fonte: La Repubblica 16 marzo 2008 La capitale tibetana presidiata da migliaia di soldati cinesi Proteste in altre aree dell'altipiano, soprattutto in Amdo La rivolta si estende oltre Lhasa Dalai Lama: "Genocidio culturale" ... "Io non posso fermare le violenze, è un movimento di popolo" di Raimondo Bultrini DHARAMSALA - Lhasa è presidiata da migliaia di soldati e solo piccoli gruppi hanno manifestato oggi nelle strade semideserte. Duecento camion con una media di 50 soldati l'uno sono affluiti nellac apitale tibetana, secondo informazioni fornite da diverse fonti e rimbalzate nella città degli esuli, Dharamsala. Ma altre manifestazioni, e altri morti, sono segnalati in altre regioni dell'altipiano, soprattutto in Amdo, area d'origine del Dalai Lama dove si parla di altre 30 vittime. Da ieri circolano inoltre diverse voci di una marcia degli abitanti di alcune province limitrofe verso Lhasa, ma senza conferme. I media cinesi, che continuano a parlare di dieci vittime han delle violenze da parte della comunità tibetana, hanno riportato una posizione, evidentemente ufficiale, che invoca una "guerra di popolo" per "battere il separatismo, denunciare e condannare gli atti malevoli di queste forze ostili e mostrare alla luce del giorno il volto odioso della cricca del Dalai Lama". Le autorità hanno anche ribadito la scadenza entro la mezzanotte di domani, lunedì, dell'ultimatum perché i manifestanti si costituiscano se vogliono evitare più gravi conseguenze. A Dharamsala intanto centinaia di persone continuano a manifestare ogni giorno nella crescente trepidazione delle autorità indiane che temono di scatenare le proteste e la rabbia dei vicini cinesi. Dopo l'arresto del primo nucleo di marciatori determinati a raggiungere il Tibet in occasione delle Olimpiadi, un'altra cinquantina di esuli hanno ripreso la stessa strada determinati a portare avanti l'impresa dei loro compagni. Ma anche nel loro caso la polizia del distretto confinante con quello di Kangra ha annunciato la determinazione di fermarli. Per sostenere la loro causa, e protestare per le vittime di Lhasa, trenta monaci e laici sono da ieri in sciopero della fame davanti al tempio del Dalai Lama. E' in questo clima che il leader spirituale dei tibetani ha deciso oggi pomeriggio di incontrare i giornalisti indiani e stranieri per chiedere ufficialmente un'indagine indipendente di un organismo internazionale. IL DALAI LAMA E LE VIOLENZE Durante l'incontro con la stampa il Dalai Lama ha risposto a una delle domande che sono sulla bocca di tutti: "Può lei fermare le violenze?", gli è stato chiesto. "Io non ho questo potere", ha risposto. "E' un movimento di popolo, e io considero me stesso un servo, un portavoce del mio popolo. Non posso domandare alla gente di fare o non fare questo e quello". Nella sua spiegazione ha poi analizzato lo stato delle cose maturate in questi ultimi 60 anni di dominio dell'etnia cinese sulla popolazione locale. GENOCIDIO CULTURALE "Intenzionalmente o no, assistiamo a una certa forma di genocidio culturale. E' un tipo di discriminazione: i tibetani, nella loro terra, molto spesso sono cittadini di seconda classe. Recentemente le autorità locali hanno addirittura peggiorato la loro attitudine verso il buddismo tibetano. E' una situazione molto negativa, ci sono restrizioni e cosiddette rieducazioni politiche nei monasteri", ha aggiunto il Dalai Lama. E ancora: "Ho notato negli anni recenti che tra i tibetani che vengono qui dal Tibet è cresciuto il risentimento, inclusi alcuni tibetani comunisti, che lavorano in diversi dipartimenti e uffici cinesi. Sebbene siano ideologicamente comunisti, siccome sono tibetani hanno a cuore la causa del loro popolo. Secondo queste persone più del 95 per cento della popolazione tibetana è molto, molto risentita. Questa è la principale ragione delle proteste, che coinvolgono monaci, monache, studenti, persone comuni". Il Dalai Lama AUTONOMIA E INDIPENDENZA Il Dalai Lama ha poi tenuto a precisare la sua posizione: "Nelle mie dichiarazioni, nel corso degli anni, ho spesso menzionato che davvero, dico davvero, vorrei supportare il presente leader Hu Jintao nel comune slogan di sostenere e creare un'armonia sociale. Voi sapete che noi non cerchiamo la separazione, il resto del mondo lo sa. Inclusi alcuni tibetani, inclusi i nostri sostenitori occidentali ed europei, o indiani che sono critici verso il nostro approccio perché secondo loro non cerchiamo l'indipendenza, la separazione. Ma sfortunatamente, i cinesi hanno trovato una scappatoia per accusare noi di quanto sta avvenendo". Dopo aver sottolineato le critiche alla sua linea, il Dalai Lama ha però detto che "un numero crescente di cinesi ci stanno manifestando solidarietà. Studiosi cinesi e ufficiali governativi privatamente appoggiano il nostro approccio della via di mezzo", ha detto. INDAGINE INDIPENDENTE E NON VIOLENZA "Allora - ha proseguito il leader spirituale tibetano - per favore indagate da soli, se possibile lo faccia qualche organizzazione rispettata a livello internazionale, indaghi su che cosa è successo, su qual è la situazione e quale la causa. All'esterno tutti vogliono sapere, me compreso. Chi ha davvero creato questi problemi adesso? In realtà credo che tutti sappiano qual è il mio approccio. Ognuno sa qual è il mio principio, completa non violenza, perché la violenza è quasi come un suicidio. Ma che il governo cinese lo ammetta o no, c'è un problema. Il problema è che l'eredità culturale nazionale è in una fase di serio pericolo. La nazione tibetana, la sua antica cultura muore. Tutti lo sanno. Pechino semplicemente si affida all'uso della forza per simulare la pace, ma è una pace creata con l'uso della forza e il governo del terrore. Un'armonia genuina deve venire dal cuore del popolo, sulla base della fiducia, non della paura". OLIMPIADI "Per questo - ha spiegato il leader tibetano in esilio - la comunità internazionale ha la responsabilità morale di ricordare alla Cina che deve essere un buon ospitante dei Giochi Olimpici. Ho già detto che ha il diritto di tenere le Olimpiadi, e che il popolo cinese ha bisogno di sentirsi orgoglioso di questo". LE PRECEDENTI TRATTATIVE Il Dalai Lama ha ricordato che ci sono state sei conferenze bilaterali tra la Cina e i suoi inviati "fin dal febbraio 2002". Ma la Cina "ha iniziato a indurire la sua posizione sul problema tibetano dal 2006", intensificando le critiche nei suoi confronti. LE VITTIME In una intervista alla Bbc il Dalai Lama ha detto di aver ricevuto dei rapporti secondo i quali le violente proteste anticinesi a Lhasa potrebbero aver causato "almeno 100 morti". Ammettendo che la cifra è impossibile da verificare, ha aggiunto di temere in ogni caso che "potrebbero esserci altri morti, a meno che Pechino non cambi la sua politica verso le regioni himalayane controllate dal regime". |