Sopravvissuto di Auschwitz:Posso Identificarmi con i Giovani Palestinesi
di Adri Nieuwhof,
The Electronic Intifada, 2 Giugno 2009
Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile allindirizzo: http://electronicintifada.net/v2/article10568.shtml
Hajo Meyer, autore del libro The End of Judaism [La fine del giudaismo], è nato a Bielefeld, in Germania, nel 1924. Nel 1939 fuggì da solo, alletà di 14 anni, in Olanda, per salvarsi dal regime nazista, e non potè andare a scuola. Un anno dopo, quando i tedeschi occuparono lOlanda, visse in clandestinità con un documento di riconoscimento maldestramente contraffatto. Meyer venne catturato dalla Gestapo nel Marzo del 1944 e deportato ad Auschwitz una settimana dopo. E uno degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz.
Adri Nieuwhof: Cosa vuol dire per presentarsi ai lettori di EI [Electronic Intifada]?
Hajo Meyer: Dovetti abbandonare la scuola secondaria a Bielefeld dopo la Notte dei Cristalli, nel Novembre del 1938. Per un bambino curioso come me e per i suoi genitori fu unesperienza terribile. Perciò, posso pienamente identificarmi con i giovani palestinesi che vengono intralciati nei loro studi. E non posso identificarmi in alcun modo con i criminali che impediscono ai giovani palestinesi di studiare.
AN: Cosa lha spinta a scrivere il suo libro, La fine del giudaismo?
HM: In passato, i media europei hanno scritto molto sui politici di estrema destra come Joerg Haider in Austria e Jean-Marie Le Pen in Francia. Ma quando Ariel Sharon venne eletto [primo ministro] in Israele nel 2001, i media rimasero zitti. Ma negli anni 80 capii il pensiero profondamente fascista di questi politici. Con il mio libro ho voluto prendere le distanze da tutto ciò. Sono cresciuto nel giudaismo avendo come valore fondamentale leguaglianza dei rapporti tra gli esseri umani. Sono venuto a sapere dellesistenza del giudaismo nazionalista solo quando ho sentito i coloni difendere nelle interviste le loro prepotenze a danno dei palestinesi. Quando un editore mi ha chiesto di scrivere qualcosa sul mio passato ho deciso di scrivere questo libro, per fare i conti col mio passato. Le persone di un gruppo che disumanizzano le persone che appartengono a un altro gruppo lo fanno o perché lhanno imparato dai genitori o perché sono stati manipolati dai loro leader politici. Questo in Israele è accaduto per decenni, nel senso che hanno manipolato lOlocausto per i loro scopi politici. Nel lungo periodo il paese si sta distruggendo, inducendo così i suoi cittadini ebrei a diventare paranoici. Nel 2005, [lallora primo ministro] Ariel Sharon ha illustrato tutto ciò dicendo alla Knesset che sappiamo che non possiamo fidarci di nessuno, possiamo fidarci solo di noi stessi. Questa è la definizione più concisa che ci sia di qualcuno che soffre di paranoia clinica. Uno dei crucci più grandi della mia vita è che Israele si definisce con linganno uno stato ebraico, mentre in realtà è sionista. Vuole il massimo del territorio con il minor numero possibile di palestinesi. Io ho quattro nonni ebrei. Sono ateo. Condivido il retaggio socio-culturale ebraico e ho imparato letica ebraica. Non voglio essere rappresentato da uno stato sionista. Non hanno idea di cosa è stato lOlocausto. Usano lOlocausto per instillare la paranoia nei propri figli.
AN: Nel suo libro lei scrive sulle lezioni che ha imparato dal passato. Può spiegare come il suo passato ha influenzato la sua percezione di Israele e della Palestina?
HM: Non sono mai stato un sionista. Dopo la guerra, gli ebrei sionisti hanno sbandierato il miracolo di avere un paese tutto nostro. Da ateo impenitente, ho pensato che, se questo è un miracolo di Dio, avrei voluto che avesse fatto il più piccolo dei miracoli creando lo stato 15 anni prima. In quel caso i miei genitori non sarebbero morti.
Potrei fare un elenco senza fine delle somiglianze tra la Germania nazista e Israele. Prendersi la terra e le proprietà, negare alle persone la possibilità di ricevere unistruzione, ridurre la possibilità di guadagnarsi da vivere distruggendo le loro speranze, tutto con lo scopo di cacciare la gente dalla propria terra. E quello che personalmente trovo più spaventoso, più dello sporcarsi le mani uccidendo in prima persona, è il creare le circostanze in cui le persone incominciano a uccidersi a vicenda. Così la distinzione tra le vittime e i carnefici si indebolisce. Seminando zizzania in una situazione dove non cè unità, aumentando la distanza tra le persone come Israele sta facendo a Gaza.
AN: Nel suo libro lei scrive del ruolo degli ebrei nel movimento della pace dentro e fuori Israele, e sugli obbiettori di coscienza israeliani. Come valuta il loro contributo?
HM: Naturalmente è positivo che delle componenti della popolazione ebraica di Israele cerchino di vedere i palestinesi come degli esseri umani e come loro eguali. Comunque, mi disturba quanto sia sottile il numero di quelli che protestano e che sono davvero antisionisti. Rimaniamo colpiti da quello che accadde nella Germania di Hitler. Se tu esprimevi solo la minima ombra di critica allepoca, finivi a Dachau. Gli ebrei in Israele hanno i diritti democratici. Possono protestare nelle strade, ma non lo fanno.
AN: Può commentare la notizia che i ministri israeliani hanno approvato un disegno di legge che proibisce la commemorazione della Nakba, e cioè la spoliazione della Palestina storica? La legge propone una pena fino a tre anni di reclusione.
HM: E così razzista, così spaventoso. Non ho parole. E unespressione di quello che già sappiamo. La Zochrot [lorganizzazione per la commemorazione della Nakba] venne fondata per contrastare gli sforzi israeliani di cancellare i segni che ricordano la vita palestinese. Proibire ai palestinesi di commemorare la Nakba
non potrebbero comportarsi in modo più nazista e fascista. Forse aiuterà il mondo a svegliarsi.
AN: Quali sono i suoi progetti per il futuro?
HM: [ride] Lei sa quanti anni ho? Ho quasi 85 anni. Ho sempre detto cinicamente prendendomi in giro che ho una scelta: o essere sempre stanco perché voglio fare così tante cose, o andare a sedermi aspettando che passi il tempo. Bene, progetto di essere stanco, perché ho ancora così tanto da dire.
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