In Palestina-Israele: servono con urgenza politiche di pace
Il popolo palestinese dopo 60 anni di espropri, vessazioni e violenze, ha visto negli anni della seconda Intifada ridurre progressivamente il suo spazio di rappresentanza e prospettiva politica. Alla delegittimazione prima di Arafat e poi di Abu Mazen, considerati dal governo israeliano e dalla comunità internazionale, partner non affidabili per le trattative di pace, si e aggiunta leliminazione dei principali dirigenti politici palestinesi di ogni ispirazione, cominciando da quelli laici e pragmatici. Negli ultimi sette anni attraverso esecuzioni mirate e arresti arbitrari il governo israeliano ha decapitato la leadership delle forze politiche palestinesi, lasciandola nelle mani di giovani militanti privi di una strategia politica che riuscisse a guardare oltre la resistenza armata, legittima, ma inutile e controproducente, come hanno dimostrato questi anni di seconda intifada. Anche per questo, siamo tra coloro che la criticano, mentre abbiamo condannato e condanniamo senza riserve gli attentati che hanno fatto stragi di civili, ma siamo anche consapevoli di non essere riusciti a far prevalere una alternativa politica, pacifica ed efficace alla violenza delle armi. E non ha voluto farlo la comunità internazionale, le Istituzioni Europee in modo particolare che, non distinguendosi nei fatti dalla politica statunitense, hanno consentito che il cappio intorno al popolo palestinese si stringesse sempre di più: il muro, la frammentazione del territorio, le sempre maggiori difficoltà di circolazione per merci e persone allinterno dei territori occupati, hanno messo in ginocchio leconomia palestinese. Lirresponsabile embargo imposto dalla comunità internazionale ai palestinesi dopo le democratiche elezioni di Hamas al governo dellANP hanno dato il colpo di grazia ad un economia già traballante sottoponendo una popolazione occupata ad una enorme punizione collettiva. Con che faccia si può continuare a parlar loro di democrazia? Per questo lo scontro tra le milizie di Hamas e di Fatah nella Striscia di Gaza e la divisione dei territori palestinesi occupati tra le due principali forze politiche palestinesi non e un avvenimento imprevedibile né il risultato di unimprovvisa esplosione di odio fratricida tra i palestinesi come qualcuno spesso suggerisce, e in alcuni casi auspica. Ma di questo scontro, delle sue vittime e orrori, quegli uomini armati e violenti portano una pesante responsabilità. Ci rallegriamo per la liberazione del giornalista britannico ottenuta da Hamas; ci auguriamo che presto sia libero anche il caporale israeliano Shalit, attraverso uno scambio di prigionieri politici, che comprenda Marwan Barghouti, impegnato per l'unità territoriale e politica del popolo palestinese e per la pace tra Palestina e Israele. Donne e uomini palestinesi, tenaci e coraggiosi, hanno le stesse necessità di ogni altro popolo: necessità materiali (lavoro, istruzione, sanità accesso ai mercati e ai beni primari) e necessità ideali (bisogno di progettare il futuro, diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti politici, diritto allautodeterminazione ). Oggi sono allo stremo. La situazione di povertà e violenza sociale ha alimentato e aggravato la violenza militare e politica anche di gruppi palestinesi, che si è sommata a quella dei raid omicidi israeliani. Al Governo e allUnione Europea chiediamo politiche di pace, per la riconciliazione nazionale, non interventi militari. Il popolo palestinese, che ha già accettato compromessi dolorosi, ha provato ancora a cercare vie di uscita, per fronteggiare lisolamento internazionale evidente dopo lelezione di Hamas. La gravissima responsabilità della Comunità internazionale e della Unione Europea sta nellavergli chiuso in faccia tutte le porte, assecondando i continui rifiuti di Israele, non mettendo in campo alcuno strumento di pressione politica o diplomatica, per far prevalere il diritto internazionale. Liniziativa di pace della Lega Araba che prevedeva il riconoscimento dello stato di Israele da parte di tutti i paesi arabi in cambio del suo ritiro ai confini del 1967, gli accordi della Mecca e la conseguente nascita di un governo di unità nazionale inclusivo di tutte le forze politiche, insieme a Fatah e Hamas, sono stati sistematicamente ignorati. La Palestina e sempre stata un laboratorio per la costruzione di tutti i conflitti che hanno insanguinato il Medioriente negli ultimi decenni, molti altri governi e poteri dellarea hanno usato la Palestina come strumento per perseguire i propri fini, anche negli ultimi anni in quella terra si e consumata una lotta sotterranea tra gruppi di potere, con continue pressioni esterne, interessati da una parte a far crescere un fondamentalismo reazionario e dallaltra a contenerli con la repressione e attraverso il finanziamento di milizie semiprivate, bande armate i cui fini poco o niente hanno a che vedere con lotta di liberazione nazionale del popolo palestinese. Mentre la risoluzione del conflitto israelo palestinese avrebbe potuto prospettare veramente un nuovo Medioriente, il clima di scontro generale imposto alla regione dalla guerra permanente di Bush attraverso loccupazione dellIraq, al contrario, ha pesantemente indirizzato gli avvenimenti verso la peggiore delle prospettive, eliminando il terreno negoziale e imponendo il rafforzamento delloccupazione. Praticando la strategia, che ormai accomuna Iraq, Afganistan e Libano, della divisione territoriale, della frammentazione della società, (geografica, per appartenenze di clan o per interessi di potere) e armando politicamente e militarmente le fazioni in contrasto, gli stati Uniti sono intervenuti pesantemente portando alle estreme conseguenze le difficoltà in campo palestinese nel tentativo di distruggere la prospettiva nazionale attraverso lo scontro intestino. La popolazione civile, schiacciata tra loccupazione militare israeliana e le opposte fazioni armate si e trovata come sempre a pagare il prezzo più alto, in termini di perdita di vite umane, di peggioramento delle condizioni economiche e di privazione di una rappresentanza politica. Negli anni della seconda intifada gli attori della società civile italiana (ONG, associazioni, sindacati, enti locali, movimenti) hanno provato con tutti i mezzi a loro disposizione a sostenere la lotta del popolo palestinese e a indicare alle nostre istituzioni la strada da seguire, spesso facendosi portavoce delle richieste provenienti dalle società civili palestinesi e israeliane, per essere protagonisti di una giusta soluzione che portasse ad una pace duratura in Palestina e Israele. Si sono succedute manifestazioni di piazza, progetti di sostegno e solidarietà concreta, iniziative di informazione e sensibilizzazione, presenze di volontari e volontarie sul territorio di Israele e Palestina con compiti di monitoraggio dei diritti umani e di protezione della popolazione civile, campagne di pressione sulle istituzioni italiane ed europee. La risposta delle istituzioni, quando ce stata, e stata comunque timida e poco efficace, mentre si è estesa una regressione culturale e politica, che rende oggi sempre più difficile un coinvolgimento sociale ampio nella solidarietà. Si avverte la mancanza di uniniziativa decisa e coraggiosa e che renda lItalia protagonista nella trasformazione del conflitto e che disinneschi la polveriera mediorientale, un ruolo che in parte e stato giocato durante laggressione israeliana nel Libano del sud lestate scorsa. Per la stabilità dellintera regione e per una pace giusta in Palestina e Israele non cè bisogno di inventare soluzioni articolate. Sono già scritte nelle numerose risoluzioni ONU, bisogna solo applicarle e renderle uno strumento operativo. Siamo qui ancora una volta a chiedere al Governo Italiano, con la forza e con lurgenza dettata dalla situazione, quello che chiediamo da anni: 1) fare pressione sul governo israeliano per ottenere la fine dellisolamento della Striscia di Gaza, chiedendo che siano riprese quanto prima le forniture dei servizi primari (acqua, energia elettrica), che sia garantito il passaggio di persone e merci attraverso i valichi di confine con lEgitto (Rafah e Karni) e con Israele (Eretz) 2) lavorare in sede europea al fine di riattivare la presenza di osservatori dellUnione Europea (EUBAM) sul confine tra Gaza e lEgitto 3) chiedere limmediata liberazione di Marwan Barghouti, ritenuto da molti osservatori, anche israeliani, lunica personalità in grado di comporre lattuale frattura tra le diverse anime del popolo palestinese e dotato di unautorità sufficiente per riprendere le trattative di pace a nome di tutti i palestinesi e le palestinesi, secondo lo spirito del documento da lui promosso e firmato in carcere insieme a rappresentanti di Hamas e altre componenti dellOLP, unico rappresentante legittimo del popolo palestinese. 4) farsi promotore di una conferenza internazionale per larea mediorientale alla quale prendano parte tutti gli attori coinvolti (Hamas, Hezbollah, Israele, Siria, Libano, Iran, OLP) per un accordo di pace conclusivo, su tutti i punti. 5) Promuovere una presenza di osservatori internazionali disarmati sotto legida delle Nazioni Unite in tutti i territori occupati palestinesi (Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est) composta da operatori provenienti da paesi neutrali con una forte presenza di personale arabo e musulmano che abbia mandato di: o facilitare il dialogo tra le parti o prevenire e monitorare le violazioni del diritto internazionale e dei diritti dei civili da parte di tutti gli attori armati (israeliani e palestinesi) o proporre alternative e soluzioni allattuale stallo che provengano da unattenta osservazione della situazione sul territorio e da colloqui con tutte le parti in conflitto. Ci auguriamo che il popolo palestinese possa trovare la sua unità, politica e territoriale rivolgendo ogni energia alla lotta per la fine dell'occupazione militare israeliana e che le forze politiche sappiano portare avanti un rinnovamento del'Olp nei territori e nella diaspora, capace di rimettersi in relazione con una popolazione che merita ed ha il diritto alla libertà e alla democrazia. Allo stesso tempo noi continueremo ad agire con tutte quelle forze palestinesi e israeliane che riconoscono il diritto reciproco alla libertà, giustizia ed autodeterminazione. ACTION FOR PEACE: Associazione per la pace; Arci; CGIL; Fiom-Cgil; Rete nazionale Radiè Resh; Piattaforma Ong per il Medio Oriente; Pax Christi, Campagna ponti non muri; Ebrei contro loccupazione; Donne in neroItalia; Servizio Civile Internazionale; TOP |