L’approccio di genere nella formazione dei Corpi Civili di Pace
di Luisa Del Turco
Gruppo di Genere Stati Generali
della Cooperazione e Solidarietà


Il concetto di genere - che riguarda la costruzione sociale dei ruoli a partire dalle differenze biologiche tra i sessi - è stato introdotto nel settore della cooperazione internazionale alcuni decenni or sono ma solo da pochi anni si discute della sua applicabilità concreta nell’ambito degli interventi rivolti alla costruzione e al mantenimento della pace.
Parlare del ruolo di donne e uomini nei conflitti in relazione agli Interventi Civili di Pace rappresenta dunque una preziosa occasione per sensibilizzare su alcuni recenti sviluppi nelle modalità di intervento, ma anche per riflettere su alcuni aspetti cruciali del dibattito di oggi. A partire da un breve riferimento agli impegni che la comunità internazionale ha assunto in materia di donne, pace e sicurezza, desidero dunque porre alcuni interrogativi:
1. A quali principi e obiettivi d’azione risponde l’introduzione della “prospettiva di genere” in questo settore?
2. Quali opportunità questa offre rispetto agli interventi civili di pace e alla formazione degli operatori?
3. Quali sono i risultati finora conseguiti e quali sfide si presentano a livello nazionale in questo ambito?

1. Numerosi impegni internazionali oggi prevedono il mainstreaming di genere nelle attività di prevenzione, mantenimento e costruzione della pace. Per citare i principali ricordiamo a livello globale la storica risoluzione 1325 adottata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU nell’ottobre 2000, a livello regionale le risoluzioni del Parlamento europeo 2025 e 2215. Questi impegni sono poi correlati ad una serie di specifiche previsioni a garanzia della loro concreta implementazione (piano globale d’azione delle Nazioni Unite, checklist del Consiglio UE).
Tra le loro principali finalità figurano: garantire alle donne adeguata assistenza e protezione dalle violenze di cui sono nei conflitti recenti sempre più spesso vittime - stupro di guerra, prostituzione e gravidanze forzate; la partecipazione ai processi decisionali nella gestione/risoluzione dei conflitti - dai quali nonostante il loro impegno per la pace rimangono spesso escluse; la presenza nelle missioni di peacekeeping, peacebuilding - riconosciuta come strumento utile per migliorare l’efficacia dell’azione sul terreno e costruire un rapporto di fiducia con i beneficiari degli interventi.
L’adozione da parte della comunità internazionale della prospettiva di genere nel settore pace e sicurezza sembra avere dunque una doppia valenza: “it is not just fair, it is beneficial”, (Lessons Learned Unit, DPKO, 2000). La diffusione della prospettiva di genere nelle diverse componenti presenti sul campo (organismi Nazioni Unite quali DPKO, IASC; ma anche Movimento CR/MR; nella stessa CIMIC-NATO) testimonia come essa oggi non sia prerogativa di una componente specifica, ma si integri con le strategie e si declini con le identità e i principi d’azione dei diversi attori presenti sugli scenari di conflitto.

2. Rimane comunque un dato incontestabile che la promozione e il monitoraggio della realizzazione delle politiche di genere anche nel settore pace e sicurezza sia dovuta all’azione dei gruppi di donne organizzate in reti nazionali, regionali e globali di advocacy (in sede Nazioni Unite l’NGOWG, in sede europea EPLO- GPS).
Il legame tra politiche di genere e le istanze delle donne, dalle conferenze mondiali degli anni ’70-’90 ad oggi rimane dunque confermato, ma è necessario mantenerlo vitale e rafforzarlo affinché conservi tutte le sue potenzialità e si traduca in impegni concreti e non limitati agli aspetti seppur cruciali della protezione dalla violenza (come nella nuova risoluzione del CS 1820) e delle pari opportunità nella partecipazione alle missioni diplomatiche e militari.
Mentre cresce il numero delle donne che nelle missioni internazionali vestono i gradi nelle Forze Armate (anche come personale specializzato in compiti civili) e di quelle presenti tra le forze di Polizia (lo scorso anno è stata inviata in Liberia la prima unità di peacekeepers interamente al femminile), per molte donne invero l‘azione dal basso e la trasformazione costruttiva dei conflitti rimangono una priorità, quando non l’unica opzione.
Le pratiche di gestione dei conflitti che le donne hanno sperimentato in secoli di assenza di potere formale a vari livelli - interpersonale, comunitario/gruppale e globale - e che si sono tradotte in creative forme di attivismo per la pace (si può ricordare le attività della storica WILPF, la rete delle Donne in Nero, iniziative e campagne quali Women Building Peace e Women Waging Peace) sono da sempre profondamente informate ai principi della nonviolenza.
Queste esperienze rappresentano un imponente “patrimonio comune” che appartiene alla storia delle donne, ma non necessariamente a ciascuna di loro né al loro genere in via esclusiva.
La prospettiva di garantire maggiori spazi e piena autonomia al ruolo dei civili in situazioni di conflitto rappresenta dunque una immancabile occasione per preservarne l’integrità, garantirne la valorizzazione, promuoverne la condivisione.
Il progetto che oggi presentiamo avrà anche questo obiettivo, prevedendo l’inclusione della prospettiva di genere nei percorsi di formazione per gli operatori, in conformità con le previsioni contenute nei sopraindicati impegni assunti in sede internazionale e con i compiti delineati per la componente civile nella fondante ipotesi formulata dal Prof. Papisca.

3. Va infine sottolineato come per la concreta attuazione degli impegni e delle politiche di genere nel settore pace e sicurezza molto rimane comunque affidato all’impegno società civile e ai governi a livello nazionale.
Fondamentale importanza riveste l’elaborazione di Piani Nazionali d’Azione per l’implementazione della risoluzione 1325, a cui già una decina di paesi europei hanno già provveduto anche attraverso un forte coinvolgimento della società civile e delle organizzazioni di donne.
Per quanto riguarda il nostro paese riporto in questa sede l’esperienza del Gruppo Politiche di Genere degli Stati Generali della Cooperazione e Solidarietà, che dal 2006 opera affinché la prospettiva di genere sia introdotta come elemento trasversale e integrante nei diversi aspetti riguardanti il settore della cooperazione internazionale. Tra i suoi obiettivi prioritari figura l’adozione di un Piano d’Azione nazionale nel nostro paese, per la quale il gruppo ha promosso iniziative di interlocuzione con i rappresentanti dei ministeri competenti. La strategia generale è quella di lavorare insieme ad altri gruppi e realtà impegnate nella riforma del sistema della cooperazione per sviluppare un’efficace azione di advocacy rispetto ad obiettivi condivisi.
La felice sinergia con il gruppo Interventi Civili di Pace ha permesso la partecipazione al progetto e al dibattito di oggi, di cui desidero ringraziare personalmente e a nome del gruppo.

Concludo quindi confermando la nostra disponibilità come gruppo a proseguire e sviluppare la collaborazione in maniera trasversale per affrontare le difficili sfide e sfruttare appieno le opportunità che si presentano in questa fase delicata e complessa.







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