Tratto da La Nonviolenza è in Cammino L'arroganza e l'Ipocrisia di Renato Novelli [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 agosto 2009 col titolo "Aung San Suu Kyi: l'arroganza dei militari, l'ipocrisia internazionale"] Negli anni '20 del secolo scorso George Orwell, allora sconosciuto funzionario britannico in Birmania, scriveva un saggio intitolato "Shooting an elephant". Sparando a un incolpevole pachiderma, circondato da funzionari birmani che si aspettavano quel gesto come consacrazione del suo essere un Sahib coloniale, capi' la fragile impostura e l'ordine crudele del colonialismo imperiale britannico. La favolosa Birmania divenne cosi' il centro di una riflessione sulla crisi dei regimi coloniali. Oggi, con il suo nuovo nome di Myanmar, la Birmania e' oppressa da uno dei regimi piu' spudoratamente autoritari del mondo: ma non e' un caso limite di deviazione in un mondo avviato alla democrazia, bensi' la bussola della miope rotta della democrazia internazionale, simile in questo all'idea universale dell'Impero civilizzatore britannico. Con gesto grottesco, il regime militare birmano ha trasformato in reato la visita inattesa di un mormone americano, giunto a nuoto nella casa di Aung San Suu Kyi, la leader dell'opposizione che si trovava agli arresti domiciliari in una residenza supersorvegliata dalla polizia. Il tribunale ha emesso una condanna a tre anni che i generali hanno trasformato con magnanimita' in un anno e mezzo di arresti domiciliari, giusto il tempo per impedire a Suu Kyi di partecipare alla campagna elettorale delle sbandierate elezioni del prossimo anno. La misura dell'arroganza militare e' commisurata all'impotenza internazionale. Dei governi, dell'Onu, ma anche della societa' civile internazionale. Eppure qualcosa si muove in queste ore di indignazione proclamata. India e Cina, due amici chiave del regime militare birmano, hanno ribadito l'auspicio di un percorso democratico, pur senza interferenze e "nel rispetto delle decisioni dei sovrani tribunali birmani". Fariseismo, certo, ma anche la volonta' di conservare i propri interessi economici e strategici senza fare la parte di protettori dei cattivi. La Cina - che ironia - ha aggiunto un riferimento alle minoranza etniche, uno dei problemi irrisolti di ogni eventuale democrazia birmana. Negli Usa Barack Obama parla forte: ma anche dopo la sentenza non ha cancellato la visita ufficiale a Myanmar del senatore Jim Webb, veterano del Vietnam, presidente della subcommissione del Senato per il Sud-est asiatico, che sbarchera' oggi a Yangoon con un seguito di industriali e incontrera' il generale Than Shwe, capo della giunta militare, nella capitale-fortezza di Napyidaw. Proporra' forte assistenza allo sviluppo, con investimenti basati sulle risorse naturali della Birmania, in cambio di un percorso verso una qualche democrazia: cosa che muterebbe l'attuale economia regionale della Birmania con i vicini paesi dell'Asean (l'organizzazione del sud-est asiatico) che si limitano, tutto sommato, a traffici lucrosi e a una linea di non interferenza: in Thailandia il primo ministro Abhisit ha rinviato un commento alla lettura integrale della sentenza; a Singapore l'ex premier Goh ha detto che Suu Kyi e' un problema e non la soluzione come pensano gli europei. Domani nella capitale indonesiana Jakarta si riuniscono gli oppositori birmani in esilio. Una road map di democrazia reale metterebbe in questione l'opportunismo dei paesi dell'Asean, e la complicita' di Cina e India, oltre a dare una misura dell'eventuale tentativo di Obama: il quale credera' senz'altro nella democrazia, ma di sicuro crede anche agli interessi americani e di rado le due cose coincidono. Cina e India potrebbero essere garanti e partners del progetto di sviluppo, che forse non e' realistico politicamente, ma lo sarebbe economicamente. |