Verso un mondo senza ghiaccio di Laura Margottini Tratto da LEspresso 30 settembre 2008 Mentre gli uomini continuano a inquinare, la natura fa il suo corso. In Antartide compare la terra. E nell'Artico si sciolgono gli strati profondi. Il disastro è dietro l'angolo: parola di un grande scienziato Carcasse di barche a Port FoynIl conto alla rovescia verso l'apocalisse è già iniziato: la mette giù dura sir David King, che non è proprio un ecologista militante. Direttore della Smith School of Enterprise and the Environment dell'Università di Oxford, presidente della British Association for the Advancement of Science, ma soprattutto consigliere scientifico di Tony Blair dal 2000 al 2007, sir David è lo scienziato che ha convinto il governo britannico ad avviare politiche concrete a favore dei tagli alle emissioni. E oggi pubblica in Italia 'Una questione scottante', scritto insieme alla giornalista Gabrielle Walker per i tipi della Codice Edizioni per dire che stiamo sbagliando rotta mentre "le soluzioni tecnologiche e politiche per evitare il disastro ci sono". E per avvertirci: nessuno oggi sa dire cosa accadrà: dobbiamo abituarci all'imprevedibile. Gli abbiamo chiesto perché. Professor King, cosa accadrà? "Già dal prossimo secolo potremmo assistere a un radicale cambiamento della geografia del pianeta. C'è in gioco un'enorme quantità di ghiaccio che potrebbe sciogliersi e causare l'innalzamento del livello dei mari dell'ordine di 4-5 metri. Attualmente l'80 per cento della popolazione mondiale vive in prossimità delle coste. Moltissime città, come Londra, verrebbero travolte, con poche possibilità di contenere le inondazioni. Così in una manciata di decenni, mentre la popolazione aumenterà vertiginosamente, fino a toccare i nove miliardi di persone, la massa di terre emerse potrebbe diminuire. E questo porterebbe al secondo, terribile scenario: l'intensificarsi dei conflitti". Qual è lo scenario che preoccupa di più gli scienziati in questo momento? "Uno, tra molti scenari possibili, è particolarmente inquietante: il disgelo del permafrost, lo strato di suolo che resta ghiacciato d'estate e d'inverno e che agisce come un freezer, intrappolando il carbonio in forma di muschi, licheni, foglie e di qualunque altra cosa sia stata un tempo viva. Lungo i bordi di questo tessuto ghiacciato, che va dall'Alaska e dal Canada del nord fino alle parti più settentrionali d'Europa e della Siberia, il disgelo è già iniziato. Se il processo continuasse, potrebbe causare l'emissione nell'atmosfera dei gas serra immagazzinati. Anche solo una piccola fuoriuscita di gas dal terreno, potrebbe raddoppiare o triplicare in un colpo solo l'attuale livello di emissioni, e allora tutte le scommesse sul clima sarebbero chiuse. È una delle incognite che spaventa di più". Cosa impedisce di prevedere tutte le possibili conseguenze del riscaldamento globale? "I modelli matematici che i computer utilizzano per fare previsioni sono modelli lineari, cioè non possono tener conto di alcuni fenomeni complessi, come l'imprevedibilità delle temperature. La paleo-climatologia, la scienza che studia i cambiamenti climatici delle ere geologiche passate, ci insegna che le temperature in certi casi possono cambiare repentinamente, anche nel giro di un decennio. Circa 55 milioni di anni fa, un evento sconosciuto ha scatenato l'emissione di massicce quantità di carbonio, che hanno causato un riscaldamento di 8 gradi in pochissimi anni. Quindi, giocare con le emissioni potrebbe avere effetti sconosciuti. Oggi le incertezze sono molte: non sappiamo quando le foreste tropicali potrebbero iniziare a morire, quando i gas serra cominceranno a fuoruscire dai ghiacci che fondono, o se la corrente del Golfo potrebbe venire interrotta dalle masse di acqua gelida rilasciate dai ghiacciai, provocando così l'abbassamento delle temperature del nord Europa e un aumento nelle zone equatoriali". Quanto tempo abbiamo per riuscire a ridurre le emissioni? "I gas serra dovranno essere dimezzati entro il 2050. Attualmente però, il ritmo delle emissioni sta riprendendo ad aumentare in maniera allarmante. Se non facciamo nulla, entro la fine del secolo, le emissioni potrebbero essere il 250 per cento del livello odierno. Se poi decidessimo di bruciare tutti i combustibili fossili che ancora abbiamo, potremmo tornare ai livelli di 55 milioni di anni fa, quando l'Antartide era una foresta sub tropicale". Quali sono le conseguenze ormai inevitabili, indipendentemente da cosa faremo per limitare le emissioni? "Nel migliore dei casi, ci sarà comunque un aumento medio delle temperature tra i 2 e i 5 gradi nei prossimi decenni. Ciò significa che paesi come l'Italia dovranno aspettarsi un aumento di tre gradi almeno. E non sarà facile adattarsi alle nuove condizioni climatiche". Su quali tecnologie a bassa emissione conviene ora puntare? "Abbiamo bisogno di ogni strumento low-carbon attualmente disponibile, dalle energie rinnovabili al nucleare. Quest'ultima è una tecnologia già pronta e può drasticamente ridurre le emissioni. Se iniziamo a costruire le centrali adesso, a partire dal 2025 il nucleare potrà soddisfare dal 30 al 40 per cento della nostra domanda energetica, per 40 anni. Tra mezzo secolo la ricerca sulle energie rinnovabili, come il vento e il solare, avrà fatto passi da gigante e saremo in grado di abbandonare completamente anche il nucleare". In Italia, la ricetta energetica per il futuro proposta dal governo prevede per il 25 per cento l'utilizzo dell'energia nucleare, per il 25 energie rinnovabili e il 50 di combustibili fossili, in particolare il carbone. Come giudica questa proposta? "Il prezzo dell'anidride carbonica emessa nell'atmosfera è attualmente 28 euro a tonnellata, salirà in breve a 50. A giugno di quest'anno, il G8 ha stabilito che per la metà del secolo dovremmo aver ridotto le emissioni globali del 50 per cento. L'Italia dovrà mantenere l'impegno o sborsare una fortuna". |