Quella che proponiamo non è una piattaforma sulla Palestina ma una
proposta di ragionamento e di percorso a continuazione della
riunione del 6 novembre scorso.
Il punto di partenza è la constatazione della difficoltà enorme che
tutti scontiamo nel riempire il vuoto politico esistente di fronte
alla drammaticità e all'urgenza della situazione in
Palestina/Israele. Perché i partiti democratici e di sinistra, le
grandi organizzazioni di massa sono così riluttanti nell'agire ?
Perché tanta frammentazione anche sul terreno della solidarietà ?
C'è la necessità urgente di ricostruire un "luogo politico" capace
di collegare, mettere in rete e coordinare elaborazioni e analisi
anche diverse ma derivanti da una base condivisa solida, in grado di
proporre ai partiti, ai movimenti e alla gente, sempre più confusa e
rassegnata, una chiave di lettura della situazione onde
riconquistare attenzione, partecipazione, modificare opinioni,
spostare forze ma anche riproporre mobilitazione e iniziativa. C'è
anche la necessità non trascurabile, di non lasciare un vuoto
di "rappresentatività" di una questione tanto delicata e che
sappiamo coinvolgere alla fine aspetti più generali.
Il percorso, la strategia e le modalità operative di tipo inclusivo
del gruppo di continuità FSE e/o quello di "fermiamo la guerra" sono
esperienze fondamentali di riferimento e ci hanno insegnato che non
esistono scorciatoie ma solo la disponibilità ad un percorso di
scambio e di confronto profondo per questo tipo di impegno, tanto
più se coscienti della sensibilità particolare dell'argomento in
questione.
E' fondamentale quindi partire da un livello minimo verificato di
condivisione relativamente ai nodi che reputiamo centrali nella
discussione, di quelli che sono stati gli impedimenti e i freni che
ci hanno bloccato nei mesi passati e che proponiamo di seguito.
La dimensione generale della questione palestinese perché parte
integrante della guerra globale permanente e non secondaria nel
progetto Usa di ricolonizzazione del Medio Oriente di cui ha assunto
tutte le caratteristiche peculiari assommandole a quelle originarie:
violazione del diritto e dei diritti, uso strumentale ed effettivo
del terrorismo e del fondamentalismo ideologico/religioso
(Bush,Sharon,Hamas), negazione della politica per la guerra,
unilateralismo contro il negoziato, divergenza di posizioni con
l'Europa.
Il nuovo Medio oriente di Sharon e Bush che prevede controllo
militare ferreo su aree a frammentazione territoriale e politica,
insieme alla disarticolazione del mondo arabo non contempla più la
realizzazione di uno Stato palestinese omogeneo e indipendente ma
semplicemente la ratifica di una entità politico/amministrativa
frantumata, governata da notabili e totalmente controllata da
Israele.
Il processo sarà tortuoso, contraddittorio e camuffato ma getterà le
sue basi fondamentali nei prossimi quattro anni, chiudendo per
sempre la possibilità di un negoziato reale tra israeliani e
palestinesi. Le dichiarazioni esplicite del vice di Sharon e la
rinuncia Usa ai confini del 1967, insieme alla legittimazione
accordata alle colonie come fatti incancellabili sul terreno, sono
una modificazione sostanziale della tradizionale posizione Usa e
vanno in quella direzione.
Il muro, insieme al ridispiegamento intorno a Gaza e alla
distruzione della Anp, ne sono le tappe concrete e tangibili.
In Palestina le forze fondamentaliste "aderiscono oggettivamente"
alla prospettiva dello stato unico e agiscono di conseguenza sia sul
terreno politico che su quello sociale/religioso, e in un qualche
modo prendono parte alla guerra globale. Le forze democratiche
pongono con forza, ancor più dopo la scomparsa di Arafat, la
riorganizzazione democratica della società come passaggio strategico
per il rilancio della resistenza di massa e indicano le elezioni
come tappa costituente.
Per la maggioranza dell'arco politico la prospettiva dei due stati è
ancora l'obbiettivo da raggiungere, anche se la situazione sul
terreno e l'isolamento internazionale rende sempre più difficile la
dialettica interna e la formulazione di una strategia convincente.
In Israele la società sembrerebbe essere sempre più bloccata sulla
connessione tutta autoreferenziale e unilaterale
sicurezza/forza/pace, dove pace è la necessità di normalità che non
contempla necessariamente la condivisione con i palestinesi; anzi i
palestinesi sono assolutamente non credibili dopo Camp David e la
seconda intifada. Sul terreno politico la situazione sembrerebbe
scivolare sempre più a destra a causa dell'inconsistenza totale del
blocco laburista che ormai appoggia Sharon in tutte le scelte
decisive, occupando il terreno elettorale del Likud ed aprendo la
possibilità di un ridislocamento delle forze. Ad oggi comunque
Sharon e la sua politica sembrerebbero inattaccabili godendo
dell'appoggio americano e della mancanza assoluta di alcun tipo di
pressione opposta.
La gestione sciagurata del fallimento di Camp David (che giustamente
i palestinesi rifiutarono) da parte dei due campi, ha spalancato le
porte alla deriva militarista da una parte e a quella assolutamente
sciovinista dall'altra.
L'Europa seppur ufficialmente e formalmente non ha aderito alla
svolta strategica degli Stati Uniti e continua a sostenere le
risoluzioni internazionali, opporsi agli insediamenti e credere
nella prospettiva dei due stati (il voto unanime all'Onu contro il
muro), non agisce in alcun modo di conseguenza. Al contrario la
tendenza maggioritaria sarebbe quella di concedere ad Israele sempre
maggior collaborazione in campo economico, commerciale (accordo Ue),
militare (operazioni congiunte con la Nato) nella consueta ottica di
subalternità ai progetti americani ma anche come espressione
autonoma della nuova Europa neoliberista e ancora colonialista nei
rapporti internazionali e con il mondo arabo, di cui si continua a
sfruttare la mancanza di democrazia, garante della perpetrazione
della dipendenza post coloniale.
La difesa del diritto/diritti universali: umano, economico,
internazionale è in questo periodo storico l'unica alternativa alla
guerra globale, è il terreno migliore per sviluppare la nostra
resistenza contro la guerra, il neoliberismo e il razzismo. Il
diritto è la vittima primaria dell'attacco neoliberista che collega
gli aspetti fondamentali del vivere civile e la sua difesa ci
consente di rispondere alla frammentazione dei "fronti" per
ricostruire una risposta generale sul piano dei contenuti capace di
parlare a settori sociali diversi e a livello globale relativamente
alle diverse aree geografiche.
Nel caso di Palestina/Israele il diritto è un ulteriore, se non la
principale rappresentazione della sua dimensione generale.
Che Fare
1 . quali sono i contenuti, gli obiettivi, i temi che
una "coalizione per la Palestina" dovrebbe affrontare:
- l'attuale situazione mediorientale deve farci mettere al
centro l'impegno per il riconoscimento dei diritti delle/dei
palestinesi e per l'affermazione del diritto internazionale: a
partire dal parere della Corte de L'Aia sull'illegalità del muro -
per riprendere la necessità di rispettare le risoluzioni dell'Onu
che affermano l'esistenza di precisi diritti (e quindi delle
violazioni a questi - attraverso il muro, gli insediamenti,
la "pulizia etnica" di Gerusalemee ecc.)
- conseguentemente a questo - è per noi prioritario che nasca
finalmente uno stato palestinese - all'interno del quale possa
crescere davvero la democrazia e la partecipazione, e che possa
essere un efficace partner di pace con Israele e i paesi della
regione;
- perché la democrazia si sviluppi dobbiamo sostenere il
processo elettorale e il rafforzamento delle organizzazioni della
società civile;
- allo stesso modo dobbiamo rafforzare le esperienze di
sottrazione alla logica della violenza e dello scontro - sia in
Palestina che in Israele - sostenendo le organizzazioni israeliane
che si battono contro l'occupazione e fornendo spazi di incontro tra
palestinesi e israeliani;
2 . cosa deve essere la nostra solidarietà.
Per quanto detto sopra - non è più sufficiente (in realtà non lo è
mai stato e nemmeno lo abbiamo pensato) la solidarietà verso il
popolo palestinese, sia sul piano materiale che su quello politico,
ma è necessaria un'iniziativa politica - non solo da parte dei
soliti "esperti di Palestina" o delle "associazioni di solidarietà",
quanto di un ampio movimento sociale (a partire da quanto si è
espresso in questi anni contro la guerra globale permanente e
preventiva - della quale la guerra contro i palestinesi è un
elemento - che si dia l'obiettivo di incidere su vari piani:
- ridefinire il conflitto - che significa produrre strumenti
di informazione, formazione e approfondimento che si rivolgano a
vari soggetti: non solo alla generale "opinione pubblica", ma anche
a settori più coinvolti nell'impegno pacifista o di movimento, che
hanno comunque bisogno di formazione politica; un lavoro educativo -
a vari livelli - più ancora che informativo;
- affermare il diritto dei palestinesi significa in primo
luogo tentare di condizionare le politiche:
o dell'Unione Europea: in primo luogo con una continua
pressione affinché venga sospeso il trattato di associazione
economica, perché venga rilanciata una presenza politica di sostegno
ai palestinesi e ai loro diritti e comunque perché vengano decise
misure sanzionatorie nei confronti del governo israeliano;
o del governo italiano: perché si esprima in ogni sede per il
rispetto delle risoluzioni dell'Onu sulla Palestina e perché decida
sanzioni contro il governo israeliano: in primo luogo a partire
dalla cancellazione di ogni relazione politica, economica, di
ricerca in campo militare - in particolare con il rifiuto di ogni
commercio di armi; in secondo luogo attraverso sanzioni politiche,
cioè pressioni diplomatiche e rifiuto di partecipazione a incontri
con esponenti del governo israeliano; in terzo luogo attraverso il
sostegno a iniziative legali sul piano internazionale per
riconoscere i diritti dei palestinesi;
o degli enti locali, affinché anch'essi mostrino con chiarezza
il loro sostegno alla pace giusta e ai diritti dei palestinesi - sia
attraverso prese di posizione pubbliche e pubblicizzate, sia
soprattutto costruendo presenza politica in Palestina, condizionando
gemellaggi e relazioni con enti locali israeliani a dichiarazioni
comuni sul rispetto dei diritti dei palestinesi ecc;
o dei soggetti economici (imprese, catene commerciali ecc.)
alle quali va segnalata la volontà di applicare sanzioni rispetto
determinati settori - quelli coinvolti nelle politiche di
occupazione (militari, degli insediamenti, della rapina dell'acqua
ecc.);
- consolidare le relazioni politiche e sociali con la società
palestinese e le organizzazioni israeliane che si battono contro
l'occupazione: il primo appuntamento sarà quello del sostegno al
diritto dei palestinesi a votare e votare liberamente, anche
cittadine/i di Gerusalemme Est:
o questo significa in primo luogo costruire una rete di
relazioni con soggetti rappresentativi (che non significa decidere
noi chi deve rappresentare i palestinesi) che abbiano un lavoro sul
territorio in Palestina e che con noi decidano le priorità per il
movimento di solidarietà internazionale; per quanto riguarda le
organizzazioni in Israele, deve essere una relazione basata sulla
chiarezza, privilegiando i rapporti con organizzazioni sulla
frontiera, e organizzazioni che coinvolgano sia la popolazione araba
che quella ebraica;
o in secondo luogo significa consolidare e rilanciare una
presenza in Palestina ripensando alle esperienze fatte e ancora in
corso (protezione della popolazione civile, interposizione, azioni
dirette - ma anche campi di lavoro, delegazioni ecc.);
Va fatto uno sforzo per "inventare" forme di partecipazione dal
basso e di impegno anche individuale - che non si faccia
intrappolare da un improbabile "boicottaggio", che (a di là della
discussione sulla sua giustezza politica, sulla quale abbiamo idee
diverse) non è mai riuscito a essere efficace e di massa; si possono
invece prevedere e diffondere buone pratiche attraverso le quali
chiunque possa dare il suo contributo (da quello del sostegno
materiale, a quello della pressione politica ai vari livelli, anche
a quello di un "consumo critico" e di privilegio per un commercio
dal basso con palestinesi e israeliani di opposizione).
Per fare questo è necessaria una "coalizione per la Palestina" che
sia dia l'obiettivo di mettere in rete e coordinare associazioni
della solidarietà, forze politiche, sociali e sindacali, comitati
locali del movimento contro la guerra - e allo stesso tempo
continuare lo sforzo per un coordinamento internazionale - in
particolare europeo - per la Palestina.
Una coalizione che sappia dare visibilità ai "cento fiori" esistenti
nella solidarietà con la Palestina e i palestinesi - e quindi non si
proponga di fare una gerarchia tra queste - ma soprattutto individui
priorità condivise e iniziative comuni per rendere efficace la
nostra solidarietà politica.
Una coalizione che assuma la responsabilità di proporre una lettura
della situazione e un percorso inclusivo di iniziative, senza cadere
nella trappola del "con tutti o il nulla"; si dovrà quindi modulare
gli obbiettivi e le alleanze, ricercando sempre il massimo delle
alleanze possibili.
Si è espressa la volontà di mantenere il nome di Action for Peace
perché già conosciuto e accreditato (anche in Europa) ma è chiaro da
tutto ciò sopraddetto che andrebbe oltre il coordinamento di una
singola campagna - le missioni per la protezione della popolazione
civile palestinese - per assumere un ruolo più "complessivo".
Al fine di garantire un minimo di operatività serve stabilire una
modalità di lavoro condivisa e anche una piccola struttura
organizzativa.