Il Clima a Bangkok di Elena Gerebizza [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 ottobre 2009 col titolo "Un clima positivo"] A Bangkok la seconda settimana di negoziato sul clima, in vista dell'incontro ministeriale di dicembre a Copenaghen, si e' aperta con una grande protesta di coloro i quali in Asia soffrono sulla propria pelle gli impatti dei cambiamenti climatici. Lunedi' scorso migliaia di persone hanno marciato per le strade della capitale della Thailandia chiedendo giustizia climatica e una profonda trasformazione del sistema economico che ci ha portato a questa situazione di crisi. C'erano rappresentanti di organizzazioni contadine, di pescatori, popoli indigeni, raccoglitori di immondizia, donne, giovani da tutti il Paese, ma anche da India, Pakistan, Nepal, Cina, Filippine, Indonesia, Corea del Nord, Giappone, Vietnam. Tutti uniti nella grande coalizione dei popoli asiatici "Climate Justice Now!" che riunisce attorno ai principi di giustizia economica, sociale e climatica diverse centinaia di reti e organizzazioni di base di tutto il mondo. Migliaia di voci unite in solidarieta' a quelle dei diversi rappresentanti internazionali che dall'Africa, dall'America Latina, ma anche da Europa e Usa sono giunti qui a Bangkok per discutere assieme di sicurezza alimentare, diritto alla terra, all'acqua, all'accesso alle risorse naturali, all'energia e ai servizi di base. Questioni centrali connesse al problema climatico ma tutte escluse dal negoziato. La manifestazione e' stata preceduta infatti da un grande forum con oltre 500 persone dalle comunita' di base di tutta la Thailandia, dove si e' parlato di sicurezza alimentare e giustizia economica e sociale, e delle violazioni dei diritti delle comunita' intrinseche al modello economico e di sviluppo dominante, incentrato sull'estrazione di combustibili fossili e sulla costruzione di mega-infrastrutture, ma anche su un modello di produzione agricola di larga scala e per l'esportazione estremamente energivora e insostenibile. Nel corso della settimana ha avuto luogo anche un forum delle alternative, dove rappresentanti delle diverse organizzazioni e movimenti per la giustizia climatica, tra cui l'italiana Crbm, hanno discusso gli aspetti cruciali della finanza per il clima e della responsabilita' storica che i governi delle grandi economie industrializzate (principalmente Europa e Usa) hanno verso i Paesi del Sud, delle colpe della Banca Mondiale per il suo sostegno all'industria estrattiva, e del debito ecologico e climatico - ossia derivato dall'utilizzo sproporzionato dello spazio atmosferico dai cittadini degli Stati sviluppati, a svantaggio di quelli del Sud - di cui oggi il Sud chiede la restituzione. Questioni di giustizia che vanno molto al di la' di quanto si trova al momento sul tavolo del negoziato sul clima. Specie dopo il grave arretramento dell'Unione Europea, oggi disposta a riduzioni delle emissioni interne davvero ridicole, comprese tra l'11 e il 18%, molto meno di quanto discusso precedentemente e dei livelli richiesti dalla comunita' scientifica internazionale (si parla di una riduzione necessaria del 45% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, per evitare che la temperatura del pianeta aumenti di piu' di 2 gradi). Inoltre, meno della meta' di queste emissioni saranno reali: il resto viene affidato al mercato dei crediti di carbonio e alla realizzazione di progetti spesso di dubbia efficacia fuori dall'Europa, che di fatto permettono al mondo della finanza di speculare sulla compravendita di una merce virtuale come le riduzioni di emissioni di carbonio in atmosfera. Business as usual quindi, di cui approfittano banche e grandi imprese inquinanti. E se il negoziato a Copenaghen fallisce, non crediamo a chi dira' che e' per colpa della Cina. |
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