "alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità". [...] Le leggi sullimmigrazione dovrebbero essere generose, dovrebbero essere eque, dovrebbero essere flessibili. Con leggi siffatte potremo guardare al mondo, e al nostro passato, con le mani pulite e la coscienza tranquilla. Una tale politica non sarebbe che una conferma dei nostri antichi principi. Esprimerebbe la nostra adesione alle parole di George Washington: "Il grembo dellAmerica è pronto ad accogliere non solo lo straniero ricco e rispettabile, ma anche gli oppressi e i perseguitati di ogni nazione e religione; a costoro dovremmo garantire la partecipazione ai nostri diritti e privilegi, se con la loro moralità e condotta decorosa si mostrano degni di goderne". |