Nel nome del popolo palestinese
di Tariq Ramadan


Tariq Ramadan has been called a dangerous man. The idea that a thinker can be dangerous seems to belong to an earlier time, when thinking was believed to trigger revolutions. In the context of the present, a time when the transitory moment is prioritised over the sensibility of quietude requisite for thinking, it is more of a radical claim, which nonetheless suggests that there is an interest in Ramadan's ideas, for he has found an audience beyond the confines of the universities in which he teaches, and he has also found his critics -- or rather his critics have found him. It also suggests that, in place of the sensibility of reciprocity required for engaging with thinkers, there is in present-day society a tendency both to value and to censure them.


È davvero sorprendente e disgustoso osservare come, quando si tratta dei palestinesi, memoria e obiettività vengano improvvisamente a mancare. La coscienza ebraica stimola, a pieno diritto, in qualsiasi potere e cittadino del mondo, il ricordo delle atrocità, dei massacri e dei genocidi del passato.
Ma quando abbiamo a che fare con la politica dello Stato di Israele veniamo invece invitati a giungere a valutazioni immediate, al di fuori di qualsiasi prospettiva. Da questo punto di vista, le parti in causa sarebbero due fazioni belligeranti di ugual potenza e, dopo sei mesi di tregua, una delle due parti in conflitto (ossia i palestinesi) avrebbe infranto la tregua mediante il lancio di alcuni missili. La parte aggredita (Israele) non avrebbe pertanto avuto altra scelta che difendersi, o almeno questo è ciò che viene venduto al mondo dal potere israeliano, amplificato dalla maggior parte dei mezzi di comunicazione occidentali, sostenuti dall'amministrazione Bush e da molti governi europei. Solo i più coraggiosi osano a malapena rilevare, pur con riserva, la sproporzionalità della “reazione israeliana”. Che coraggio!
Ma soprattutto, quante menzogne! Sono ormai decenni, da ben prima della conquista del potere da parte di Hamas, che la dignità dei palestinesi viene calpestata ed i loro diritti legittimi negati. Dagli accordi di “pace” di Oslo alla moltitudine di negoziati (e, spesso, impegni), dalle tante promesse alle messe in scena di carattere “mediatico”, i rappresentanti palestinesi non hanno ottenuto nulla per il loro popolo. I governi israeliani, di destra e sinistra, prendono tempo, mentono, giustiziano sommariamente gli oppositori, non danno pressoché alcun peso alle morti di civili palestinesi (nient'altro che danni collaterali alla sicurezza di Israele) e continuano ad autorizzare gli insediamenti di coloni, spingendo sempre più in là la politica del “fatto compiuto”. Un gran numero di esperti, fra cui il relatore speciale delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Richard Falk, affermano che la politica israeliana non rispetta le convenzioni di Ginevra e che, di fatto, sta rendendo impossibile la soluzione dei due Stati.
Il governo israeliano ha deciso di costruire un muro che imprigiona la popolazione della Cisgiordania (facendosi beffa delle decisioni dell’Assemblea delle Nazioni Unite), obbligando inoltre gli abitanti di Gaza a dover sopportare un assedio e un embargo che hanno dato origine a una situazione di fame, mancanza di medicinali e cure mediche, disoccupazione di massa e condizioni di vita quotidiana miserabili e senza speranze. Alle associazioni umanitarie giunte da tutto il mondo è stato impedito di lavorare, provvedere alle prime necessità e far pervenire viveri e materiali. È altresì necessario ricordare che la tregua dal 19 giugno al 19 dicembre 2008 era stata accettata a determinate condizioni: la fine dell’assedio e dell’embargo a Gaza, nonché la parziale apertura della frontiera con l’Egitto. Israele (e l’Egitto) non hanno rispettato alcuna condizione, così che la popolazione palestinese è stata costretta a subire anni, mesi e settimane di trattamento disumano. Bisognerebbe forse dimenticare tali realtà e giustificare i massacri avvenuti in questi giorni? I palestinesi sarebbero quindi responsabili del loro destino poiché da Gaza sono stati sparati dei razzi?! Alla completa assenza di un sentimento di colpevole memoria, deve essere poi aggiunta la perdita del senso delle proporzioni: il numero di vittime israeliane va moltiplicato per cento, duecento o trecento per raggiungere quello dei civili palestinesi uccisi dalle decisioni prese dal governo israeliano.
Quest’ultimo, infatti, continua a prendersi gioco delle istituzioni e della cosiddetta “comunità” internazionale. Ormai, ciò che conta è assicurarsi il sostegno unilaterale degli Stati Uniti e il silenzio assenso dei governi europei. L’efficace lavoro di comunicazione e gli appoggi mediatici (con una buona dose di disinformazione mirata) del governo israeliano sono sufficienti per guadagnare tempo e sottomettere una popolazione di un milione e mezzo di anime a un assedio disumano, seguito da un intollerabile massacro. Siamo stati ridotti allo stato di spettatori che evitano di sentirsi colpevoli con la scusa della “neutralità”. Le proporzioni inimmaginabili ormai raggiunte dal cinismo sono ulteriormente dimostrate dalle affermazioni che collegano la morte di centinaia di civili palestinesi ai calcoli di matrice politica dei leader israeliani, desiderosi di mostrare la propria forza e determinazione in vista delle prossime elezioni. Era infatti necessario lavare l’onta della sconfitta libanese dell’Agosto 2006: a chi importerà mai della vita di innocenti, bambini e donne palestinesi? Ciò che conta è mobilitare i votanti e vincere le elezioni. Si tratta di un’operazione indubbiamente riuscita, giacché l’80% degli israeliani è a favore dei genocidi a Gaza. È spaventoso.
Possiamo forse aspettarci ancora qualcosa dalla “comunità internazionale” di Stati e governi, dopo essere stati testimoni della reazione di questa in Oriente e in Occidente? Il silenzio assenso, l’ipocrisia, l’attendismo, il disprezzo per la vita dei palestinesi, che qualcuno vorrebbe veder volatilizzarsi in Giordania, Libano o in qualsiasi campo profughi “temporaneamente definitivo”. È il momento di costruire un movimento internazionale globale di resistenza non violenta alla politica violenta ed estremista dello Stato di Israele. Bisogna mobilitare l’opinione pubblica, mediante la diffusione di un’informazione rigorosa e permanente circa la situazione della popolazione palestinese, moltiplicando articoli, conferenze e manifestazioni di sostegno al popolo palestinese, migliorando al contempo la sinergia fra sforzi e attività già portate avanti da numerose organizzazioni in tutto il mondo. I palestinesi, lo sappiamo bene, non cederanno e continueranno a difendere i loro diritti legittimi sul campo. Pertanto, è importante che, in tutto il mondo, la loro resistenza venga da noi sostenuta in modo determinato e pacifico. Contrariamente alle apparenze e alla sua incredibile potenza militare, Israele è ben lontano dall'aver vinto questo conflitto e la società israeliana è attraversata da crisi multiple e profonde. Lo Stato e la popolazione di Israele devono comprendere urgentemente che, senza il riconoscimento dei diritti e della dignità dei palestinesi, non vi sarà per loro alcun futuro di sicurezza e, semplicemente, di sopravvivenza. Prendere tempo, illudersi, impantanarsi in operazioni inverosimili e orribili massacri non serve a garantire la vittoria… al contrario.

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