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La Stampa:
I 4 cavalieri anti zio Sam
18 gennaio

"Insurrezione pacifista". E' un prete padovano, don Albino Bizzotto, presidente dell'associazione "Beati i costruttori di pace" a lanciare, il giorno dopo la scelta di Romano Prodi a favore dell'ampliamento della base americana, la nuova parola d'ordine del movimento contro i militari Usa all'aeroporto Dal Molin. Veterano delle mobilitazioni pacifiste fin dai tempi di Comiso, don Bizzotto è da mesi uno dei personaggi di riferimento di un movimento dai caratteri originali, cresciuto in pochi mesi a Vicenza attorno alla questione Dal Molin.

Da pacifiche casalinghe di provincia ai giovani Disobbedienti dei circoli sociali, da vecchi militanti di sinistra delusi dai compagni Bertinotti e Fassino, alle "Famiglie per la pace" di un Veneto che non è più quello dei tempi della Balena bianca, ma che fatica tra il mito del benessere e le nuove solitudini a ritrovare una sua identità. Spiega don Bizzotto che la sua parola d'ordine significa "una presa di coscienza molto forte contro decisioni governative imposte dall'alto. Cambiano i governanti, non i metodi. Negli incontri pre-elettorali con i movimenti pacifisti, Prodi sembrava aperto ai nostri contenuti, ora si assume tutta la responsabilità morale della sua scelta".

Don Bizzotto, le sue parole non rischiano di radicalizzare la protesta?
"Certo, la situazione può degenerare. Non si può pretendere che i giovani tengano i nervi saldi quando il potere esercita sulla pelle della gente una violenza così calcolata", ribatte il prete.

Rabbia, sdegno, mobilitazione. Il giorno dopo a Vicenza non è un qualsiasi tranquillo mercoledì d'inverno. In corso Palladio, nei bar e nei negozi che offrono i saldi di stagione, si parla con preoccupazione del futuro della città ma, soprattutto, della svolta che ha assunto la protesta con il blocco, martedì sera, della stazione ferroviera in piena fiera dell'oro.

Fuori dal Pigafetta e dal Lioy, i due licei più prestigiosi di Vicenza, dove non c'è mai stata neanche un'occupazione, circolano i volantini per la manifestazione di oggi. Scritta sul muro: "Gli americani ci tolgono il nostro futuro".
Oscar, 17 anni, moto Aprilia e tuta della Danese, oggi partecipa al primo corteo della sua giovane vita: "Dovevano lasciare scegliere a noi vicentini, con il referendum". Giovanni, 17 anni, rappresentate di istituto del Lioy, da no global attacca: "Prodi ci ha preso per il culo!". Matteo, 17 anni di Forza Nuova al corteo non parteciperà "ma anche noi dell'estrema destra siamo contro la base Usa". Chiedo: fate un sogno, cosa vorreste al posto della base? "Uno skate park", rispondono i due in coro.

"Dicono che noi vicentini siamo polentoni "basa banchi" e "conta schei". Bene, sappiamo che si sono svegliati; non ci faremo comprare per un pugno di dollari. Vergogna!", dice Cinzia Bottene, la signora del movimento No al Dal Molin, anima dei comitati dei cittadini. Il giorno dopo la signora Bottene è più battagliera che mai. Martedì notte, lei tranquilla casalinga vicentina con marito dirigente aziendale, si è sdraiata sui binari alla stazione; poche ore di sonno e ha preso un treno per partecipare a Roma alla trasmissione di Giuliano Ferrara.

Dall'Eurostar detta la sua hit-parade dell'indignazione: "Prodi ha perso ogni dignità, bastava guardare la sua faccia mentre da Bucarest dava l'annuncio. Imbarazzante. E il ministro Parisi? Ci avevano fatto capire che il governo non avrebbe deciso senza referendum". Sullo striscione hanno scritto: "Prodi servo degli americani". Distinti signori arrivano con bottiglie di grappa, frotte di giornalisti e di operatori tv sono a caccia dei vicentini in lotta.

A Rettorgole, zona nord del Dal Molin, tra le villette non si era mai vista tanta confusione. Su un campo fangoso, il tendone bianco del centro sociale don Pedro di Padova è diventato il presidio del Movimento. "Compagno Bertinotti, i 500 iscritti della federazione di Vicenza sono pronti a restituire la tessera se non bloccherete la base!", annuncia Mariano Trevisan, 56 anni, del direttivo di Prc. Abita vicino al Dal Molin, a Caldogno, paese dove il Consiglio comunale aveva detto no alla base. Irrilevante. Attacca Trevisan: "Anche lasciando perdere i disagi del vivere accanto a una base militare, non posso accettare la scelta del nostro partito. Con Prodi si può trattare sulle pensioni, non sulla pace".

Radio Sherwood da Padova trasmette le voci della rabbia, dai No Tav della valle di Susa arriva la solidarietà. "Siamo in tanti, siamo forti, i cantieri non partiranno. Fermeremo le ruspe. Se pensano di trasportare le truppe da Vicenza ad Aviano bloccheremo il passante di Mestre. Vedremo cosa farà il ministro Amato", annuncia Francesco Pavin, leader dei Disobbedienti, ormai alla testa dei pasdaran del no. Padova, Schio, Mestre: il mondo sommerso dei centri sociali sembra ben ramificato, vera rete di sostegno alla protesta.

A Vicenza i Dissobedienti (leader indiscusso in Veneto Luca Casarini) si ritrovano in un capannone in via dell'Edilizia. "Non siamo ideologici, il nostro modello sono i comitati No Tav", insiste Pavin, 27 anni. Dal Piemonte al Veneto: Marco, compagno di Francesco, sta preparando una tesi di laurea proprio sulle analogie tra le due rivolte. "Non bruciamo bandiere Usa per rispetto alla popolazione americana che è contro Bush", dice Pavin. Ma sui metodi di lotta il suo discorso si fa più ambiguo: "la guerra è illegale", taglia corto. E cita i libri di Toni Negri.

Ieri sera asseblea animata nel tendone per decidere come continuare la lotta: erano in 150, e hanno deciso che stringeranno l'assedio sul governo. Prima a Roma, per manifestare domani davanti a Palazzo Chigi e poi nel week end a Bologna, per stringere d'assedio la casa di Romano Prodi, via Gerusalemme.

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