Frammenti di Palestina…o forse Palestina in Frammenti.


Se dovessi dare un titolo a quanto ho vissuto nei Territori Occupati Palestinesi in questi 9 giorni non saprei cosa scegliere.

Non e’ facile trovare chiavi di lettura per una situazione politica cosi’ complessa, cosi’ atomizzata e allo stesso tempo cosi’ problematica.

Dopo gli accordi seguiti alla conferenza di Annapolis, a Nablus e a Jenin non ci sono piu’ combattenti armati in citta’. Questo ha creato a Nablus un senso di sconforto in molti ragazzi che percepiscono istintivamente la mancanza di combattenti come il segnale della resa incondizionata. Tuttavia anche gli adulti criticano l’atteggiamento tenuto nei confronti dei combattenti da parte dell’Autorita’ Nazionale Palestinese, piegata alla volonta’ israeliana (uno e’ stato ucciso e due arrestati dall’IDF mentre erano sotto la formale protezione della ANP). La stessa Autorita’ ha addirittura invaso la citta’ vecchia di Nablus alla ricerca di quelli che erano fuggiti alla protezione/prigione. E cosi’ i ragazzini della citta’ vecchia hanno rincorso e tirato sassi alle jeep della ANP, appena un mese e mezzo fa.

Se la resistenza armata segna la sua resa, non vi sono purtroppo ancora molte alternative aperte e una resistenza popolare nonviolenta non e’, in citta’, una scelta che coinvolga e faccia partecipare in modo ampio la popolazione.

Giovedi' 5 giugno c’e’ stata una manifestazione per i 60 anni dalla Nakba al check point di Beit Iba, a ovest di Nablus, ma hanno partecipato non piu’ di una cinquantina di persone. Cosi’ i giovani cadono in un un profondo senso di frustrazione e in una passivita’ aggravata anche dalla situazione economica, che a causa della chiusura della citta’ rimane molto fragile, per tutti trovare un lavoro e’ una impresa ardua se non impossibile.

La pressione militare nella citta’ e’ decisamente leggera, se confrontata con gli anni passati, ma continuano ogni tanto le invasioni notturne, gli arresti e la cerchia dei check point rimane a chiudere Nablus, anche se il passaggio e’ diventato facile.

Si percepisce un senso di sollievo in molti, e di sicuro e’ piacevole vedere la piazza centrale di Nablus illuminata da nuovi lampioni e ancora piena di persone alle 22, ma inevitabilmente e’ anche amaro constatare come tutte le strutture dell’occupazione siano pienamente in atto, e quindi la tranquillita’ sia molto effimera, e percio’ veicolo di ulteriore frustrazione. La “normalizzazione” dell’occupazione, che a Nablus si temeva gia’ nel 2005, e’ per molti versi una realta’ di fatto.

Le persone piu’ acute politicamente con cui ho parlato mi hanno ribadito la loro amarezza verso la ANP che sembra perseguire all’ infinito un negoziato che non porta a nulla (basta vedere le recenti dichiarazioni di Olmert su Gerusalemme) mantendo posizioni molto deboli.

Mi e’ stato anche detto che se la prima intifada si era conclusa con lo scambio “land for peace” una terra ai palestinesi perche’ gli israeliani abbiano la pace, questa seconda intifada sembra tragicamente concludersi con un “food for security” ai palestinesi e’ concesso di sopravvivere alla fame e gli israeliani proseguono nel loro delirio securitario.

Sono questi i giorni della Terza Conferenza Annuale di Bil’in, il villaggio che da 3 anni e mezzo lotta contro la costruzione del muro, ottenendo i risultati morali e concreti che sappiamo.

A Bil’in si sono ribaditi gli elementi che hanno fatto grande la resistenza in questo villaggio, la continuita’ della lotta, la partecipazione attiva e orizzontale di tutta la cittadinanza, l’uso dei media, il sostegno internazionale e di quello del pacifismo israeliano, la creativita’ e la diversita’ delle pratiche. Si e’ anche ribadito che la forza di Bil’in e’ stata la sua riproducibilita’. Molti villaggi palestinesi stanno sperimentando lotte simili, con cadenze e tecniche analoghe, a Nil’in, nella zona di Ramallah, a Umm Salamuna, vicino a Betlemme, a Qaffin, nel distretto di Tulkarem. La conferenza ha percio' evidenziato l’esistenza di altri villaggi, altre situazioni critiche dove la resistenza ha preso la forma della disobbedienza civile, come a Bil’in, e come era stato nella Prima Intifada. Il filo conduttore di queste lotte, e’ stato variamente ripetuto ieri, e’ la Sumud, la fermezza, la determinazione, che e’ resistenza, lotta e vita allo stesso tempo.

In altri villaggi ancora, la lotta non ha preso ancora forme cosi’ definite, ma ci sono fermenti. Sono stato a Deir Istyia, nel distretto di Salfit, dove per espandere una colonia stanno tagliando olivi e alberi di tamarindo. Gli abitanti del villaggio sono riusciti, lunedi’ 26 maggio, a bloccare i buldozeer, e venerdi’ 30 si e’ tentato di ripiantare gli alberi. Eravamo assieme internazionali, una ventina di contadini del villaggio, i Rabbis for Human Rights, gli straordinari Anarchists Against the Wall, capaci di gestire una situazione di forte tensione, nel momento in cui l’esercito ha minacciato di arrestarci tutti. Non ci hanno lasciato piantare gli alberi ma ora nel villaggio si cerca di dimostrare con carte e mappe che quel terreno e’ privato, appartiene ai contadini e non “statale” come dicevano i soldati venerdi’ scorso.

Sempre a Nablus, pero' le persone con cui ho parlato, mi hanno trasmesso la paura che la lotta stia diventando troppo “localizzata”, per cui ogni area geografica ha la sua preoccupazione specifica, che non riesce a diventare parte di una strategia collettiva. Senza dubbio il muro e la politica della closure hanno un ruolo fondamentale in questa localizzazione del conflitto.

Se i palestinesi continuano, nonostante tutto, a sperare e a lottare, tantopiu’ dobbiamo farlo anche noi societa’ civile internazionale, riuscendo pero’ anche a ripensare il nostro modo di stare in Palestina, davanti ad una situazione che e’ radicalmente cambiata rispetto agli anni sanguinosi della seconda infifada. E’ fondamentale riuscire a ridefinire il nostro ruolo di empowerment, trovando forme sempre migliori per esprimere il nostro sostegno alla loro lotta, sapendo ascoltare e camminando a fianco al popolo che piu’ di ogni altro sa cosa voglia dire Sumud.

Oggi poi a Bil'in c'e' stata la manifestazione finale a conclusione dei tre giorni di conferenza. La manifestazione e' iniziata con una partita a calcio tra palestinesi e internazionali a pochi metri dal perimetro del muro. La partita e' stata interrotta quando i soldati israeliani hanno sparato alcuni candelotti che hanno reso l’aria irrespirabile in poco tempo. Alle 13, come ogni venerdi' il corteo e' ripartito, ed era davvero numeroso e partecipato, con tanti abitanti del villaggio, gli internazionali che avevano partecipato alla conferenza, e decine di pacifisti israeliani. Il corteo e' riuscito a raggiungere il tracciato del muro, e a leggere il comunicato stampa. Poco dopo, mentre si gridavano slogan alzando le mani aperte in aria, e' partita la repressione. I soldati hanno iniziato a sparare sound bombs, lacrimogeni e proiettili di gomma. Si e' tentato in vario modo di riportarci vicini al tracciato, ma alla fine il corpo del corteo ha indietreggiato. 5 persone sono rimaste ferite e portate in ospedale, tra cui un giudice italiano, Giulio Toscano, colpito da un frammento di sound bomb. E' stata anche utilizzata una nuova arma, che permette il lancio di 30 candelotti di lacrimogeni contemporaneamente. Nonostante la durezza della giornata, i membri del Bil'in Popular Committee sembravano contenti della forte partecipazione e dell'essere riusciti a raggiungere il muro.

E venerdi' prossimo, come sempre, torneranno a marciare.

(Quico)

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