Giancarla Codrignani: Due Ottobre


Le date simboliche mi appassionano fino a un certo punto, anche perche' ne
siamo inflazionati fino a perderne il senso. Tuttavia alcuni simboli hanno
un valore innegabile: ci richiamano a pensare alla necessita' di portare
avanti la storia anche nella fatica e nei disinganni perche' non possiamo
essere incoerenti se confidiamo in qualche principio. I principi non sono
astrazioni che basta nominare perche' qualcuno - magari non noi - li
applichi. Sono mete lontane, che tuttavia motivano il vivere (che, di per
se', non sarebbe gran cosa).
Il 2 ottobre e' la giornata mondiale (voluta dalle Nazioni Unite) della
nonviolenza. Il correttore elettronico ancora censura la parola sullo
schermo del computer e, forse, saranno molti quelli che, quando la leggono,
credono che manchi la separazione per errore di stampa.
In realta' la parola nuova e' uno di quei segnali linguistici che fanno
comprendere che il motore della storia puo' non essere abbandonato al caso,
ma pilotato, almeno simbolicamente, verso progressivi perfezionamenti
sociali. Quindi "celebriamo". E rendiamoci conto di quanto sia modesto il
procedere verso la pur conclamata pace universale e quanto la violenza abiti
ancora le coscienze umane.
Ho conosciuto direttamente in anni non lontani l'odissea degli obiettori di
coscienza e la resistenza che era non solo nelle fila dell'esercito, ma
nella mentalita' comune a non ritenerli dei renitenti per vilta', per comodo
individualistico, per rifiuto di quella disciplina militare che "fa
diventare uomini". Oggi i cappellani militari non sarebbero piu' sostenitori
di negativita' e i tribunali non condannerebbero piu' don Milani e padre
Balducci. Tuttavia la violenza non fa riferimento solo ad armi e guerre, che
ormai non sono piu' idealizzate secondo quell'"onore" che permetteva alla
violenza ritenuta "necessaria" dagli stati di avere i ministeri "della
guerra" e non della difesa, anche se si dira' che non e' cambiato molto, se
tutti i patriottismi, anche quelli religiosi e ideologici, non sanno
comporre civilmente i conflitti. Ma almeno da quando Freud ha richiamato
alle pulsioni originarie e all'analogia tra il pene e l'arma, la nonviolenza
dovrebbe guidare tutti i comportamenti sociali, a partire da quelli
interpersonali e familiari ancor oggi crudeli fino all'assassinio delle
persone care e inermi.
Il disconoscimento della nonviolenza e' uno scacco delle religioni. Il
buddismo non e' diventato cultura universale di nonviolenza, anche se ne
aveva tutti i presupposti. Il cristianesimo, che da sempre conteneva i
principi del rifiuto di ogni violenza, privata e tanto piu' pubblica, non
riesce a recuperare nemmeno nominalmente questo valore. Ci sono testimoni
della nonviolenza nel vissuto delle confessioni cristiane del secolo piu'
violento che ha visto nascere il fascismo e il nazismo e ha subito due
guerre mondiali; ma non conosco approfondimenti teologici che valorizzino
questa virtu' come interna alle ragioni di fede. Infatti, come virtu', nasce
laica.
Ma se e' difficile per le religioni farsi nonviolente, non e' facile neppure
per le organizzazioni della societa' civile. Un mondo che idolatra il
successo facile, il consumismo, la competizione non si apre al primo
requisito nonviolento che e' il riconoscimento dell'uguaglianza degli esseri
umani e della stoltezza del principio di forza in qualunque modo applicato.
La sola forza degli umani e' quella morale, dell'ingegno e dello spirito;
per il resto, come diceva Lucrezio, siamo gli esseri piu' deboli della
natura, quelli che nascono nudi piangendo il male che potranno vivere.
Eppure stiamo tradendo liberta', giustizia, diritti, diseducando i figli e
noi stessi, non solo nei confronti degli immigrati o dei disabili, ma
scivolando nel baratro dell'ignoranza, proprio mentre l'ingegno e lo studio
degli scienziati e' in grado di darci macchine piu' raffinate delle nostre
capacita' di capire e prospettive di modificazioni della natura, anche
umana, rischiose se affidate ad esseri ignoranti e irresponsabili. Quindi
violenti.

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