VERSO UN FAR WEST NUCLEARE?
PERICOLI E PROSPETTIVE DELLA PROLIFERAZIONE NUCLEARE
(Cesano Maderno, 28 Maggio 2009)

Il far-west nucleare e' inevitabile se non rinunciamo
alle logiche della potenza ed alle tecnologie a essa ispirate
Alfonso Navarra
responsabile del Coordinamento “Fermiamo chi scherza col fuoco atomico”

La guerra nucleare totale tra Grandi Potenze, ed in particolare tra USA e Russia, è un pericolo reale e può deflagrare anche solo per "errore tecnologico".
Questo gravissimo stato di fatto mi sforzo di documentarlo nel mio "La guerra nucleare spiegata a Greta" (Emi edizioni, 2007), quando illustro le dinamiche del "Primo Colpo - First Strike", che sono alla base di Milnet (la versione militare di Internet) o dello "scudo antimissilistico" USA (di cui esiste anche una versione europea).
L'"equilibrio del terrore" conduce in realtà ad uno squilibrio che attiva la regola del "chi lancia i missili per primo deve poter vincere".
La tecnologia atomica, sperimentata militarmente il 6 e il 9 agosto 1945 (Hiroshima e Nagasaki), è stata per anni contenuta in un club ristretto, che oggi comprende solo nove Stati: USA, Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina: le potenze membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU; ed ancora: India, Pakistan e Corea del Nord; e - ufficiosamente - Israele.
Vi sono poi quelle che sono state definite "potenze nucleari latenti": Paesi come la Germania, il Giappone e l'Italia che, se volessero, potrebbero farsi in meno che non si dica la loro Bomba. Il Sud Africa ha costruito alcune testate nucleari (6) che ha successivamente smantellato. Brasile e Argentina sarebbero stati lì lì per costruire le loro armi nucleari, ma avrebbero, almeno per il momento, rinunciato.
I programmi dell'Iraq di Saddam Hussein sono stati, come è noto, bloccati militarmente (bombardamento israeliano ad Osiraq nel 1981 e attacchi durante la guerra del Golfo). Il caso dell'Iraq è l'unico caso in cui attività contrarie al trattato di non-proliferazione sono state oggetto di specifiche azioni militari. Ma Israele oggi minaccia il bis contro i programmi nucleari dell'Iran, che il regime con a capo Mahmoud Ahmadinejad dichiara esclusivamente civili (la CIA conferma fino al 2007). I piani di attacco israeliani sono pronti (si legga in proposito la rivista Limes) ma Obama ha avvisato Netanyahu che non avallerà colpi di testa che scavalchino la fase del "dialogo" che ha aperto per coinvolgere l'Iran nella "stabilizzazione dell'Af-pak" (Afghanistan più Pakistan).
Nel Trattato FMTC (Trattato per l’esclusione dei materiali fissili - Fissile Materials Cut-Off Treaty), attualmente in discussione, troviamo, nero su bianco, l'elenco di 44 Stati in possesso di elevate competenze tecniche che potrebbero portarli a sviluppare armi nucleari.
Il TNP (Trattato di Non Proliferazione Nucleare) fu varato nel 1968 (è entrato in vigore nel 1970) per limitare la diffusione delle armi nucleari ed impegnare le Grandi potenze a disarmare. Al TNP aderiscono tutti i paesi della Carta delle Nazioni Unite con l’esclusione di India, Pakistan, Israele e Corea del Nord; quest’ultimo paese ha annunciato il ritiro dal Trattato nel 2003. Ma, come quadro legale internazionale di controllo degli armamenti, il TNP rischia di saltare, e nella conferenza di revisione del 2010 - l'appuntamento si tiene ogni 5 anni - forse ci troviamo di fronte all'ultimo appello prima del fallimento definitivo. La presidenza Obama sta inaugurando, almeno nelle intenzioni, un nuovo, più positivo, approccio in direzione del disarmo (si veda l'invito alla Russia di fare lo Start-2 alla scadenza dello Start-1) ma bisogna vedere fino a che punto non verrà ostacolata dalla burocrazia militare-strategico-diplomatica e dallo stesso Congresso USA.
La proliferazione verticale crescente (più armi nucleari nello stesso Stato) incentiva, alla fin fine, la proliferazione orizzontale (più Stati con armi nucleari).
In base a quali ragionamenti e dinamiche ciò avvenga lo spiega il giornalista statunitense William Langewiesce a conclusione del suo bestseller "Il bazar atomico" (Adelphi, 2007).
Langewiesce fa notare ad un militare pakistano che il rischio di un conflitto nucleare cresce con l'aumento della proliferazione, e il pericolo risiede essenzialmente nei sistemi di comando e controllo delle nazioni tecnologicamente arretrate, e nei loro governi instabili e generalmente autoritari e bellicosi.
La risposta del militare è questa: "Un ordine mondiale con cinque o sei grandi potenze nucleari da una parte, e tutto il resto del pianeta dall'altra, non sta in piedi. Ci sono molti posti come il Pakistan, paesi poveri che hanno preoccupazioni per la propria sicurezza legittime almeno quanto le vostre. E se gli chiedi di risolverle senza ricorrere alle armi nucleari, ti chiedono perchè non lo fai tu, o non lo fanno gli altri. Non si tratta di cosa è giusto o sbagliato. Semplicemente non funziona così".
Morale della favola: se non si esce dal gioco della potenza, se non si affermano una cultura e una logica della "sicurezza comune" per affrontare insieme le sfide che coinvolgono tutti gli uomini in quanto tali (la povertà, le disuguaglianze sociali, le malattie, la crisi ambientale, ed innanzitutto proprio il rischio atomico mediante il disarmo generale), forse si potrà evitare un attentato atomico da parte di forze terroriste; ma nessuna tattica impedirà alla fine che gli Stati che lo vogliano, imitando il Pakistan, si costruiscano il loro proprio arsenale nucleare. Si arriverà inevitabilmente, ineluttabilmente, al far-west nucleare!
E parlando di disarmo atomico generale, quale necessità irrinunciabile ed urgente, per impedire il far-west atomico e quindi anche - alla fine - la deflagrazione totale prevista da Einstein (“O l’umanità distruggerà gli armamenti, o gli armamenti distruggeranno l’umanità”), si deve, a mio parere, contemplare in esso la chiusura di tutto il ciclo del nucleare in quanto tale, perchè, con l'attuale nostro livello di civiltà tecnologica, non abbiamo la base tecnica, materiale, per distinguere l'atomo civile da quello militare.
Il nucleare civile, al di là di ogni buona intenzione, è di fatto la via per arrivare all'arsenale atomico militare, come dimostra la storia stessa della proliferazione. Esempi: la Francia ha fornito ad Israele, nel 1956, il reattore e l'impianto di ritrattamento di Dimona, da dove è uscito il plutonio delle sue prime armi, e il Canada ha consegnato all'India, nel 1955, il reattore ad acqua pesante che ha prodotto il plutonio delle prime bombe indiane. Il padre dell'atomica pakistana, Abdel Q. Khan, lavorava in una ditta olandese di arricchimento dell'uranio.
La causa di questo inestricabile intreccio sta in questa semplicissima equazione: combustibile civile = esplosivo militare. Attraverso le due vie che abbiamo visto con gli esempi: l'arricchimento dell'uranio con l'isotopo U-235 (al 3-5% nei reattori civili, al 90-95% nelle bombe) ed attraverso il ritrattamento delle scorie della combustione per estrarne il plutonio (5 kg per Bomba).
L'opposizione al nucleare "civile" può, paradossalmente, indicare la strada per affrontare in modo non fazioso, politicizzato, ideologizzato, la questione del disarmo: il "bastone" che, diventato pistola, poi fucile, poi missile, in passato "difendeva" una comunità umana; oggi, invece, con la tecnologia del 2000, costituisce comunque la principale minaccia da cui dobbiamo difenderci tutti, l'unica umanità universale che abbiamo su questo pianeta.
L'ho detto alla radio iraniana che mi ha appena intervistato: " Non possiamo inondare la Terra di plutonio - la scoria più ambita della reazione atomica - per decine di migliaia di anni quando solo un grammo di questo elemento artificiale, ottimalmente distribuito, basta a provocare 18 milioni di cancri al polmone. Sono contro il nucleare (civile e militare) per gli americani, i russi, i cinesi, gli italiani ... e gli iraniani. Questa tecnologia è ecocida ed antiumana, è un male in sè: chi prima se ne libera procura un bene per tutti, ma innanzitutto per sè..."

Il regime di non proliferazione nucleare
ha funzionato abbastanza bene
Giulio Mancini
ricercatore del Landau Network-Centro Volta

Il pericolo rappresentato dagli arsenali nucleari, e da un loro possibile utilizzo, è oggi minore da quello che ha minacciato il mondo durante la Guerra Fredda. Questo vale anche per i numeri della proliferazione “orizzontale”: gli Stati oggi dotati dell’arma atomica (il “club nucleare”) sono meno di quanto si pronosticasse alcune decadi orsono. “Solo” nove Stati infatti possiedono armi atomiche, a fronte di previsioni nell’ordine di qualche decina.
Ciò indica che il “regime di non proliferazione nucleare” instaurato negli anni 70, e una certa politica di incentivi e sanzioni (“bastoni e carote”) in ambito multilaterale, hanno funzionato abbastanza bene. Ciononostante, il mondo odierno deve affrontare altri, per certi versi nuovi, pericoli connessi alla proliferazione nucleare, e lo stesso regime deve resistere, ed evolversi, di fronte a sfide e cambiamenti.
È importante analizzare alcuni fattori per rispondere alla fondamentale domanda “perché uno Stato dovrebbe volere l’arma atomica?” (e quindi analizzare casi come la questione nucleare iraniana, o quella nordcoreana). I principali tra questi fattori sono il bisogno di sicurezza, il prestigio, la capacità tecnologica e quella economica. È interessante notare come gli stessi fattori, però, possano anche avere un effetto deterrente.
Un aspetto fondamentale per spiegare le questioni della proliferazione nucleare è legato al “doppio uso” delle tecnologie nucleari civili e militari. Le fasi di “front-end” e “back-end” del ciclo del combustibile nucleare per la produzione di energia, infatti, sono quelle in cui si può creare anche materiale fissile da utilizzare in bombe nucleari, attraverso l’arricchimento dell’uranio e il riprocessamento del plutonio (si prendano ad esempio, in questo senso, le polemiche sulla capacità di arricchimento dell’uranio sviluppata dall’Iran). Ciò assume grande rilevanza in un momento in cui, con l’aumento della domanda globale di energia, il nucleare è sempre più visto, a torto o a ragione, come una fonte di energia preferibile a quelle fossili, e molti Stati valutano l’avvio o l’espansione di programmi di produzione.
In cosa consiste il “regime” di non proliferazione nucleare? L’accordo internazionale principale è il Trattato di Non Proliferazione Nucleare del 1968, che distingue tra legittimi Nuclear Weapon States e Non Nuclear Weapon States; l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica si occupa di verificare che i NNWS utilizzino la tecnologia nucleare solo per uso pacifico e nel rispetto del trattato, attraverso il sistema delle Salvaguardie e il Protocollo Addizionale. Pressioni diplomatiche e sanzioni economico-commerciale deliberate in sede ONU o con accordi paralleli completano i disincentivi alla proliferazione. Altri due “pilastri” del sistema sarebbero il Trattato sulla messa al bando dei test nucleari (CTBT), non ancora in vigore per la mancata ratifica degli Stati Uniti, e l’auspicato Trattato per fermare la produzione di materiale fissile (FMCT), le cui negoziazioni sono attese da almeno un decennio.
Da dove vengono oggi i pericoli di proliferazione nucleare, e quali sono le prospettive di proliferazione? La prima fonte di pericolo sono nuovi Stati che volessero entrare nel “club nucleare”, in particolare per il cosiddetto effetto a cascata della proliferazione nucleare: un nuovo Stato nucleare cambia la percezione di sicurezza nei suoi vicini, che probabilmente cercheranno a loro volta di dotarsi dell’armamento. Questo potrebbe essere il caso di molti Stati in Medio Oriente – dove l’opacità nucleare di Israele è un fattore latente determinante - e in Asia orientale, con reazioni a catena iniziate dall’Iran e dalla Nord Corea. Inoltre, bisogna porre particolare attenzione ai programmi dei numerosi Stati – alcuni in aree storicamente “instabili” – che stanno valutando programmi di nucleare civile. La seconda fonte di pericolo è rappresentata da gruppi terroristi che si impadroniscano (piuttosto che costruire) di testate nucleari; in questo caso motivazioni, probabilità di utilizzo e pericoli sono diversi dal caso di attori statali; d’altra parte, alcuni Paesi (come il Pakistan) destano particolare preoccupazione, per la loro (in)stabilità, sulla possibilità che gruppi terroristici possano prendere il controllo su una o più delle loro testate, e il “mercato nero” nucleare (di cui la rete di A.Q. Khan è stata, in passato, l’esempio più eclatante) è una minaccia da tenere anch’essa in considerazione.
Quali sono le soluzioni, o almeno i passi auspicabili per limitare o evitare, oggi, la proliferazione nucleare? Innanzitutto, è necessario rafforzare il regime di non proliferazione la cui credibilità è minacciata da alcuni fallimenti (in Corea del Nord, in Iran, nella Conferenza di Revisione del NPT del 2005), dalle azioni di alcuni Stati (la legittimazione di fatto di India e Pakistan come potenze nucleari, ma anche la guerra irachena che gli USA hanno iniziato sfiduciando le ispezioni IAEA) e dal “doppio standard” tra NNWS e NWS, i quali non tengono fede al loro impegno al disarmo. La Conferenza di Revisione del NPT nel 2010 dovrà necessariamente riaffermare la validità del regime, oppure sancirne il suo sfaldamento. Allo stesso tempo, è necessario procedere all’entrata in vigore del CTBT e alla stipula del FMCT, e i NWS devono dimostrare praticamente di ridurre l’importanza degli arsenali nelle loro posizioni strategiche e di procedere a un effettivo disarmo.
Altre proposte aggiuntive cercano di assicurare l’uso pacifico delle tecnologie nucleari, evitando i pericoli di proliferazione connessi al ciclo del combustibile, ad esempio creando consorzi di lavorazione dell’uranio e produzione del combustibile o altri tipi di accordi (Multilateral Nuclear Arrangements).
Più in generale, ciò verso cui si dovrebbe spingere è la formazione di una “norma” di diritto internazionale, di un divieto morale e fattuale, all’uso, produzione e possesso di armi nucleari. È ciò che è accaduto per altre due categorie di armi di distruzione di massa, quelle chimiche e quelle biologiche, proibite oggi nella loro interezza (nonostante scarsi sistema di verifica e alcune importanti eccezioni), dopo un uso storico ed estensivo. È importante notare come, oggi, il possesso (clandestino) di armi biologiche o chimiche non sia motivo di prestigio quanto di vergogna, mentre quello di armi nucleari (anche se ottenuto in violazione di accordi internazionali) rimanga ancora motivo di orgoglio, di potere, uno “status symbol”. È importante notare come le posizioni della nuova amministrazione USA riguardo disarmo nucleare e nonproliferazione, di cui il recente e famoso discorso del Presidente americano a Praga è un esempio, siano profondamente diverse da quelle della precedente amministrazione, condizione questa indispensabile per poter procedere con un cauto ottimismo.






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