E in Gioco lEtica del Genere Umano di Vaclav Havel, Hasan Bin Talal, Hans Kung, Yohei Sasakawa, Desmond Tutu, Karel Schwarzenberg [Dal quotidiano "La Repubblica" del 3 gennaio 2009 col titolo "A Gaza. E in gioco l'etica del genere umano" e la nota redazionale "Vaclav Havel e' stato presidente della Repubblica Ceca; Sua Altezza Reale Principe Hasan bin Talal e' presidente dell'Arab Thought Forum (Forum per il Pensiero Arabo) e presidente emerito della Conferenza mondiale delle Religioni per la pace; Hans Kung e' Presidente della Stiftung Weltethos (Fondazione per un¥etica globale) e Professore Emerito di Teologia Ecumenica all¥universita' di Tubingen; Yohei Sasakawa e' presidente della Sasakawa Peace Foundation; Desmond Tutu e' stato insignito del Premio Nobel per la pace; Karel Schwarzenberg e' ministro degli esteri della Repubblica Ceca"] Perdere tempo e' sempre deplorevole. Ma il tempo perso in Medio Oriente e' anche fonte di pericolo. E' trascorso un altro anno senza alcun consistente progresso per superare le divisioni tra palestinesi e israeliani. Le incursioni aeree in atto su Gaza, cosi' come i continui lanci di razzi contro Ashkelon, Sderot e altre citta' del Sud di Israele stanno a dimostrare l'estrema gravita' della situazione. L'impasse esistente tra Israele e la leadership palestinese di Gaza sulla questione della sicurezza ha condotto tra l'altro al blocco degli aiuti alimentari israeliani alla popolazione di Gaza, riducendo letteralmente alla fame un milione e mezzo di persone. Sembra che nelle sue trattative con i palestinesi di Gaza Israele sia tornato a impuntarsi sul primato della "hard security": un'impostazione che porta solo a precludere ogni altra opportunita' di segno non violento, ogni soluzione creativa al contenzioso israelo-palestinese. Con l'inasprimento della loro posizione i politici israeliani restano legati alla prospettiva di ulteriori insediamenti israeliani in Cisgiordania. E molti palestinesi, messi in questo modo con le spalle al muro, incominciano a non vedere altra scelta, per tradurre in realta' le loro aspirazioni nazionali, al di fuori delle tattiche piu' radicali. Da qui il rischio di sempre nuove violenze. E' quindi fondamentale, per i partner regionali di Israele come per gli attori internazionali, comprendere che i palestinesi non potranno comunque essere distolti dall'obiettivo strategico della conquista di uno Stato indipendente. Il popolo palestinese non abbandonera' mai la sua lotta nazionale. Ma israeliani e palestinesi devono rendersi conto che non conseguiranno mai i loro obiettivi a lungo termine con il solo uso della forza. E' necessaria invece l'adozione di scelte accettabili per entrambe le parti in causa, volte ad evitare le esplosioni di violenza. E sebbene talora non si possa escludere l'uso della forza, solo la via del compromesso verso una soluzione integrata puo' produrre una pace stabile e duratura. Perche' un processo di risoluzione di un conflitto possa avere esito positivo, e' necessario che le energie generate dallo scontro siano canalizzate verso alternative costruttive e non violente. Questo dirottamento delle energie conflittive e' possibile in ogni fase del ciclo dell'escalation; ma quando non vi e' stata, fin dai primi segnali di tensioni, un'azione preventiva per affrontare i problemi e costruire la pace, soprattutto allorquando il conflitto si intensifica e degenera nella violenza, e' necessario ricorrere a un qualche tipo di intervento. Solo allora diventa possibile instaurare un processo di mediazione e conciliazione, avviare il negoziato, l'arbitrato e la collaborazione in vista della soluzione dei problemi. In definitiva, la ricostruzione e la riconciliazione sono le sole vie percorribili per giungere a una stabilita' che comunque non puo' essere imposta. In tutto questo non c'e' nulla di sorprendente. E tuttavia e' il caso di chiedersi per quale motivo non vi sia stato un impegno piu' concertato e concentrato per trasformare la situazione a Gaza e in Palestina. Si e' parlato di un protettorato internazionale, per proteggere i palestinesi sia dagli elementi piu' pericolosi al loro interno che dagli israeliani, e fors'anche gli israeliani da se stessi; ma questa proposta ha ricevuto scarsa considerazione. Cio' che preoccupa in particolare chi si impegna nella risoluzione delle crisi internazionali e' l'assenza di un tentativo coordinato di costruire un accordo tra israeliani e palestinesi, in vista di una struttura basata su un approccio inclusivo, interdisciplinare e sistemico, in grado di spostare le variabili e di condurre a una pace che entrambi i popoli possano considerare giusta ed equa. Uno degli elementi chiave per una struttura di riconciliazione e' la crescita economica. Come ha ripetutamente sottolineato la Banca Mondiale, esiste una stretta correlazione tra poverta' e conflitti. Ecco perche' una soluzione politica sostenibile tra palestinesi e israeliani non puo' prescindere dal superamento del deficit di dignita' umana, del divario esistente tra una societa' prospera e una popolazione priva di tutto. Ma gli sforzi in questo senso sono stati finora frammentari, e quindi insufficienti a consentire la speranza reale di una vita migliore. E' necessario che tra israeliani e palestinesi si stabilisca un dialogo costruttivo, al di la' dell'enorme divario sociale che li divide; e allo stesso modo e' imprescindibile il dialogo tra le autorita' e la gente comune, gli abitanti di queste zone che vivono nella confusione su quanto si sta facendo in loro nome. E' necessario ricostruire la fiducia per consentire alle parti in causa di individuare le vie per il superamento delle ostilita' del passato. Solo l'avvio di un nuovo clima di fiducia pubblica permettera' di procedere a una diagnosi corretta dei problemi, per poterli affrontare efficacemente. Naturalmente, tutte le parti in causa devono comprendere l'esigenza di sicurezza degli israeliani; e allo stesso modo, le misure di costruzione della fiducia hanno bisogno del contributo di tutti. Ma piu' di ogni altra cosa c'e' bisogno oggi di un chiaro messaggio ad indicare che non la violenza, ma il dialogo e' la via maestra da seguire in questo periodo di grandi tensioni. Quello che e' in gioco a Gaza e' l'etica fondamentale del genere umano. Le sofferenze, l'arbitrio con cui si distruggono vite umane, la disperazione, la privazione della dignita' umana in questa regione durano ormai da troppo tempo. I palestinesi di Gaza, e tutti coloro che in questa regione vivono nel degrado e privi di ogni speranza non possono aspettare l'entrata in azione di nuove amministrazioni o istituzioni internazionali. Se vogliamo evitare che la Fertile Crescent, la "Mezzaluna fertile" del Mediterraneo del Sud divenga sterile, dobbiamo svegliarci e trovare il coraggio morale e la visione politica per un salto qualitativo in Palestina. |