Lettera aperta ai soci per l’assemblea IPRI-Rete CCP 2009
di Alberto L'Abate


Cari amici, soci individuali o collettivi (come associazioni) dell’IPRI-Rete CCP, tra pochi giorni, con quelli di voi che vorranno venire (spero molti), ci troveremo a Torino per la prossima Assemblea. E’ una assemblea importante perché prevede non solo la messa in discussione di quanto fatto, e la messa a punto di ciò che si vuole fare in futuro, ma anche la nomina di tutto il direttivo dato che quello passato scade con questa assemblea, ed alcune delle cariche si presentano come dimissionarie (in particolare Raffaele Barbiero, il nostro tesoriere, che sta programmando di andare all’estero a studiare i metodi migliori per lavorare per la pace, e Silvano Tartarini, l’attuale segretario generale, che trova troppo gravoso portare avanti come segretario sia l’organizzazione specifica cui appartiene: i Berretti Bianchi, sia quella dell’IPRI-Rete di cui la sua associazione fa parte, e vorrebbe concentrarsi solo sulla prima che sente di aver trascurato per il lavoro per quest’ultima. Anche io personalmente comincio ad essere stanco del lavoro di presidenza ed, a meno che l’assemblea non dia chiari segnali di ripresa di vitalità della nostra associazione, ho intenzione di lasciare a qualcun altro, magari più giovane di me (comincio a sentire il peso dei miei 78 anni) il ruolo da me ricoperto in questi anni. Credo che comprenderete le ragione del mio scoramento. Nella nostra carta intestata continuano ad essere segnate oltre 15 organizzazioni di base che aderiscono alla nostra iniziativa. In realtà quelle che hanno pagato la quota (abbastanza ridotta) per essere soci, ed hanno confermato il loro interesse a mantenerla in vita, sono molte di meno, o cinque o sei. E molti dei soci cominciano a ritenere che, dopo la nascita a Roma della Tavola per gli Interventi Civili di Pace, cui aderiscono molte delle nostre stesse organizzazioni ed anche varie altre che operano nel settore, la principale funzione per cui eravamo nati, e cioè il mettere in rete e far collaborare reciprocamente le organizzazioni che operano nel campo dei Corpi Civili di Pace e della Difesa Nonviolenta è venuta meno sostituita appunta da questa nuova realtà più larga e solida della nostra (almeno per i soldi di cui può disporre attualmente grazie al progetto Infoeas approvato dal Ministero degli Esteri della passata legislatura).
Questo sarà perciò il tema fondamentale che dovremo discutere a Torino e sul quale prendere una decisione: restare in vita perché siamo ancora importanti e vitali per il lavoro in questo settore, ed in questo caso procedere alla nomina delle nuove cariche per portare avanti le iniziative nel modo migliore, o chiuderci definitivamente per mettere tutti i nostri sforzi nel portare avanti, anche qui nel modo migliore, le attività previste dall’Infoeas , e rendere permanente e più organizzata la Tavola di Roma che è nata anche grazie ai nostri sforzi passati?
Credo che ci siano ragioni valide per ognuna di queste due scelte, a meno di non trovare una sintesi dialettica tra le due che dovremo inventare.
Cercherò di vedere, dal mio personale punto di vista (dispostissimo a sentire anche opinioni diverse) le ragioni per ognuna di queste due scelte, partendo però dalla seconda: quella della chiusura. Ma forse, prima di affrontare questo dilemma è giusto fare un pò di storia della nostra associazione anche perchè molte delle persone che si sono avvicinate, in questi ultimi anni, ad interessarsi di questi temi, non ne sanno niente o quasi niente.

Un pò di storia
L’IPRI, l’Italian Peace Research Institute, è nato a Napoli nell’anno per iniziativa di un prete cattolico Mario Borrelli, che si era dato da fare per raccogliere dalle strade i tanti ragazzini (gli scugnizzi) abbandonati a se stessi di quella città organizzando una casa per la loro educazione (lavoro che ha ispirato film importanti), e che si è poi laureato in economia in Inghilterra, diventando membro attivo della commissione di educazione alla Pace dell’IPRA, International Peace Research Association, una associazione che raccoglieva i più importanti ricercatori di questo settore del mondo. L’IPRI è nato, nel 1978, come sezione italiana di questa organizzazione internazionale, alla sua fondazione hanno partecipato anche Antonino Drago ed altri napoletani dell’area nonviolenta. A questa associazione hanno poi aderito praticamente tutti gli studiosi italiani che si interessavano e facevano ricerche sulla nonviolenza che si incontravano, se possibile anche ogni anno ed in città diverse, con un contributo finanziario degli Obbiettori di coscienza alle Spese Militari, per confrontare reciprocamente le rispettive ricerche e portare avanti, insieme, lo studio delle principali tematiche connesse all’applicazione concreta, nella società italiana, delle iniziative nonviolente. Da questi incontri sono nate alcune delle più importanti pubblicazioni su queste tematiche. Per non citarne che alcune: A.Drago, G. Stefani, a cura di, Una strategia di Pace: la difesa popolare nonviolenta, Bologna, Ediz. FuoriThema, 1993; G.Stefani, a cura di, La difesa popolare nonviolenta in Italia e nelle crisi internazionali, Bologna, Ediz. FuoriThema, 1992; A, Drago, M. Soccio, a cura di, Per un modello di difesa nonviolento: che cosa ci insegna il conflitto nella ex.Jugoslavia?, Editoria Universitaria, Venezia, 1995; ed, a cura della Segreteria per la Difesa Popolare Nonviolenta e del centro Eirene di Bergamo, Invece delle armi: obiezione di coscienza, difesa nonviolenta, corpo civile di pace europeo, Bologna, Ediz. FuoriThema, 1996; ed i tanti Quaderni della Difesa Popolare Nonviolenta, curati da A. Drago e pubblicati dalle Edizioni La Meridiana. La Rete invece per i Corpi Civili di Pace ha cominciato a prendere forma nel gennaio 2001 con una riunione dei vari gruppi che operavano con questo strumento, svoltasi alla Casa per la Pace di Pax Christi dell’Impruneta , Firenze, il 26-27 gennaio 2001. Ha proseguito poi con altri incontri fino alla costituzione ufficiale della Rete il 6-8 giugno 2003 a Bologna con un convegno che ha posto le basi della sua attività futura. Una delle attività messe a fuoco, che hanno portato ad organizzare un seminario apposito presso il Parlamento italiano cui ha partecipato anche l’allora Sottosegretario agli Affari Esteri Giovanardi, è stata la predisposizione e la presentazione di un progetto di legge (n.269, 15° legislatura, 2005) per far ottenere ai partecipanti di iniziative dei Corpi Civili di Pace un anno di congedo dal lavoro. Il progetto legge, purtroppo, è poi decaduto, non molto tempo dopo, con la conclusione di quella legislatura. L’Ipri, e la rete CCP, nel dicembre 2004 hanno poi collaborato con il progetto di Università Europee per la Pace, coordinato dall’Università di Firenze e diretto dal sottoscritto, per organizzare, a Firenze, un convegno internazionale sul tema dell’Europa e la prevenzione dei conflitti armati, e sul ruolo dei Corpi Civili di Pace in questa attività. A questo hanno partecipato, oltre agli italiani già impegnati in precedenza nell’IPRI e nella rete CCP, alcuni dei più importanti studiosi internazionali su questo tema (Galtung, Truger, Reychler, Martinelli, ecc.) Il materiale preparatorio di quel convegno è stato pubblicato nel numero speciale di MissioneOggi sui “Corpi Civili di Pace” (novembre 2005) mentre gli atti, con vari aggiornamenti ed una importante intervista sulla storia degli Shanti Sena Indiani, a Narayan Desai, il loro organizzatore, sono usciti solo nel 2008 per i tipi della Firenze University Press, e saranno presentati, e discussi a Torino durante la nostra assemblea. Durante il convegno di Firenze si è svolta anche una assemblea congiunta dell’IPRI e della Rete CCP ed è stato deciso di unificare i due organismi per poter legare lo studio e la ricerca, portati avanti dal primo, con l’attività concreta di prevenzione e di trasformazione dei conflitti, realizzata invece dalle associazioni partecipanti alla seconda. E questo con in mente l’idea madre, da me sperimentata concretamente durante molti anni di ricerca e di insegnamento della metodologia della ricerca, dell’importanza della ricerca-azione che unisce simbioticamente questi due aspetti. In una assemblea successiva si è poi deciso di modificare il primo statuto, come Onlus, in quello di “Associazione di Promozione Sociale” che permetteva meglio la partecipazione, come membri attivi, sia degli individui, come quelli che prima partecipavano all’IPRI, sia delle organizzazioni, che erano invece quelle che facevano parte della Rete.
Ma prima di concludere questo paragrafo è giusto anche parlare delle attività più recenti portate avanti dall’ormai congiunta IPRI-Rete CCP. Questa ha approvato, nelle loro linee di massima, due importanti progetti di intervento di Corpi Civili di Pace, uno in Medio Oriente , ed uno nel Kossovo, che però, sono restati solo sulla carta perché richiedevano di essere condivisi da altre organizzazioni in loco, da cercare, e che qualcuno dei membri presentasse la richiesta di finanziamento alla Comunità Europea, cosa che nessuno si è offerto di fare. Restano progetti da perfezionare e tener presente nel caso la decisione dell’assemblea fosse quella di restare in vita e di proseguire il nostro lavoro. Inoltre l’IPRI-Rete CCP ha cercato di portare avanti la riflessione comune tra operatori sul campo e ricercatori e studiosi di questi problemi, e l’ha fatto, con la collaborazione della Provincia di Bolzano e dell’Università di Bologna, organizzando un altro confronto, anche questo con studiosi internazionali, dando molta importanza alla discussione concreta nei gruppi di lavoro, nel convegno di Bolzano-Bologna ( date) . E’stato un momento molto importante di approfondimento, a detta di tutti i partecipanti, i cui atti non sono ancora pubblicati ma sono rintracciabili nel sito del Master di formazione di operatori internazionali di pace della Provincia di Bolzano. Una seconda iniziativa, per l’allargamento della conoscenza di cosa sono i Corpi Civili di Pace, ed a cosa servono, è stata fatta con la collaborazione della Regione Friuli Venezia Giulia che ha portato all’organizzazione di vari incontri e seminari a Trieste, Pordenone, Gorizia, ed Udine. L’Ipri-Rete CCP ha anche collaborato attivamente ad alcune iniziative del progetto della Rete Disarmo “Territori Disarmanti”, a Firenze ed a Milano. Ma molta energia la nostra associazione l’ha profusa proprio nello stimolare la nascita e lo sviluppo della Tavola degli Interventi Civili di Pace, e del progetto, approvato dal Ministero degli Esteri, dell’Infoeas sugli interventi civili di Pace . Questa attività, oltre al sottoscritto che ha però solo partecipato ad alcuni incontri chiave con l’allora Vice Ministro degli Esteri Sentinelli, è stata portata avanti soprattutto da Maria Carla Biavati, che è stata incaricata dal Direttivo della nostra associazione di promuovere e seguire attivamente questa iniziativa, e da due miei studenti, laureati del corso per “operatori di pace” da me promosso, che hanno collaborato con la Presidenza dell’IPRI-Rete , e cioè, Guido Gabelli che, prima di partire per lavorare con Nonviolent Peace Forces nello Shri Lanka, ha collaborato attivamente a mettere a punto il progetto approvato dal Ministero degli Esteri, e poi, Marco Sodi, che sta attualmente coordinando il progetto Infoeas nella Regione Toscana che è una delle 8 regioni coinvolte.
Inoltre il direttivo, ritenendo importante promuovere un superamento della frantumazione dei gruppi e organizzazioni che si ispirano alla nonviolenza e lavorano per la pace ha approvato, a maggioranza (con il voto contrario del MIR che riteneva importante continuare a lavorare con la rete di Lilliput) il documento della Agenzia della Pace di Sondrio “Intrecciare i percorsi” che cerca di superare la frammentazione delle campagne in atto proponendo, come campagna unificata, l’obiezione di coscienza e la creazione dei Corpi Civili di Pace. Per questo, per dar vita anche ad una strategia comune, il direttivo ha approvato un documento programmatico per una politica di disarmo e di pace del nostro paese che ha presentato al raggruppamento di base “Agire Politico”, partecipando, con vari membri, a svariati suoi incontri.
Inoltre, per quanto riguarda la decisione di raddoppiare la base di Vicenza, e le lotte nonviolente che la popolazione di quella città sta portando avanti, giustamente, contro questa assurda e criminale decisione, molti dei nostri membri, individuali e collettivi, ed anche del nostro direttivo, hanno partecipato attivamente sia alle varie manifestazioni e iniziative per sostenere l’assurdità della decisione ed ostacolarne l’attuazione, sia a training per la formazione all’azione diretta nonviolenta dei comitati che vi si oppongono; ed infine, con il loro appoggio, e per iniziativa dei Berretti Bianchi, hanno scritto un appello al neo eletto presidente degli USA Barak Obama. Questo appello, sottoscritto dai vari comitati di Vicenza che si oppongono alla base, ed al quale hanno aderito in complesso circa 60 organizzazioni di base italiane, che propone, invece di una nuova base militare, di fare in quella città un centro internazionale per la prevenzione dei conflitti armati e la formazione dei Corpi Civili di Pace, è stato incluso nel sito di Obama, ed in molti altri noti siti italiani ed internazionali, ed è, in particolare, apparso in un importante numero della rivista della “sinistra spirituale statunitense, Tikkum” che Obama ha ricevuto, ha apprezzato, ed ha anche realizzato, come prima cosa, proprio quello che la rivista gli chiedeva, la chiusura della base di Guantanamo. Speriamo che anche la nostra proposta, con l’appoggio delle lotte concrete che i vicentini stanno portando avanti con coraggio e serietà, trovi sempre più spazio nelle decisioni dell’attuale governo statunitense.
Ma passerò ora ad analizzare le possibili ragioni di ognuna delle due scelte prima individuate:

A) Chiudere,perché?: la prima ragione: la carente organizzazione. E’ certo che dal punto di vista organizzativo la nostra associazione è stata tutt’altro che efficiente, con la sede ufficiale a Torino presso il Centro Studi Sereno Regis, presso il quale svolgeremo la nostra assemblea ; la tesoreria a Forlì, la segreteria generale in Versilia, e la presidenza a Firenze. Con una o due persone che fossero state impegnate, anche a tempo parziale, per questa attività forse questo decentramento avrebbe potuto anche essere positivo. Ma con persone del direttivo impegnate ovunque in tante altre attività, e con scarso tempo a disposizione, questa dislocazione dei compiti ha reso molto difficile anche il coordinamento interno dell’Associazione. Questo ha fatto sì che anche documenti importanti (come la delibera della Regione Friuli-Venezia Giulia), arrivati a Torino non sono stati trasmessi agli altri centri, ed alla fine sono andati addirittura persi. E per i suoi tanti impegni a livello locale il CSSR non ha potuto mettere a disposizione nemmeno un volontario, anche a tempo parziale, per seguire con continuità le attività di questo organismo. E’ difficile in queste condizioni riuscire a fare un buon lavoro. La seconda ragione è legata ad un’altro problema, che ha inficiato notevolmente il lavoro, e cioè la nomina del direttivo di 8 persone. Di questo, nell’assemblea di Bologna (anno?) in cui sono state nominate le cariche, sono venuti a far parte rappresentanti di alcune delle associazioni aderenti, ma sono invece stati esclusi, per mancanza di posti, quelli di altri. In particolare le persone elette sono risultate far parte delle seguenti organizzazioni: Berretti Bianchi, Centro Studi Sereno Regis, Movimento Nonviolento, Movimento Internazionale della Riconciliazione, GAVCI, Alon-Forlì, la Fondazione Langer, e soci individuali dell’IPRI. Tutti movimenti che hanno la maggior parte dei loro iscritti nelle zone del centro-nord Italia. Questa è stata una delle cause, non forse l’unica ma sicuramente importante, del distacco progressivo delle altre associazioni aderenti non rappresentate nel direttivo, varie delle quali, inoltre, essendo più presenti nelle zone del centro-sud ed avendo la sede a Roma, sono state attivissime, invece, nella creazione della Tavola ICP (tra queste: l’Associazione per la Pace, il Servizio Civile Internazionale, il Centro Studi Difesa Civile). Una terza ragione, legata ad un’altra disfunzione, che porta varie persone a dubitare della validità di mantenere in vita la nostra associazione, è stata quella che nell’unificazione di una associazione con membri individuali, come l’IPRI, con la Rete dei Corpi Civili di Pace, che non aveva un direttivo, ma solo incarichi temporanei per specifici compiti, ed alla quale partecipavano anche altre associazioni molto attive in questo campo, come l’Operazione Colomba, questa partecipazione diffusa (anche se talvolta saltuaria) si è andata perdendo, tanto che questa ultima organizzazione ha addirittura richiesto di non aderire. E’ questo, credo, uno dei problemi di fondo da sciogliere: è meglio avere una associazione con una struttura rigida ben precisata (anche se l’IPRI-Rete CCP ha sempre cercato di allargare gli incontri del direttivo alle altre organizzazioni non rappresentate), oppure è meglio una organizzazione a rete con una direzione più sciolta e libera (anche se qualche volta questa rischia di cadere in una totale anarchia) ? Ma credo che i principali elementi a favore della chiusura siano questi.
B) Non chiudere, perché? . Anche per questa scelta ci sono valide ragioni. La prima può essere ritrovata nella lunga storia dell’IPRI e nelle competenze acquisite dai suoi membri, nei lunghi anni di approfondimento di queste tematiche, ed in particolare nella lunga esperienza sviluppata, da alcuni di loro, nella ricerca-intervento che è quella che i più attenti studiosi di ricerca per la pace considerano cruciale per operare bene in questo campo. La seconda ragione perchè la nostra associazione è stata attivissima nel predisporre le basi della Tavola ICP, ed in particolare del progetto INFOEAS approvato dal Ministero. E’ una delle cinque organizzazioni che ne hanno firmato il protocollo, e che sono impegnate in prima persona, in parte anticipando anche le spese, nel portare avanti le attività del progetto, in particolare con incarichi precisi soprattutto per la formazione di secondo livello, di operatori qualificati in questo campo. Se la nostra associazione si chiudesse e dovesse interrompere i propri impegni tutte le attività del progetto ne verrebbero a risentire. Una terza ragione, da approfondire meglio, è forse quella che la strutturazione come APS, che permette l’adesione non solo dei soci individuali ma anche delle singole organizzazioni, può essere utile per presentare progetti, ed averli più facilmente approvati, a Regioni, Enti Locali minori (Province e Comuni), a governi stranieri che, come quelli del Nord Europa, sono molto impegnati a promuovere iniziative di questo tipo (Germania, Svezia, Norvegia, Danimarca, ecc.), ed anche ad organismi sovra nazionali come la Comunità Europea, le Nazioni Unite, e simili. Infine un’ultima ragione è quella che la Tavola per gli Interventi Civili di Pace non ha ancora una struttura stabile, e rischia di svanire quando, tra nemmeno un anno, il finanziamento e le attività per il progetto INFOEAS saranno terminate, ed è molto dubbio che il governo attuale, che ha dato tutti segnali contrari rispetto alla prevenzione dei conflitti armati, e lo sviluppo di interventi civili di pace (a parte una grande retorica, spesso, sulla cosiddetta “soft power”), sia disposto a rinnovare i finanziamenti per portare avanti quelle iniziative anche all’estero che la Tavola sta programmando, anche qui con il nostro attivo contributo.
C) Una possibile sintesi? Come sappiamo tra tesi ed antitesi la dialettica invita a trovare una sintesi. E’ possibile, anche in questo caso, trovare una sintesi tra le ragioni della chiusura e quelle del mantenere in vita la nostra associazione? L’unica che mi viene in mente è quella di una profonda riorganizzazione che porti ad una forma di rinascita che elimini le disfunzioni che abbiamo individuate. Una proposta che ho già fatto girare, in forma ufficiosa, incontrando alcuni pareri positivi, ma altri contrari, è quella di cercare di dare alla nostra associazione una organizzazione più simile alla rete, ma senza perdere le caratteristiche di APS che ha preso nel suo attuale statuto. Questa proposta, se accettata dall’assemblea, proporrebbe di portare a 9 i rappresentanti del direttivo, di nominarne in assemblea solo 4, lasciando gli altri 5 posti ai rappresentanti eletti invece dal Tavolo ICP di Roma. E di far nominare la presidenza dal direttivo completo dei 9. Non sarebbe la morte della nostra associazione, una specie di suicidio totale, ma un suicidio solo parziale, perché si manterrebbe in vita ma dando la maggioranza dei posti del direttivo ai rappresentanti della Tavola ICP, permettendo a questa di essere presente in modo importante nella gestione dell’IPRI-Rete CCP, con svariate delle molte associazioni che fanno parte della tavola. Ma nel caso questa proposta non fosse approvata, ed emergesse la volontà di restare in vita dovremmo comunque cercare di correggere le disfunzioni riscontrate evitando che la gestione dell’associazione sia concentrata nel Centro-Nord, e fare in modo che nel direttivo siano presenti, se vogliono aderire ancora, anche associazioni di Roma e del Centro-Sud. E questo anche cercando di correggere il fatto che facendo l’assemblea a Torino, saranno presenti molti più soci del centro-nord, e questo rischia di confermare la preminenza di associazioni di questa area geografica rispetto a quelle del Centro –Sud.
D) Alcuni commenti sul “che fare” se l’associazione si mantiene in vita e vengono fatte le elezioni del nuovo direttivo. Personalmente, invitato a partecipare alla recente assemblea della Campagna per l’Obiezione di coscienza alle spese militari (svoltasi a Firenze presso il quartiere Le Piagge), e nella quale abbiamo anche discusso alcuni dei problemi sui quali l’IPRI-Rete aveva preso posizione (come, ad esempio, la Campagna “Incrociare percorsi”), ho condiviso le decisioni di massima che sono emerse e che cercherò di riassumere considerandole punti programmatici di un rilancio della nostra organizzazione nell’ipotesi di continuare a vivere, e di continuazione, non necessariamente come presidente, del mio impegno al suo interno. Le esprimo così come le ho comprese e come le ho accolte:
1) Un rilancio dell’obiezione di coscienza alle spese militari anche come forma di disobbedienza civile, forma che attualmente è diventata molto marginale (solo tre persone su 500, è stato detto, mantengono la posizione originaria con la quale la campagna era nata, e sono oggetto di espropri o di processi). La decisione è stata quella di dar vita ad un gruppo di lavoro, di alcuni di quelli che hanno mantenuto questa stessa caratteristica ed altri interessati a riprenderla, che con l’aiuto di alcuni degli avvocati che hanno difeso questi processi, studino una forma di rilancio che riescano a far superare le difficoltà burocratiche ed amministrative che sono state progressivamente messe in atto, e che hanno reso sempre più complessa, fino a quasi svuotarla, la stessa campagna.
2) Dubbi vari sono stati invece espressi sulla proposta approvata nell’assemblea OSM precedente di concentrare il 5 per mille per un fondo comune di costruzione dei “corpi civili di pace” (mantengo questa dizione rispetto a quella usata a Roma di “interventi civili di pace” perché in questa ultima dizione è più facile mescolare interventi puramente umanitari con altri che puntino invece alla prevenzione ed alla loro trasformazione nonviolenta dei conflitti, che sono quelli sui quali l’IPRI-Rete CCP si concentra). I dubbi sono quelli che ormai molte delle associazioni che fanno parte anche dell’IPRI-Rete CCP, e la stessa campagna OSM, utilizzano i fondi raccolti o per la propria sopravvivenza o per portare avanti iniziative specifiche da loro promosse (gli OSM, ad esempio, per un Osservatorio sulla DPN e l’Obiezione di coscienza).Un altro dubbio è la scarsa utilizzabilità di questi fondi che arrivano solo dopo svariati anni da quando sono stati versati. La proposta emersa, che personalmente ho accettato come valida, è quella di chiedere ad ognuna di queste associazioni che utilizzano il 5 per mille, e sono interessate anche a dar vita ai Corpi Civili di Pace, di darne una quota, da loro decisa, quando l’avranno, ad un fondo comune, da gestire insieme, per portare avanti iniziative di questo tipo sia in Italia che all’estero.
3) Di questo fondo e di questa gestione comune, dovrebbero venire a far parte anche i soldi raccolti di una campagna, da lanciare insieme, tipo “Tassa per la Pace”, o per evitare il termine tassa, ”Contributo volontario per la pace”, sul tipo di quella che viene ormai normalmente portata avanti dalle campagne internazionali per la “Peace Tax” che hanno sostituito, in molti paesi del mondo , l’obiezione di coscienza alle spese militari. Se fatta bene può portare alla raccolta di fondi non indifferenti per attività di questo tipo.
4) L’organizzazione di un convegno di studio e di proposte, con tutte le associazioni interessate alla nonviolenza, e che si occupano di questi problemi, per “elaborare una strategia comune” che, anche senza necessariamente arrivare a creare una unica organizzazione, permetta alle varie realtà alternative di base di operare in modo concordato e coordinato verso obbiettivi comuni, così da riuscire a realizzare concretamente progetti comuni seri (si veda la mia relazione, pubblicata sulla rivista “Gaia”, e distribuita ai partecipanti alla assemblea di Torino, su “Costruire la pace dal basso”, che è poi un breve estratto del libro che presenteremo sabato dopo cena a Torino), e che poi possano anche riuscire a modificare le scelte politiche del nostro paese. Questo percorso, dall’assemblea OSM, è stato definito “Incrociare percorsi programmatici”, e credo che la nostra associazione, che è nata apposta per questo, e che da anni porta avanti questo obbiettivo, insieme con gli OSM, cui aderiscono anche alcune delle associazioni che si sono allontanate da noi (Operazione Colomba), o si stanno allontanando dalla nostra (Assopace, SCI, CSDC, ecc.), sia accreditata a contribuire attivamente a questo percorso.
5) L’ultima decisione emersa all’assemblea è quella che, dopo aver fatto questo convegno, ed aver delineata una politica comune, si chieda di fare quello che Antonino Drago propone da tempo, e cioè il far pressione, tutti insieme, come delegazione accreditata, sul sottosegretario Giovanardi, che è incaricato di seguire il Servizio Civile e di applicare la legge che istituisce il Comitato Nazionale per la Difesa Nonarmata e Nonviolenta, che è scaduto, la cui nomina è per il momento sospesa, perché lo rinnovi dando a questo una veste seria e compiti chiari per portare avanti, concretamente, quella che è una delle maggiori conquiste giuridiche del nostro paese, e cioè la Difesa Nonviolenta come compito istituzionale dello stato e non solo delle singole organizzazioni che operano in questo settore.

Come vedete le decisioni da prendere nella nostra assemblea sono notevoli e cruciali, perciò mi auguro che molti di voi decidano di partecipare, e che il dibattito, durante la stessa, sia vivace e produttivo, e porti a prendere decisioni sagge per la nostra organizzazione e per il movimento italiano per la nonviolenza e la pace in generale.

Il presidente uscente

Arrivederci a presto

Alberto L’Abate




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