Coi Piedi Per Terra Numero 237 del 12 ottobre 2009
7. TERRA.
Il Biodiesel che Affama
di Serena Corsi

[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 ottobre 2009 col titolo "Il biodiesel
che affama"]


Kilimo Kwanza, "agricoltura prima di tutto". Il governo della Tanzania ha
battezzato cosi' il suo nuovo programma per una "rivoluzione verde", nel
paese in cui l'80% della popolazione vive in aree rurali - il paese della
ujamaa, parola che significa famiglia allargata e indica il concetto-base
del "socialismo rurale" lanciato da Julius Nyerere negli anni '60, un'idea
di sviluppo incentrato sulla comunita'. Ma la "rivoluzione verde" di cui
parlano oggi i dirigenti tanzaniani non ricorda il collettivismo rurale alla
Nyerere. Ruota attorno al progetto di importare tecnologia agricola a basso
prezzo, principalmente dalla Cina. Si potrebbe pensare che questo servira' a
sostenere l'agricoltura familiare e assicurare l'indipendenza alimentare ai
tanzaniani, che dipendono da una buona stagione delle piogge per non morire
di fame. Ma c'e' da dubitarne. Con ogni probabilita' si tratta, piuttosto,
di un'iniziativa nel quadro della campagna che il governo sta portando
avanti gia' da qualche anno a favore degli agrocombustibili, in particolare
jatropha (pianta delle euphorbiacee diffusa in aree tropicali: dai suoi semi
oleosi si puo' produrre un carburante diesel) e canna da zucchero (da
trasformare invece in etanolo). La campagna e' aggressiva, ai coltivatori
spesso sono date solo due alternative: convertire tutta la propria
coltivazione in agrocombustibili o andarsene. Tanto che sarebbero gia'
migliaia i contadini sgomberati o a rischio sgombero per far posto alle
coltivazioni intensive, secondo quanto denunciano due associazioni,
Envirocare e gli autori dello studio "Impact of Jatropha in Tanzania".
Sembra infatti che sul paese si stiano buttando numerose aziende estere, in
cerca di terre fertili e di una legislazione morbida in materia fiscale con
gli stranieri come e' quella tanzaniana (che per questo si e' addirittura
attirata le critiche dei vicini Kenya e Uganda).
Nel suo programma elettorale per l'anno prossimo, il governo si limita a
spiegare che l'energia prodotta servira' a migliorare il lavoro della
popolazione rurale. Non sarebbe male, visto che a causa della siccita' dello
scorso anno un milione di persone oggi rischia la carestia e dipende dagli
aiuti internazionali. Ma le piante con cui si producono gli agrocarburanti
richiedono per crescere grandi quantita' d'acqua, in una regione sul filo
della sete.
Intanto il Tanzania Investment Centre, l'ente governativo che cerca e
promuove gli investimenti stranieri, ha calcolato che 25 milioni di ettari
sono potenzialmente coltivabili a agrocombustibili: vi rientrano tutte le
terre considerate improduttive, ma la definizione e' labile - possono anche
rientrarvi terre potenzialmente produttive ma coltivate a conduzione
familiare e senza mezzi. Insomma, la stima di quest'ente governativo e' una
strizzata d'occhio alle aziende gia' presenti (come la D1 Tanzania Ltd,
sussidiaria locale della britannica Uk D1), la tedesca Prokon e le olandesi
Diligent Energy Sistems e Bioshape. Gli sgomberi dei contadini per far posto
agli impianti e ai campi delle compagnie sono gia' iniziati nel distretto di
Usangu, a Mbeya, e sono sotto minaccia imminente migliaia di abitanti del
bacino del fiume Wami, dove 400.000 ettari sono gia' in concessione a una
compagnia svedese. Secondo Envirocare, "per rendere piu' presentabili gli
sgomberi, il governo dice di aver dato indennizzi ai contadini. Ma quello
che gli da' in cambio di aver tolto loro casa, terra e lavoro sono briciole:
spesso viene pagato l'equivalente di un anno di raccolto e del valore degli
alberi che ci sono sul terreno, mentre non e' neppure considerato il valore
commerciale della terra".







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