I Palestinesi, un popolo di troppo Intervista a Jeff Halper a cura di Lorenzo Galbiati traduzione di Daniela Filippin Jeff Halper, ebreo israeliano di origine statunitense (è nato nel Minnesota nel 1946), è urbanista e antropologo, e insegna allUniversità Ben Gurion del Negev. In Israele ha fondato nel 1997 lICAHD, Israeli Committee Against House Demolitions ( www.icahd.org ), associazione di persone che per vie legali e con la disobbedienza civile si oppongono alla demolizione delle case palestinesi, e che forniscono supporto economico e materiale per la loro ricostruzione. Per questa attività, e per il suo attivismo pacifista, Halper è stato arrestato dal governo israeliano una decina di volte, ed è ora considerato uno dei più autorevoli attivisti israeliani per la pace e i diritti civili. In questi giorni Halper è in Italia per un giro di conferenze e per promuovere il suo libro Ostacoli alla pace, Edizioni una città. Il programma delle sue conferenze è consultabile su: www.unacitta.it . Tu sei un cittadino dello stato ebraico di Israele, uno stato fortemente voluto nel Novecento dal movimento sionista e ottenuto dopo 50 anni di grande emigrazione degli ebrei europei nel 1948, sulla spinta della fine della Seconda guerra mondiale e del terribile crimine della Shoah. Che cosè per te oggi, concretamente, il sionismo? Halper: Il sionismo fu un movimento nazionale che ebbe un senso in un determinato tempo e luogo. Mentre i popoli dEuropa cercavano unidentità come nazioni rivendicando i loro diritti allautodeterminazione, allo stesso modo si comportavano gli ebrei, considerati allepoca dalle nazioni dEuropa stesse un popolo separato. Tuttavia, due problemi trasformarono il sionismo in un movimento coloniale che oggi non può più essere sostenuto. Innanzitutto, il sionismo adottò una forma di nazionalismo tribale, influenzato dal pan-slavismo russo e dal pan-germanismo del centro Europa, culture dominanti nei territori dove la maggior parte degli ebrei vivevano in Europa, rivendicando la terra dIsraele fra il Mediterraneo e il fiume Giordano come fosse un diritto esclusivamente ebraico. Questo creò i presupposti per un inevitabile conflitto con i popoli indigeni, quelli della comunità araba palestinese, che ovviamente rivendicavano un proprio Paese dopo la partenza dei britannici. Se il sionismo avesse riconosciuto lesistenza di un altro popolo nel territorio, alloggiare tutti in una sorta di stato bi-nazionale sarebbe stato ancora possibile. Ma pretendere la proprietà esclusiva, pretesa che anche oggi sussiste dai sionisti e da Israele, rende non fattibile uno stato ebraico. Il secondo problema fu che il paese non era disabitato. Una proprietà esclusiva del territorio avrebbe potuto funzionare se fosse stato completamente privo di abitanti. Ma visto che la popolazione palestinese esisteva ed era in effetti in maggioranza, cosa che sta avvenendo anche oggi, una realtà bi-nazionale esisteva già allora e doveva essere gestita come tale. Molti anni fa tu ti sei trasferito dagli USA in Israele: è stata una scelta dovuta a motivi contingenti, personali, o spinta da una motivazione ideologica? Halper: Sono cresciuto negli Stati Uniti negli anni 60. Sono sempre stato coinvolto nelle attività politiche della sinistra (o perlomeno la nuova sinistra): i movimenti per i diritti civili di Martin Luther King, il movimento contro la guerra in Vietnam ecc. Dunque, dopo il 1967 sono diventato critico delloccupazione dIsraele (Israele non fu mai un argomento politico di grande rilievo prima di quel momento). Ma gli anni 60 furono anche un periodo in cui molti di noi cittadini americani bianchi di classe media rifiutavamo il materialismo americano e la conseguente superficialità della sua cultura, cercando significati più profondi attraverso la ricerca delle nostre radici etniche. Man mano che divenivo più distaccato dalla cultura americana, la mia identità di ebreo diventò centrale ma in senso culturale e viscerale, non religioso. Ho viaggiato attraverso Israele nel 1966, mentre ero in transito per andare ad effettuare delle ricerche in Etiopia, e il paese mi parlò. Provai un senso di appartenenza che risultò soddisfacente alla mia ricerca di unidentità, pur restando conscio a livello politico delloccupazione, a cui mi opponevo. Quando mi sono trasferito in Israele nel 1973, mi sono immediatamente unito ai movimenti pacifisti di sinistra. Le mie vedute negli anni sono cambiate coi tempi e le circostanze. Ormai non sono più un sostenitore della soluzione dei due stati, visto che non ritengo che Israele sia realizzabile come stato ebraico, sostenendo al contrario la soluzione dello stato bi-nazionale. Però credo ancora che gli ebrei abbiano legittimamente diritto a un posto in Israele/Palestina, anche come entità nazionale. Non siamo stranieri in questa terra e non accetto la nozione che il sionismo sia semplicemente un movimento coloniale europeo (sebbene si sia effettivamente comportato come tale). In Europa, e segnatamente in Italia, sta passando lequazione antisionismo uguale antisemitismo; infatti, il nostro presidente Napolitano durante la Giornata della Memoria del 2007 ha detto che va combattuta ogni forma di antisemitismo, anche quando si traveste da antisionismo, e qualche mese fa, il presidente della Camera Fini ha detto in tivù, di fronte allaccondiscendente presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, che oggi lantisionismo è la nuova forma che ha assunto lantisemitismo. Come spieghi questo fenomeno? Che significato ha a livello politico internazionale? Halper: Questo è il risultato di una campagna martellante da parte del governo israeliano per mettere a tacere qualsiasi critica contro Israele o le sue politiche. Diversi anni fa, in una riunione di strategia tenutasi al ministero degli affari esteri, un nuovo antisemitismo fu inventato, che sfruttava in modo conscio e deliberato lantisemitismo per fini di pubbliche relazioni israeliane. Il nuovo antisemitismo affermava che ogni critica mossa contro Israele era anche antisemita. Tutto ciò non è solo falso e disonesto da un punto di vista politico, ma pericoloso per tutti gli ebrei del mondo. Lantisemitismo è effettivamente un problema che andrebbe combattuto assieme ad altre forme di razzismo. Definirlo solo in termini israeliani lascia altri ebrei della diaspora senza protezione. E quindi considerato accettabile essere antisemiti, vedi Fini e gli evangelisti americani come Pat Robertson, ad esempio, purché si è pro-Israele. Loro lo sono per vari motivi (principalmente perché Israele si è allineata con elementi destrorsi e fascisti ovunque nel mondo). Ma se sei critico di Israele come Paese, ed abbiamo tutti il diritto di esserlo, non sei antisemita però vieni condannato e zittito secondo la dottrina del nuovo antisemitismo. E conveniente per Israele ma pericoloso sia per gli ebrei della diaspora che per chiunque si batta a favore dei diritti umani e contro il razzismo. In Israele hai fondato lIcahd, lIsraeli Committee Against House Demolitions, con il quale ti sei opposto, anche fisicamente, alla demolizione di molte case palestinesi, finendo più volte in carcere per questo. Come giudichi le politiche israeliane per lassegnazione della terra e per i permessi edilizi? Credi si possa parlare di apartheid? Halper: I governi israeliani più recenti hanno tentato di istituzionalizzare un sistema di apartheid, basato su un Bantustan palestinese, prendendo a modello ciò che fu creato nellera dellapartheid in Sud Africa. Questultima creò dieci territori non-autosufficienti, per la maggioranza abitati da neri, ricoprenti solo l11% del territorio nazionale, in modo da dare al Sud Africa una manovalanza a buon mercato e contemporaneamente liberandola della sua popolazione nera, rendendo quindi possibile il dominio europeo democratico. Questo è esattamente ciò che intenderebbe fare Israele il proprio Bantustan palestinese comprenderebbe solo il 15% del territorio della Palestina storica. In effetti, dai tempi di Barak come primo ministro, Israele ha proprio adottato il linguaggio dellapartheid. Quindi il termine usato per definire la politica di Israele nei confronti dei palestinesi è hafrada, che in ebraico significa separazione, esattamente come lo fu in Afrikaans. Apartheid non è né uno slogan, né un sistema esclusivo del Sud Africa. La parola, come viene usata qui, descrive esattamente un regime che può aver avuto origine in Sud Africa, ma che può essere importato e adattato alla situazione locale. Alla sua radice, lapartheid può essere definita avente due elementi: prima di tutto, una popolazione che viene separata dalle altre (il nome ufficiale del muro è Barriera di Separazione), poi la creazione di un regime che la domina definitivamente e istituzionalmente. Separazione e dominio: esattamente la concezione di Barak, Sharon e eventualmente, Olmert e Livni, per rinchiudere i palestinesi in cantoni poveri e non autosufficienti. La versione israeliana dellapartheid è tuttavia persino peggiore di quella sud africana. In Sud Africa i Bantustans erano concepiti come riserve di manodopera nera a buon mercato in uneconomia sud africana bianca. Nella versione israeliana i lavoratori palestinesi sono persino esclusi dalleconomia israeliana, e non hanno nemmeno uneconomia autosufficiente propria. Il motivo è che Israele ha scoperto una manodopera a buon mercato tutta sua: allincirca 300 000 lavoratori stranieri provenienti da Cina, Filippine, Thailandia, Romania e Africa occidentale, la pre-esistente popolazione araba in Israele, Mizrahi, etiope, russa e est europea. Israele può quindi permettersi di rinchiuderli là dentro persino mentre gli vengono negate una propria economia e legami liberi con i paesi arabi circostanti. Da ogni punto di vista, storicamente, culturalmente, politicamente ed economicamente, i palestinesi sono stati definiti unumanità di troppo, superflua. Non gli resta che fare da popolazione di stoccaggio, condizione che la preoccupata comunità internazionale sembra continuare a permettere a Israele di attuare. Tutto ciò porta oltre lapartheid, a quello che può essere definito lo stoccaggio dei palestinesi, una della popolazioni mondiali di troppo, assieme ai poveri del mondo intero, i detenuti, gli immigrati clandestini, i dissidenti politici, e milioni di altri emarginati. Stoccaggio rappresenta il migliore, e anche il più triste dei termini per definire ciò che Israele sta creando per i palestinesi nei territori occupati. Siccome lo stoccaggio è un fenomeno globale e Israele è stato pioniere nel creare un modello di questo metodo, ciò che sta accadendo ai palestinesi dovrebbe essere affare di tutti. Potrebbe costituire una forma di crimine contro lumanità completamente nuovo, e come tale essere soggetto a una giurisdizione universale delle corti del mondo come qualsiasi altra palese violazione dei diritti umani. In questo senso loccupazione di Israele ha implicazioni che vanno ben oltre un conflitto locale fra due popoli. Se Israele può confezionare e esportare la sua articolata matrice di controllo, un sistema di repressione permanente che unisce una amministrazione kafkiana, leggi e pianificazioni con forme di controllo palesemente coercitive contro una precisa popolazione mantenuta entro i limiti di comunità murate con metodi ostili (insediamenti in questo caso), mura e ostacoli di vario tipo contro qualsiasi libero spostamento, allora, in questo caso, come scrive lucidamente Naomi Klein nel suo libro The Shock Doctrine, altri paesi guarderanno ad Israele/Palestina osservando che : Un lato sembra Israele; laltro lato sembra Gaza. In altre parole, una Palestina Globale. Ti abbiamo visto in alcuni filmati descrivere la situazione di Gerusalemme est, spiegare quante e quali case palestinesi sono state distrutte: che cosa sta succedendo a Gerusalemme est? Si può parlare di pulizia etnica per Gerusalemme est, come fa Ilan Pappé? Halper: Concordo con Pappé nellaffermare che la pulizia etnica non stia avvenendo solo nella Gerusalemme est, ma anche nel resto dei territori occupati e in tutto Israele stesso. Lanno scorso il governo israeliano ha distrutto tre volte più case dentro Israele appartenenti a cittadini israeliani che naturalmente, erano tutti palestinesi o beduini rispetto al numero che ha distrutto nei territori occupati. LICAHD ha come scopo quello di resistere alloccupazione opponendosi alla politica di Israele di demolire le case dei palestinesi. Dal 1967 Israele ha distrutto più di 24 000 case palestinesi praticamente tutte senza motivo o giustificazioni legate alla sicurezza, oltre ad aver dato decine di migliaia di ordini di demolizione, che possono essere messi in atto in qualsiasi momento. Israele negli ultimi 4 anni ha sostenuto due guerre di invasione sanguinarie, quelle contro il Libano e la Striscia di Gaza. Ha ricevuto da molte parti accuse di crimini di guerra, sia per il tipo di armi che ha usato sia per la volontà deliberata di colpire la popolazione e le strutture civili, impedendo in molti casi i soccorsi medici. Come spieghi lapparente consenso di una grande maggioranza di cittadini israeliani nei confronti di queste guerre? Come spieghi ladesione a queste soluzioni politiche da parte di intellettuali considerati pacifisti come Grossmann e Oz? Halper: In Israele, la popolazione ebraica è ben poco interessata sia alloccupazione che al più universale principio della pace. Sono entrambi non-argomenti in Israele (non credo che siano stati menzionati una sola volta durante la passata campagna elettorale). Gli ebrei israeliani stanno attualmente vivendo una vita piacevole e sicura, e Barak e gli altri leader sono riusciti a convincere la gente che non esiste soluzione politica, che agli arabi non interessa la pace (siamo bravissimi a dare la colpa ad altri per evitare le nostre responsabilità di grande potenza colonizzatrice degli ultimi 42 anni!). Finché tutto sarà tranquillo e leconomia andrà bene, nessuno vuole sapere nulla degli arabi. Credo che dobbiamo rinunciare a sperare di vedere il pubblico israeliano come elemento attivo del cambiamento verso la pace. La maggior parte degli israeliani non si intrometterebbero in una soluzione imposta se la comunità internazionale dovesse insistere nellimporne una, ma non farebbero alcun passo significativo da soli in quella direzione. Alla stessa maniera dei bianchi in Sud Africa, che accettarono e in alcuni casi dettero il benvenuto alla fine dellapartheid, e che al tempo stesso non sarebbero mai insorti contro di essa. Invece per quel che riguarda gli intellettuali, anche loro non vedono. E la dimostrazione che si può essere estremamente sensibili, intelligenti, ricettivi come Amos Oz e alcuni dei nostri professori, che tuttavia rimangono al sicuro nella loro nicchia. Tu da qualche anno sostieni che non è più praticabile sul campo la soluzione due nazioni due stati, poichè Israele ha ormai occupato con il Muro, le colonie e le strade gran parte della West Bank. Sostieni quindi la soluzione di uno stato laico binazionale. Oggi, dopo la carneficina di Gaza, e dopo le elezioni israeliane, è ancora immaginabile questa soluzione? Halper: Noi dellICAHD crediamo che la soluzione dei due stati sia irrealizzabile a meno che si accetti una soluzione da apartheid, un mini-stato palestinese sovrano solo a metà sul 15% del territorio palestinese storico, spezzettato in ciò che Sharon chiama quattro o cinque cantoni. Non li vediamo né come fattibili né giusti o pratici, sebbene Israele li veda come una soluzione e stia spingendo in questa direzione al processo di Annapolis. Per noi la questione non è solo di creare uno stato palestinese, ma uno stato autosufficiente. Non solo questo minuscolo stato palestinese dovrà sopportare il ritorno dei rifugiati, ma un 60% di palestinesi sotto letà di 18. Se emerge uno stato che non ha alcuna possibilità di offrire un futuro ai suoi giovani, una economia autosufficiente che può svilupparsi, rimane semplicemente uno stato-prigione, un super-Bantustan. Credo che se non si materializzerà la soluzione dei due stati, e la soluzione per uno stato bi-nazionale (che io preferisco) verrà effettivamente impedita da Israele e la comunità internazionale, allora preferirei una confederazione economica medio orientale che comprenda Israele, Palestina, Giordania, Siria e Libano, nella quale tutti i residenti della confederazione abbiano la libertà di vivere e lavorare allinterno della stessa. Israele/Palestina è semplicemente un territorio troppo piccolo per poterci infilare tutte le soluzioni necessarie la sicurezza, lo sviluppo economico, lacqua, i rifugiati. E alla fine, quanto sarà grande lo stato palestinese sarà importante solo se verrà concepito come unentità indipendente, economicamente autonoma. Se ai palestinesi sarà concessa la sovranità anche solo di un piccolo stato, più ristretto rispetto ai confini del 67, ma comunque avente lintera confederazione per sviluppare la propria autonomia economica, credo che questo potrebbe rivelarsi lo scenario migliore. Ma questa è una proposta ambiziosa e campata in aria per il momento, e resta finora senza sostenitori (sebbene Sarkozy stia anche pensando in termini regionali). Quando si vedrà che la soluzione dei due stati è fallita, credo che allora la gente inizierà a cercare una nuova soluzione. E credo proprio che allora lidea della confederazione risulterà sensata. Credi che esistano forze politiche parlamentari, in Israele, in grado di sostenere un accordo autentico con i Palestinesi, in vista di una pace e della creazione di uno stato palestinese? Halper: Lunico ostacolo a unautentica soluzione dei due stati (cioè uno stato palestinese disteso su tutti i territori occupati, con pochissime modifiche agli attuali confini) è nella volontà di Israele di permettere che avvenga. Giudicando dai fatti che si vedono sul terreno, la costruzione di nuovi insediamenti in particolare, nessun governo israeliano, né di destra né tanto meno di sinistra o centro, ha mai veramente considerato la soluzione dello stato palestinese come fattibile. Per rendere le cose ancora più difficili, se un simile governo dovesse mai emergere (e non ve nè uno in vista), non avrebbe alcun mandato, alcuna autorità per evacuare gli insediamenti e rinunciare ai Territori Occupati Palestinesi considerato lestrema frammentazione del sistema politico israeliano. Semplicemente, fra i partiti politici non vi è alcuna unità dintenti per concordare veramente una soluzione di pace e di due stati. Ecco perché, se la comunità internazionale dovesse forzare Israele a ritirarsi per una vera pace, il pubblico israeliano la sosterrebbe. Israele non è destrorso quanto la gente immagina. Ho quindi una formula per la pace: Obama, lONU o la comunità internazionale dovranno dire a Israele: 1) Vi amiamo (gli israeliani se lo devono sentir dire); 2) Garantiremo la vostra sicurezza (QUESTA è la preoccupazione maggiore del pubblico israeliano); 3) ora che è finita loccupazione, sarete fuori da ogni centimetro cubo dei Territori Occupati Palestinesi entro i prossimi 2-3-4 anni (e noi, la comunità internazionale, pagheremo per il dislocamento). Credo che ci sarebbe gente a ballare per le strade di Tel Aviv se tutto ciò avvenisse. Questo è esattamente ciò che vorrebbero gli israeliani, ma non possono sperarci, visto il nostro sistema politico. E altamente improbabile che ciò avvenga. Che giudizio dai allazione politica dei dirigenti palestinesi di Fatah ed Hamas dalla morte di Arafat a tuttoggi? Halper: Ovviamente landamento della leadership palestinese è altamente problematico. Dobbiamo ricordare, tuttavia, che negli ultimi 40 anni Israele ha sostenuto una sistematica campagna di omicidi, esili e incarcerazioni dei capi di governo palestinesi, quindi la leadership attuale è mutilata (si potrebbe essere ingenerosi e, alla luce delle campagne condotte dallautorità palestinese contro la sua stessa gente, affermare che lattuale leadership di Fatah sia ancora viva e funzionante perché Israele sa bene chi deve eliminare e chi risparmiare). Una delle mie maggiori critiche rivolte allattuale leadership di Fatah riguarda la sua inefficacia nel veicolare la causa palestinese allestero. Nonostante un cambiamento dellopinione pubblica ormai più a favore dei palestinesi, soprattutto dopo linvasione di Gaza, la leadership non ha saputo sfruttare il momento propizio per inviare i propri portavoce presso le popolazioni ed i governi del mondo (in effetti, nellultimo anno, incluso il cruciale periodo della transizione verso lamministrazione Obama, non vi è stato un solo rappresentante palestinese a Washington e i rappresentanti palestinesi allestero, con qualche rara eccezione, sono generalmente inefficaci). Al contrario di Israele, pare che la leadership palestinese si sia quasi ritirata dal gioco politico. In questo vuoto lasciato da Fatah, Hamas è giunto sulla scena come il salvatore, la forza/partito/leadership che resisterà ad Israele, resisterà alla soluzione dellapartheid, manterrà lintegrità palestinese e combatterà la corruzione. Mentre la sua ideologia religiosa ed il suo programma dovrebbero essere considerati inaccettabili per qualsiasi persona minimamente progressista, si dovrebbe perlomeno ammirare la resistenza di Hamas e ammettere che stia effettivamente controbilanciando ciò che è stata percepita come la collaborazione di Fatah con Israele. Credi che se la classe politica palestinese usasse dei metodi di lotta nonviolenta, quali il digiuno pubblico, e se convincesse la popolazione palestinese israeliana o che lavora in Israele a forme di sciopero generalizzato potrebbe ottenere dei risultati concreti? Halper: I metodi non-violenti sarebbero potuti essere efficaci. Se la leadership palestinese fosse più portata alla strategia, potrebbe usare a proprio vantaggio metodi non-violenti, come il movimento BDS (Boicottaggio/Disinvestimento/Sanzioni) e altre campagne analoghe con gruppi di pressione efficaci. Ma non lo fanno. * Oltre alle sue attività accademiche e per lICAHD, Halper scrive libri ed è un conferenziere internazionale. Nel 2006 è stato candidato al Premio Nobel per la Pace dallAmerican Friends Service Committe. Nellagosto del 2008 Halper ha partecipato alla spedizione per Gaza del Free Gaza Movement*. La spedizione era costituita da un gruppo internazionale di attivisti dei diritti umani, tra i quali litaliano Vittorio Arrigoni, e ha raggiunto Gaza a bordo di un peschereccio partito da Cipro, rompendo così per la prima volta lembargo marittimo imposto da Israele alla Striscia di Gaza. |